Avvicendamenti:
sogni spaziali e spot


Alessandro Vietti
Real Mars
Zona 42, Modena, 2016
pp. 320, € 13,90

Dopo la sbornia dell’allunaggio e dopo l’incrollabile ottimismo yankee degli anni Sessanta, la possibilità di replicare di quel passo piccolo per l’uomo ma grande per l’umanità su suolo marziano è rimasta una promessa esplorata solo saltuariamente da qualche robottino volenteroso.
Ad accarezzare il grande sogno marziano nei decenni successivi alla bandiera a stelle e strisce piantata su suolo lunare sono stati più che altro gli scrittori di fantascienza, che dai tempi del ciclo di John Carter di Edgar Rice Burroughs in poi hanno rifiutato di abbandonare il Pianeta rosso. Mentre i governi e i popoli si focalizzavano su narrazioni futuristiche sempre più limitate entro i confini terrestri (quando non impegnate a cementificare quelli nazionali) e i grandi istituti internazionali lavoravano al progetto in maniera manageriale (abbattendo costi e soppesando il rapporto rischio/benefici) la fantascienza e il suo pubblico hanno reso la colonizzazione di Marte più di un punto di partenza; andare su Marte è diventata un’autentica banalità. Dalla Trilogia di Marte (1992-1996) di Kim Stanley Robinson a The Expanse (2011-in corso) di James S. A. Corey, il sogno marziano non è più stato tale, tramutato in una conseguenza scontata delle inevitabili migrazioni spaziali dell’uomo. Mentre l’umanità sempre più preoccupata e divisa raramente alzava gli occhi verso le stelle, i lettori di fantascienza e i loro scrittori favoriti disegnavano futuri lontanissimi il cui primo passo non poteva che essere fatto sul terreno polveroso del Pianeta Rosso. Poco importa se la corsa verso la Luna era stata alimentata dalla spaccatura nettissima dell’umanità in due blocchi concorrenti tra loro: da amici uniti per il sacro avanzamento della scienza a nemici pronti a farsi la guerra in ogni angolo dell’universo, homo fantascientificus non può che partire dal presupposto che su Marte l’umanità, unita o divisa, ci deve andare, e presto.
Appare invece molto più arduo immaginare e raccontare concretamente come arrivare su Marte (e possibilmente restarci), che non come terraformare pianeti abitabili a destra e manca per l’universo, facendosi un paio di nemici alieni durante l’operazione o dando il via a una fratricida guerra tra umani di proporzioni intergalattiche. 
Se si parla di come raggiungere Marte, insomma, il punto centrale è sempre la difficoltà proibitiva dell’operazione. Abbiamo le stampanti 3D, abbiamo server potentissimi e possiamo puntare i nostri satelliti su qualunque cosa, ma siamo prigionieri della sindrome dell’Apollo 13, come testimonia il successo di Andy Weir e Ridley Scott con L’Uomo di Marte (2011). La paura è rimasta immutata da quando si lanciavano uomini nello spazio in gusci di metallo, supportati da calcoli fatti da bistrattatissime computatrici umane, come raccontato nel recente Il diritto di contare (2016) di Theodore Melfi. Negli ultimi cinquant’anni ad aumentare di pari passo con le possibilità tecnologiche è stato soprattutto il livello di scetticismo verso la conquista marziana. Non ci interessa davvero arrivare su Marte o sapere cosa succederà durante quella prima passeggiata sul suolo rosso: assisteremmo allo spettacolo curiosi di vedere cosa potrà andare storto stavolta.

