Track 01. The Ship Landed Long Ago. Un’immagine, ricorrente in tanta fantascienza: accompagnata da suoni e luci rutilanti, la navicella aliena discende fin quasi a toccare terra; dal portellone dell’astronave, un fascio luminoso è proiettato sugli sprovveduti terrestri; i loro corpi sono smaterializzati e catturati dal fascio di luce; sospesi, fluttuanti, sulla soglia fra due mondi…
“E così [apparve] questo riflettore. Somigliava ad un riflettore, ma adesso lo definirei più una macchina di energia, e mi illuminò. Il mio corpo si trasformò in un fascio luminoso. Come sai, quando un riflettore fa luce su qualcosa, si vedono anche dei piccoli granelli di polvere. Era proprio così che sembrava: io riuscivo a vedere attraverso il mio corpo ed iniziai a salire, ad una velocità impressionante, verso un’altra dimensione, un altro pianeta” (Sun Ra in Sinkler, 1992).*
Tutto ciò non è però l’incipit né di un film né di un fumetto, né di un romanzo di fantascienza. Si tratta piuttosto della storia con cui Herman Poole Blount, un giovane musicista nero dell’Alabama, nel 1936 dichiarò di essere un alieno, e divenne Le Sony’r Sun Ra… l’afronauta Sun Ra, tra i primi sperimentatori della “musica spaziale”, obliquo esponente del free jazz e afrofuturista ante litteram.
La sua storia è la storia di un mistero: my story è così vicino a mystery. Sun Ra lo affermava spesso: “Io penso a me stesso come a un completo mistero. Per me stesso” (Sun Ra, 2008). Un mistero, quello dell’alieno venuto da Saturno per parlare al mondo attraverso la musica, al quale invitiamo a credere. Leggere questo rapimento alieno non come un’allegoria, ma lasciandosi scivolare nel mistero di questa impossibilità, può rivelare un infinito numero di possibilità, di linee di fuga per interrogare i concetti complessi di ‘cultura’, ‘identità’, ‘umano’, ‘spazio-tempo’ e ‘radici’. Sono linee di fuga che interessano così tanto lo spazio esterno a noi, quanto quello interno. La divisione stessa tra lo spazio interno e quello esterno anzi esplode: non allegoria, ma allucinazione. Un’allucinazione, un disorientamento fisico e mentale nello spazio-tempo… un time warp, un tempo piegato e ripiegato, non disteso in maniera lineare.
Basato sull’equazione fra la slave ship e l’astronave, l’Afrofuturismo, o fantascienza afrodiasporica, segue proprio questa linea di (dis)orientamento nello spazio, piegando il concetto del tempo finché le divisioni rigide tra passato, presente e futuro collassano verso un assetto mobile, sempre in continua ri-definizione. La fiction di questo movimento creativo prova ad immaginare l’impossibile: snodando e riannodando frasi diasporiche di passato nel presente, attualizza le potenzialità della cultura tecnologica pop, generando nuovi territori emotivi futuribili.
Track 02. I’m Not Human. Nel 1984, Semiotext(e) pubblica un’intervista di Rick Theis a Sun Ra, intitolata “Fallen Angel”. A settant’anni dal suo ‘arrivo’ sulla terra, Sun Ra ribadisce di non essere umano: né lui, né nessun nero ‘diasporico’ lo sono.
“Io non sono umano. Non ho mai chiamato nessuno “madre”. […] Non ho mai chiamato nessuno “padre”. Non mi è mai venuto in mente di farlo. […] [Q]uesto pianeta non è abitato soltanto da umani: è abitato anche da alieni. […] Il punto caldo di questa scena sono gli Stati Uniti. […] Non è mai successo, nell’intera storia del mondo, che un popolo intero sia stato preso e portato in un altro posto attraverso la Sezione Commerciale, se non qui. […] Qui è successo. […] A quella gente non serviva il passaporto. Sono entrati come gente fuori posto. […] Semplicemente, quelli lì hanno preso della gente e l’hanno fatta entrare dicendo: “Non prestar loro attenzione, non sono nulla…sono quasi bestie”
(Sun Ra, 1984).
