La Olivetti ha creato non solo una cultura aziendale innovativa – crocevia di saperi eterogenei, competenze tecnico-professionali, idealità sociali e comunitarie – ancora oggi tanto esemplare quanto disattesa dalle aziende contemporanee; la “ditta” del fondatore, Camillo e dei figli (Camillo, ricordiamolo, ne ebbe sei, in ordine di nascita: Elena, Adriano, Massimo, Silvia, Laura e Dino, nati tra il 1900 e il 1912), Adriano, Dino e Roberto Olivetti, quest’ultimo figlio di Adriano, ha elaborato un visual in continuo cambiamento, eppure sempre distintivo, un linguaggio grafico tutto suo, il linguaggio Olivetti, appunto, che risulta ancora oggi attuale, moderno, quasi senza tempo.
Lo si può constatare e gustare leggendo una nuova opera, Olivetti. Storie da una collezione, dedicata alla grafica della comunicazione dei prodotti Olivetti, come la rivoluzionaria macchina per scrivere Olivetti Lettera 22, la Lexicon, la Studio 44, la mitica, nomadico-anticonformista Valentine, il computer Elea 9002, gli arredi Synthesis, ma anche ai negozi, agli stabilimenti, alle residenze per i dipendenti, alle riviste, ai cataloghi per le mostre, ai volumi strenne natalizie, ai red books che definiscono l’immagine coordinata dell’azienda.
Frutto degli studi condotti dallo storico dell’architettura Sergio Polano (mancato nel 2022) e di Alessandro Santero (librario antiquario di Asti, autore delle schede critiche e bibliografiche di ciascuna opera illustrata), il volume raccoglie in oltre cinquecento immagini molti dei più significativi materiali grafici e pubblicitari realizzati in circa novant’anni di storia dell’azienda di Ivrea, dagli anni Venti fino agli Ottanta con i manifesti di Milton Glaser e le donne di Walter Ballmer (campagna Join the Olivetti girl, 1973-1974).
Manifesto per il calcolo Olivetti (1949) di Giovanni Pintori.
Articolato in due parti – la prima a cura di Polano, intitolata 90 anni di disegno industriale Olivetti; la seconda di Santero, Comunicare Olivetti: una collezione – cataloga il materiale in quattro sezioni: prodotti, azienda, società e cultura e omaggio al manifesto). Il volume si aggiunge così a due monografie storiche: 25 anni Olivetti, del 1933, libro rarissimo, una specie di Sacro Graal per la storia della comunicazione Olivetti, primo esempio in Italia di grafica modernista (di Guido Modiano con copertina a opera di Bruno Munari) applicata al mondo industriale, erede della tradizione Bauhaus; e Olivetti, 1908-1958, progetto grafico di Max Huber, uno dei libri fotografici più importanti della casa d’Ivrea, con sovracopertina illustrata da Giovanni Pintori, realizzato a cura di Riccardo Musatti, Libero Bigiaretti Giorgio Soavi, con testi di Bigiaretti e Franco Fortini. Quest’ultimo volume fu pubblicato per il 50° anniversario dell’Olivetti.
L’illustrazione della sovracopertina di Olivetti. Storie da una collezione è inconfondibilmente olivettiana e richiama il segno lo stile influenzati dalla geometria e dal pittogramma. I capitoli dedicati a Camillo Olivetti, a Domenico Burzio (il direttore tecnico della Olivetti ai tempi del fondatore), agli stabilimenti realizzati nel corso degli anni, ai servizi sociali, come anche all’organizzazione commerciale, al disegno industriale, e alla pubblicità, sono corredati da centinaia di fotografie a firma di Ugo Mulas, Fulvio Roiter, Ernst Scheidegger, Emil Schulthess, Leo Lionni, Aldo Ballo, Eric Hartmann, Marco Zanuso.