Eccellenze italiane: non solo food ma anche sf
Dimostrando due doti abbastanza rare nel panorama fantascientifico italiano, Alessandro Vietti racconta la conquista di Marte facendo ricorso al pragmatismo e all’ironia. Il suo Marte è real non solo per la dimensione televisiva e social che assume l’impresa spaziale in questione, ma anche perché è ancorata al realismo più concreto e italico. Non è la fantascienza dura di quale rotta utilizzare o come trasportare i cosmonauti e l’attrezzatura; è il granitico pragmatismo che riscopre l’elemento perduto: il sogno. Quello che è mancato negli scorsi decenni alla NASA e che oggi manca alle stampanti 3D è stata la capacità di trasmettere un sogno che giustifichi e alimenti uno sforzo così enorme e dispendioso, insistendo sulla sua natura unificante e sovranazionale.
Nel romanzo di Alessandro Vietti, è ancora la cara e vecchia televisione l’unico soggetto a essere in grado di fabbricare e vendere sogni, oltre che raggruppare la quantità di sponsor necessaria a finanziare l’impresa. Se l’ESA quindi brucia tutti sul tempo (decennale) e tenta l’impresa, è perché qualcuno in Europa comprende che solo un sogno mediato dagli ospiti in studio e dalle pause pubblicitarie può sostenere un’umanità così refrattaria ad essere ambiziosa e ottimista. Lasciando americani e cinesi attoniti, la piccola e litigiosa Europa porta i suoi quattro astronauti nello spazio, prendendo la vita di Marte.
Il carico della Europe One è però ben più pesante: c’è tutta l’Europa, anzi, tutto il mondo a guardare il comandante Kostantin Beznosov, le scienziate Ulrike Reimann e Therèse Fernandez e l’italianissimo ingegnere Ettore Lombardi mentre lottano quotidianamente per mantenere la traiettoria di viaggio e la curva degli ascolti. Se nessuno voleva comprare il sogno di Marte, via via che la missione si avvicina al Pianeta Rosso tutti vogliono acquistare un pezzo dell’intimità quotidiana dei quattro protagonisti della stessa, spiati ventiquattro ore su ventiquattro dal reality che ne segue le gesta. Pazienza se poi la loro indole di scienziati li porti talvolta ad essere tragicamente, drammaticamente privi di telegenia: ci penserà il filmato da studio, il commento piccato dell’opinionista di turno o il primo piano piccante del fondoschiena della più sexy del gruppo a mettere a fuoco lo scopo dell’impresa. Mentre il Pianeta Rosso si fa più vicino, la sua conquista si allontana sempre di più dall’attenzione del pubblico e dei quattro astronauti protagonisti, intrappolati loro malgrado nelle logiche degradanti e viscide del format televisivo. Vietti dimostra che il reality è una cornice che non lascia scampo e dignità, nemmeno alla più nobile delle imprese scientifiche e umane. Chi finisce al suo centro e chi lo osserva dal divano di casa non può che finire intrappolato nei suoi patetismi calibrati al millimetro, logorato dalle sue polemiche sterili, naufragando nelle sue derive da soap. Nessuno è immune alla più potente arma televisiva, quella che sin dal suo nome pretende di ritrarre la realtà ma che in fin dei conti ne pianifica la costruzione più artificiale, calcolata al millimetro, anzi, al decimale dell’Auditel. In un crescendo grottesco di grande efficacia, non importa più se si è su una navicella diretta su Marte o nello studio cinematografico dell’ultimo dei complottisti dell’allunaggio: a contare veramente è ciò che Therèse dice a Kostantin, quelle parole sussurrate che il microfono non è riuscito a catturare, oppure i risultati del sondaggio del pubblico che stabilirà se Lombardi e Reimann finiranno a letto insieme.

In orbita intorno alle interruzioni pubblicitarie
Il sogno di Marte raccontato da Vietti è pragmatico e spietato tanto quanto la dimensione massmediale in cui viene immaginato, quella che non tarda a trasformare la più grande impresa dell’umanità in un riempitivo di lusso tra uno slot pubblicitario e il successivo. L’esperienza da reality è così totalizzante che, con grande acume, Vietti include anche le pubblicità futuristiche che inframezzano il programma. Real Mars è un romanzo impregnato di ironia, talvolta amara e talvolta sferzante, che guarda caso raggiunge i suoi picchi proprio nel racconto delle pause pubblicitarie. Gli spot sono il vero colpo di genio di Vietti, capace di predire in maniera convincente e brillante i bisogni consumistici di un futuro vicino, descrivendoli con un linguaggio pubblicitario sin troppo familiare. Non mancano anche brevi scorci sulle vite solitarie, polemiche e disperate degli spettatori, di quanti cercano un bersaglio per il loro odio e la loro lussuria, oppure una distrazione dalla noia quotidiana. Tuttavia, come spesso avviene nella realtà, le tinte vivaci e fasulle degli spot s’imprimono nella memoria dello spettatore-lettore molto più nitidamente di quelle scolorite del vicino di sventure della porta accanto.
Real Mars è un romanzo che è mancato per molto tempo nel panorama letterario fantascientifico italiano, il cui orizzonte che pullula di noir a sfondo fantascientifico dalle atmosfere e dalle ambizioni più che familiari. Premio Urania alla mano, si può argomentare facilmente che il romanzo fantascientifico italiano tipo dell’ultimo decennio guarda costantemente al modello anglofono, senza peraltro riuscire a replicarne la qualità letteraria e immaginifica. Al contrario, la parabola ironica ma a tratti abrasiva di Vietti sulla dimensione televisiva e sull’impatto concreto che ha sulla realtà quotidiana è universale, tanto che forse altrove un romanzo del genere avrebbe facilmente preso la via dell’adattamento in altri media, come la televisione e il cinema. Leggendo Real Mars ci si ritrova spesso ad immaginare una serie TV o un film su Lombardi & Co., a testimonianza della freschezza del suo intreccio, della contemporaneità del suo linguaggio e dei suoi temi. Si potrebbe immaginare qualcosa di genialmente italiano come Boris – La Fuoriserie Italiana (2007-2010), o un prodotto accattivante e modaiolo diretto verso i quattro angoli del globo come un titolo di successo su Netflix.  Questo potenziale internazionale però è figlio di una forma mentis intrinsecamente italiana, che non prova soggezione verso l’estero e che ha l’ambizione e la forza di narrare lo spazio e Marte dal punto di vista dell’ingegnere e astronauta italiano, senza per questo renderlo una caricatura comica da barzelletta, senza ricadere in un’autoreferenzialità che non guarda nemmeno all’intero Stivale, bensì al solito circolo dei soliti noti. È con romanzi spigliati e accattivanti come Real Mars che possiamo sperare di riportare il sogno fantascientifico nelle librerie, dove ormai è guardato con pregiudizio e chissà, magari potremmo riuscire anche a rendere di nuovo attuale quel desiderio di mettere piede su Marte mai sopito, almeno non tra gli appassionati di scienza e fantascienza. Anche se quel piccolo passo per l’uomo dovesse venire compresso tra un’analisi dell’esperto in studio e un’interruzione pubblicitaria sul più bello.