L’affermazione “Io non sono umano” acquista maggiore potenza spiazzante se letta sullo sfondo dei movimenti per l’empowerment dei neri americani, caratterizzati dalla volontà di opporre alla cultura bianca, nella quale il nero era designato come sub-umano, l’umanità del popolo nero. Necessaria per questa rivendicazione era la costruzione di una logica identitaria come base ideologica per la possibilità del cambiamento politico. Nel corpo del movimento per i diritti civili e del Black Power, la rilettura che Sun Ra dava del concetto di alienazione si poneva invece come linea di dissonanza e allo stesso tempo come una linea di costruzione, che attraversava e accelerava il movimento del corpo stesso. “Io non sono umano”, allora, è una trasformazione(in)corporea: un’affermazione che innesca un divenire, dentro e fuori dal corpo.
Nel film di John Coney del 1974 Space is the Place, Sun Ra si materializza improvvisamente fra i giovani militanti del Black Power di un piccolo centro sociale giovanile di Oakland. I ragazzi si fanno beffe dei suoi sgargianti abiti spaziali alla egiziana e delle sue scarpe zeppate, così come della sua chiamata ad imbarcarsi per un viaggio intergalattico; alla fine gli chiedono:
“Sei reale?”. “Non sono reale. Sono proprio come voi. Voi non esistete in questa società. Se voi esisteste, la vostra gente non starebbe lottando per la parità di diritti… Perciò, sia io che voi, siamo miti. Io non vengo da voi in veste di ‘essere reale’; vengo presso di voi come mito. Perché ecco cosa sono i neri: miti”
(Sun Ra dal film Space is the Place).
Track 03. Tone Scientists. Per Sun Ra la cultura nera non è il punto di arrivo di una ricerca volta all’indietro, verso le origini, to dig and get to the root; è piuttosto il punto di partenza per un’ulteriore rielaborazione, che procede attraverso un uso straordinario della tecnologia come mezzo d’invenzione. Quella di Sun Ra è una produzione artistica che presenta un’idea complessa dell’identità nera, mettendo in relazione materiali fantascientifici, mezzi tecnologici ed elementi storici delle culture di deriva(zione) africana per esplorare e mappare uno spazio di esistenza del nero che è ancora e sempre a venire. La sua musica è aliena, perché non parla della strada, né la riproduce, ma si apre alla creazione; ed è diasporica, perché raccoglie la molteplicità, tanto quanto il continuum della cultura nera.
Quando Sun Ra dice space non parla di uno spazio vuoto al di sopra delle nostre teste, ma di uno spazio pieno in cui noi ci muoviamo; space is the place, ovvero il luogo mobile in cui materiali, corpi, discorsi e affetti si articolano gli uni con gli altri.
Sun Ra amava giocare con le parole, e spesso ne usava i suoni per veicolare la sua filosofia tra passato e futuro: “Darwin non aveva colto il quadro completo. […] Anch’io parlo di evolution, ma lo scrivo e-v-e-r-lution [«sempre- luzione»]” (Szwed, 2013). Un’evoluzione che, così, non procede seguendo linee di progresso, ma attraverso incessanti concatenamenti, allacciamenti e slacciamenti, pieghe, loops, senza fine… L’interesse per le prime strumentazioni elettroniche, come il Solovox, i primi sintetizzatori, come il Moog, i primi apparecchi di registrazione paper-backed, come l’Ampex, e le pulsazioni elettriche della città, può procedere così di pari passo con lo studio della religione egiziana, del Book of the Dead, della Cabbala, con le riletture della Bibbia.