Dante suggerisce la macchina per scrivere
Ma nella storia dell’’illustrazione e della cartellonista Olivetti c’è anche un famoso manifesto pubblicitario del 1912 di Teodoro Wolf Ferrari: ritrae Dante Alighieri in piedi, l’indice della mano destra a mostrare la macchina per scrivere Olivetti modello M1; sotto, in stampatello grande: “Prima Fabbrica Italiana Macchine per scrivere Ing. C. Olivetti e C° IVREA”. Questa è una delle più celebri immagini del Dante Pop, e sul piano della comunicazione e del marketing anticipa di parecchi decenni il concept pubblicitario basato su Dante-testimonial di prodotti e servizi di alta tecnologia. Il visual complessivo associato al mondo Olivetti (dai prodotti – macchine per scrivere, calcolatori e primi computer da tavolo – ai dépliant e all’editoria) prenderà strade più sobrie, geometriche e graficamente moderne nel dopoguerra: basta dare un’occhiata all’illustrazione delle Istruzioni per l’uso della macchina per scrivere Olivetti Lettera 22 (1955), con grafica di Giovanni Pintori, “caratterizzata da frecce a più colori che insistono sull’immagine schematica della macchina per scrivere”. Uno stile grafico-illustrativo ancora attuale, moderno. La Lettera 22, progettata da Giuseppe Beccio su disegno di Marcello Nizzoli, venne prodotta tra il 1950 e il 1965; vincitrice nel 1954 del Compasso d’oro, è esposta al Museo della Triennale e al Moma di New York.
Manifesti storici. A sinistra quello realizzato da Teodoro Wolf Ferrari per la M1 (1912) con un testimonial eccezionale: Dante. A destra, la rarissima pubblicità per i negozi Olivetti dedicata alla promozione di Lettera 22 – Studio 44 e della calcolatrice Summa 15 realizzata da Giovanni Pintori nel dopoguerra.
Giovanni Pintori iniziò a lavorare all’ufficio sviluppo e pubblicità nel 1936. Nel 1940 ne divenne il responsabile grafico continuando la collaborazione con l’azienda di Ivrea fino al 1967. Con l’istituzione, nel 1931, dell’ufficio sviluppo e pubblicità inizia a costituirsi il formidabile team di progettisti e collaboratori multidisciplinari della comunicazione Olivetti: fra cui lo studio BBPR (dalle iniziali di Gian Luigi Banfi, Ludovico Barbiano Belgiojoso, Enrico Peressutti, ed Ernesto Nathan Rogers, tutti ferventi fan del pensiero architettonico di Le Corbusier), lo Studio Boggeri e Figini, Guido Modiano, Bruno Munari, Marcello Nizzoli, Edoardo Persico, Xanti Schawinsky, Luigi Veronesi; dal 1936 ne fanno parte anche Salvatore Fancello, Costantino Nìvola e Giovanni Pintori, neodiplomati all’Isia di Monza. La grafica pubblicitaria per la Olivetti vede il dispiegarsi creativo dei più famosi artisti-grafici-illustratori del Novecento: Bruno Munari, Albe Steiner, Jean Michel Folon, Ernesto Carboni, i già citati Schawinsky e Nivola, ma anche architetti e designer come Marcello Nizzoli, Ettore Sottsass, Carlo Scarpa.
L’originalità del segno grafico olivettiano s’impone subito anche nei lavori in apparenza più modesti, come il disegno sulla copertina di un’altra chicca olivettiana, la Piccola guida di ortografia di Bruno Migliorini e Gianfranco Folena, con la grafica di Giovanni Pintori, stampata nel 1957 in terza edizione: un manuale ancora oggi prezioso che ci saremmo aspettati da un giornale, non da un’industria tecnico-elettronica. Così bello e utile nella sua semplicità che Smau ne ha fatto una ristampa anastatica nel 1998.
Una fucina di intellettuali e scrittori
Olivetti non è semplicemente un brand come si dice oggi. Olivetti è un mito. L’utopia umanistica perseguita da Adriano Olivetti ha portato nella sua fabbrica temi e idee che oggi sono al centro di dibattiti e talk show aziendali: il rapporto tra cultura e azienda, la ricerca e la valorizzazione dei talenti, l’innovazione, il valore condiviso e la creazione di valore aggiunto anche per le comunità del territorio, oltre che per i dipendenti. Nessuna azienda italiana ha attirato una fucina di talenti di diversi campi del sapere e dell’arte, della poesia e letteratura: per Olivetti lavorarono, tanto per fare qualche nome, Leonardo Sinisgalli, Elio Vittorini, Franco Fortini, Libero Bigiaretti, Paolo Volponi, Furio Colombo, Giorgio Soavi. Volponi, di cui quest’anno ricorre il centenario dalla nascita e i trent’anni dalla morte, entrò in Olivetti nel 1956: diresse dal 1966 al 1971 la direzione delle relazioni industriali.