Track 04. Finding the Universe in a Grain of Sound. Nella musica di Sun Ra continuamente si costruiscono assemblaggi: la cultura, bianca e nera, è continuamente tradotta (trasportata). È dinamismo. Come le storie sono assenti e presenti nella memoria, così i frammenti culturali sono assenti e presenti nell’evento sonoro. L’evento sonoro, a sua volta, è la pratica stessa attraverso cui si generano e si sfaldano, continuamente, nuove soggettività. Chiudendo l’introduzione a The Black Atlantic, il critico britannico Paul Gilroy invita ad ascoltare proprio la musica per sentire la diaspora (cfr. Gilroy, 2003). Centrando il suo scritto intorno alla nave come tecnologia in movimento, Gilroy presenta l’Atlantico nero come una rete transnazionale che non si sviluppa secondo la forma di una radice, ma in maniera rizomatica. L’enfasi è sugli spazi creativi in cui la modernità è tanto vissuta quanto resistita.
La nave spaziale su cui sale Sun Ra viaggia attraverso la musica: in essa, le infinite potenzialità combinatorie della cultura afrodiasporica sono continuamente attualizzate, perchè allo stesso tempo tutte le altre combinazioni sono virtualmente presenti nel tessuto musicale.
Sun Ra era solito impegnare la sua Arkestra in lunghe ed estenuanti sessions. Preparata la partitura di un pezzo e mostratala ai musicisti, li invitava a dimenticare immediatamente quanto scritto. La memoria stessa, o l’amnesia, sarebbe stata il terreno di mezzo da cui partire ad ogni esecuzione dell’evento sonoro, cosicchè ogni tentativo di ripetizione di un pezzo diventava una differente versione del pezzo stesso, influenzata tanto dalle direzioni di Sun Ra, quanto dai luoghi e dalle reazioni dei musicisti e del pubblico.
La musica, così, non era mai veramente completa e anzi doveva restare sempre aperta, affinchè potesse compiere il proprio compito, che era quello di suscitare degli effetti (affetti), ogni volta diversi. Sun Ra, i musicisti, il pubblico, gli spazi modificano la musica, e sono da essa modificati. Così il nuovo entra nel mondo.
Tra tutte le infinite possibilità combinatorie dei suoni, alcune di esse sono momentaneamente raccolte in una specifica esecuzione, che sembra consolidarsi pian piano in una melodia; allo stesso tempo, però, tutte le altre possibilità non sono tagliate fuori, anzi continuamente intervengono, salendo e scendendo di volume o intensità e seguendo scansioni ritmiche diverse, un contrappunto, una linea di fuga nel momentaneo assemblaggio di un pezzo. L’evento sonoro, campo di forze, battaglia fra forze, abbozza un centro sonoro ripetitivo, circoscrive una traccia musicale marcata da segni riconoscibili, si lancia verso l’improvvisazione liberando un potenziale. Sun Ra aveva inventato un accordo speciale per destrutturare la musica: lo chiamava “space chord” e si tratta di solito di un accordo dissonante che egli suona improvvisamente, nel momento esatto in cui il suono inizia a consolidarsi in un ritornello, sciogliendo nuovamente la materia sonora, che fugge in diverse direzioni…
I brani di Sun Ra e dell’Arkestra non hanno nessuna struttura narrativa, non raccontano una storia, ma continuamente catturano e rilasciano delle sensazioni, delle energie, non per un fine ultimo, ma per la gioia stessa della combinazione. Non a caso, A Joyful Noise è il titolo di un video documentario su Sun Ra e la sua Arkestra diretto da Robert Mugge nel 1981. La musica qui è quindi un lavoro di assemblaggio e sfaldamento continuo del caos che procede per sintesi, micro-unità di suono, connessioni imprevedibili.
Lo spazio cosmico è, per Sun Ra, proprio questo significante così aperto da sfuggire alla significazione: il suono è sfaldato, sfogliato, split e sliced secondo una serie infinita di assi; un’operazione che, naturalmente, l’uso di effetti elettronici aiuta a compiere, introducendo distorsioni sonore che rivelano la materialità del suono stesso, molto più vicina alle grida del teatro della crudeltà di Antonin Artaud che agli inni della chiesa battista nera. È pure vero che Sun Ra si muove all’interno di una tradizione nera, quella del jazz e quindi dell’improvvisazione; eppure, il jazz di Sun Ra è diverso.
L’orchestra di Sun Ra, pur nella scia delle orchestre nere, le bands, non è un’orkestra… è un’Arkestra. In un’orchestra tradizionale, infatti, ogni ruolo è assegnato, come in un corpo umano; nell’Arkestra di Sun Ra, però, questo corpo non è umano e il legame tra forma e funzione è interrotto dalla trans-formazione, cosicchè il suono diventa pura intensità in libera circolazione. Nelle note di accompagnamento all’album Space is the Place (1973), sotto l’elenco dei musicisti e l’indicazione dello strumento da ciascuno suonato, compare una scritta: “Come tutti i marines sono fucilieri, tutti i membri dell’Arkestra sono percussionisti”.
Questa piccola nota contiene moltissimo. Da un lato, infatti, sottolinea questa esplorazione del corpo tanto dello strumento quanto dello strumentista, svincolata dalle abitudini manuali e mentali, verso la liberazione di energie pure. Da un altro lato, essa sottolinea l’importanza delle percussioni nella musica di Sun Ra. Nelle esibizioni dal vivo, le percussioni generano associazioni visive. In questa accelerazione della sensazione, anche l’abito, la luce, il colore sono musica.
Lo spazio acustico è un campo di relazioni, che, attraverso il labirinto dell’orecchio, raggiunge i centri nervosi e si ripropaga all’occhio, ma anche alla pelle e alle membra che danzano, costruendo un cosmo. È il suono che (è) danza.
Infine, l’immagine dei fucilieri introduce il concetto della disciplina. La liberazione delle intensità sonore non è caos, ma una pratica di ricerca delle migliori combinazioni, che non sono mai sempre le stesse, perché sempre in trasformazione.
La vastissima produzione di Sun Ra e dell’Arkestra, che si dipana lungo decadi in una costellazione di pezzi impossibilmente densi, ha acquisito nel tempo un’aura mitica: agli album noti si affiancano dischi rari, opere per lo più auto-prodotte e distribuite ai concerti, con etichette scritte a mano dai membri dell’Arkestra, copertine disegnate dalla comunità di musicisti e amici di Sun Ra, registrazioni live sempre sorprendenti… Un universo sonoro in continua espansione, attraversato, con gioia e curiosità, da un nomade della cultura; un invito a scoprire il potere vitale e creativo che è in ognuno e in ogni cosa.
“È la musica di te stesso… che vibri. Sì, anche tu sei musica. Ognuno ha una sua parte da suonare in questa immensa Arkestra che è il Cosmo”
(Sun Ra dal film Space is the Place).
* Le traduzioni dei testi di Sun Ra in questo articolo sono di Beatrice Ferrara, tranne dove indicato diversamente.
- Sun Ra, Space is the Place, Impulse, Universal Music Company, 1998.
- Paul Gilroy, The Black Atlantic. L’identità nera tra modernità e doppia coscienza, Meltemi, Roma, 2003.
- Mark Sinker, Loving the Alien. Black Science Fiction, in The Wire, Issue #96 (febbraio 1992).
- Sun Ra, Fallen Angel. Excerpt from an Interview with Rick Theis”, Semiotext(e) 12, Oasis, Vol. 4 No. 3 (1984).
- Sun Ra, citato in Tongues of Fire, Lost in the Stars’: Hitching a Lift Down Sun Ra’s ‘Strange Celestial Road’, 2008 (non più reperibile).
- John F. Szwed, Space is the place. La vita e la musica di Sun Ra, Edizioni minimum fax, Roma, 2013.
- John Coney, Space is the Place, 40th Anniversary Edition, Harte Recordings, San Francisco, 2014.