Interno del negozio Olivetti a Parigi (1958). In primo piano la Diaspron 82 (in vetrina). Foto di Franco Albini e Franca Helg.
Adriano Olivetti fu anche editore, prima con la Nei (Nuove Edizioni Ivrea) poi con Edizioni di Comunità. Uno dei testi più celebri di Adriano è Città dell’Uomo, 1960, con prefazione di Geno Pampaloni, una sorta di testamento spirituale pubblicato poche settimane prima della sua morte improvvisa, nel gennaio 1960. Raccoglie discorsi e scritti su temi che vanno dall’architettura all’urbanistica alla politica, e convergenti sul nucleo di Comunità e sui temi connessi al territorio e alla partecipazione dei lavoratori per realizzare una società più equa e umana. Va qui ricordato che un suo nipote, il regista Michele Soavi, ha realizzato nel 2013 una miniserie televisiva in due puntate, Adriano Olivetti – La forza di un sogno, non proprio un soggetto usuale per l’Italia, a riprova dell’eccezionalità storica della sua figura. Mancato all’improvviso Adriano Olivetti nel 1959, il figlio Roberto costituisce nel 1962 la divisione elettronica: alla fine del 1961 era scomparso per incidente stradale Mario Tchou uno dei geni dell’elettronica Olivetti. Come si legge nel volume:
“Con l’avvento di Bruno Visentini alla presidenza Olivetti, il sostegno di breve periodo (nel 1965 la crisi Olivetti è già risolta) del «gruppo d’intervento» (Centrale, Fiat, Imi, Mediobanca, Pirelli) da lui intessuto, è subordinato al passaggio – nonostante la strenua resistenza di Roberto – della strategica divisione elettronica su pressioni Usa, alla General Electric […]. Nel 1965 in un quasi completo disinteresse governativo, come per la vicenda Elea, viene così ceduto l’intero comparto”.
Lo stesso anno, 14 ottobre, viene presentata a New York la calcolatrice programmabile Programma 101 (P101) che, quindici anni prima di Bill Gates e Steve Jobs, apre la strada ai personal computer. La Nasa ne acquistò 45 macchine per la missione dell’Apollo 11. Il giovane architetto Mario Bellini ne aveva curato il design. Lo staff di Pier Giorgio Perotto (capo progettista), inventore della P101. La “programma 101” è considerata anche dagli attuali esperti di informatica, l’antesignana del PC: se è vero che la programma 101 sta agli attuali PC come i primi aeroplani stanno ai jet (per riprendere una metafora evocata da uno dei quattro ingegneri del dream team olivettiano di quei tempi), è altrettanto assodato che i jet non sarebbero mai nati senza i biplani, e che tantissimi giovani informatici degli anni Settanta hanno imparato a programmare partendo dal prototipo olivettiano.
Non abbiamo parlato molto di una disciplina importante nel sistema intellettuale e creativo di Olivetti: gli uffici e la progettazione di interni. Nel libro di Polano e Santoro l’ampio materiale iconografico presente documenta anche su questo tema, a partire dal volume Uffici. From the traditional office to the open-place office, che si avvaleva della grafica di Ettore Sottsass, Bruno Raimondi e Jean Raymond, frutto di un lavoro commissionato a Sottsass nel 1968 negli anni in cui era a capo dell’Ufficio Design della divisione elettronica.
- Cristina Accornero, L’azienda Olivetti e la cultura. Tra responsabilità e creatività. 1919-1992, Donzelli, Roma, 2022.
- Archivio storico Olivetti
- Paolo Bricco, AO. Adriano Olivetti, un italiano del Novecento, Rizzoli, Milano, 2022.
- Gianfranco Casaglia, Informatica Olivetti, 1970-1998, Edizioni di Comunità, Ivrea, 2023.
- Bruno Migliorini, Gianfranco Folena, Piccola guida di ortografia, ristampa anastatica a cura di Smau, Ivrea, 1998.
- Riccardo Musatti, Libero Bigiaretti, Giorgio Soavi (a cura di), Olivetti, 1908-1958, C. Olivetti & C. SpA, Ivrea, 1958.
- Adriano Olivetti, Città dell’uomo, Edizioni di Comunità, Ivrea, 2015.
- Meryle Secrest, Il caso Olivetti, Rizzoli, Milano, 2019.
- Michele Soavi, Adriano Olivetti – La forza di un sogno, RAI, 2013.