Un sogno ricorrente… Uno di quelli che si ricordano benissimo una volta svegli, difficilmente spiegabile ma nonostante tutto rimane un chiodo fisso nella quotidianità. È il problema del capitano Konakawa (doppiato da Akio Ōtsuka), personaggio tra i protagonisti di Paprika, uno degli ultimi pezzi del puzzle nella filmografia di Satoshi Kon, scomparso nel 2010 a soli quarantasei anni. Lungometraggio d’animazione del 2006, pluripremiato a livello internazionale, tornato in sala dal 17 al 19 di febbraio, è universalmente riconosciuto come uno dei migliori lavori del compianto Kon, regista di culto eccentrico e visionario, che ha avuto un ruolo cruciale per tutti i colleghi della sua generazione ed è divenuto noto in tutto il mondo per capolavori come Perfect Blue (1997) e Tokyo Godfathers (2003). Basando la sua carriera sulla tecnica dell’animazione, Kon porta sullo schermo storie che normalmente non vediamo disegnate, ma in maniera più realistica, tramite l’ausilio di una macchina da presa. La particolarità del cineasta appare chiara: i suoi film sono una delle prove che l’animazione non è una tecnica cinematografica impiegata esclusivamente per il target bambini. In Paprika, in un tripudio di colori e di invenzioni, l’attenzione principale è rivolta verso i sogni: grazie all’invenzione del DC Mini, una macchina in grado di entrare nei sogni e dirigerli a scopo terapeutico, gli psicoanalisti sono in grado di infilarsi nel subconscio dei pazienti e risalire all’origine dei problemi dell’assistito usufruendo dei suoi sogni. Un tema centrale freudiano, certo; la regia e i temi di Satoshi Kon appaiono in tutto il contesto.
Nel film trova ampio spazio la sessualità, con la particolarità curiosa che non va ricercata in impercettibili metafore come ci si potrebbe aspettare, ma è incredibilmente esplicita; il personaggio di Paprika (doppiato da Megumi Hayashibara) è vittima di una violenza sessuale da parte di Osanai (Kōichi Yamadera), e nonostante il gesto venga nascosto dall’estetica onirica del film, riesce comunque a essere motivo di disturbo per lo spettatore più sensibile. Una nota disturbante è udibile anche nel volto delle marionette nei sogni dei personaggi, che si deformano parlando ai protagonisti. Insomma, non c’è nulla di infantile nei temi proposti, tantomeno nella messa in scena. Forse non è azzardato ritenere Kon il David Lynch dell’animazione, considerato anche l’innegabile e inevitabile legame che i suoi lavori intrattengono con il surrealismo, parimenti a quanto avviene nell’opera del regista statunitense recentemente scomparso. Sono temi scottanti, trainati da una narrazione divisa in due rami: il primo è una coccola allo spettatore meno attento; le potenzialità della DC Mini vengono esposte in maniera chiara e ripetuta. Non viene lasciato nulla all’ambiguità. Il secondo ramo abbandona completamente quella tipologia di spettatori e vuole coinvolgere un pubblico più attento, alla ricerca di una sfida; molti concetti, a partire dalla fusione tra sogno e realtà, hanno bisogno di una particolare concentrazione per essere compresi. Qualcuno potrebbe addirittura uscire dalla sala convinto che il film sia incomprensibile. Sarà utile a questo punto una sinossi del film per quanto si possa rendere l’intreccio narrativo considerato il continuo sgretolamento dei piani su cui si svolgono le vicende. Siamo in un futuro prossimo, che ha visto l’invenzione da parte di Tokita, uno scienziato grasso, bulimico e geniale del DC Mini, un apparecchio come si è detto, che permette di entrare nei sogni, aprendo nuove possibilità alla psichiatria. Difatti, la dottoressa Atsuka Chiba intende utilizzarlo per curare i propri pazienti schizofrenici. Per farlo si serve di un avatar di sé stessa, Paprika, ragazzina brillante e sensuale, che porta conforto negli incubi. Ma un misterioso terrorista si impossessa dell’invenzione e la manipola per impedire che la scienza regoli i sogni, rivendicando la libertà della sfera onirica. Molti utenti di DC Mini cominciano a impazzire e i confini tra realtà e sogno si fanno sempre più labili di fronte a una minaccia apocalittica.
Su questo impianto narrativo, Satoshi Kon ci regala un parallelismo cinematografico abbastanza lieve in un primo momento, ma col passare delle inquadrature si fa sempre più pressante ed esplicito. Il sogno viene visto come una serie di cortometraggi di diverso genere, lo dice la protagonista stessa. Nel sonno, le situazioni da vivere nel regno onirico cambiano continuamente, con collegamenti di cui a volte non ci rendiamo neanche conto. I personaggi si ritrovano così a vivere sogni altrui, esplicitando la condizione che si crea tra regista e attore su un qualsiasi set. La differenza è che in questo caso anche il regista diventa attore, a causa appunto della possibilità di interagire con sogni esterni. Konakawa rivive il suo sogno continuamente. È una delle sottotrame più importanti del film. Paprika rende esplicita la componente cinematografica in due momenti; il primo, appena successivo alla sigla iniziale, in cui vediamo i due personaggi discutere del sogno dell’uomo davanti a un programma del computer che ricorda vagamente un’applicazione per il montaggio video. Il secondo quando i due si ritrovano a usufruire dell’ascensore; ogni piano è un cortometraggio diverso, una parte del sogno di Konakawa. In questo caso quei piani non sono divisi per la differenza della situazione proposta, ma bensì per il genere cinematografico al quale appartengono. Dal thriller fino al poliziesco, Konakawa rivive inconsciamente dei ricordi, e la comprensione di essi gli permetterà di risolvere non solo i suoi problemi personali, ma anche quelli degli altri personaggi. Ma chi è Paprika in tutto questo? Perché è sempre presente nelle vicende proposte? È quasi triste doverlo dire, ma in realtà la ragazza non è nessuno. O meglio, è qualcuno per Chiba Atsuko (Megumi Hayashibara), una delle scienziate che si occupano della DC Mini, che, quando sogna veste i panni di Paprika. Quest’ultima è di conseguenza un alter-ego di un altro personaggio che ha la possibilità di vagare nelle menti altrui. Sembra assurdo, ma in realtà è più realistico di quanto sembri. Durante il sonno, il dormiente è libero di giocare con la propria mente, tanto da poter compiere azioni impossibili nella vita di tutti i giorni. Nel film vediamo Paprika volare, entrare nei televisori e usarli come teletrasporto, fondersi con altri personaggi… Sigmund Freud ha una visione totalmente opposta a ciò che rappresenta Paprika nel film. Il doppelgänger nei suoi studi non è qualcosa di positivo:
“Il Doppelgänger è un fenomeno di sdoppiamento. Il doppio, l’immagine riflessa che riusciamo a percepire senza la presenza di uno specchio. Secondo storie mitologiche veniva considerata la parte maligna di noi stessi e una volta arrivata e percepita era impossibile da eliminare totalmente. Si considerava il sosia come la parte più crudele di noi stessi, quella senza scrupoli, in grado di commettere le azioni più terribili”
(Freud, 1989).
Certamente non è questo il caso, ma se l’argomento di discussione non fosse un film? Se una persona avesse la possibilità di gestire un intero mondo a suo piacimento, e quindi di muoversi liberamente al suo interno, cosa farebbe? Meno male che lo Stato ha inventato le leggi, verrebbe da scherzare. I sogni, però, sono esattamente questo: una realtà nella quale essere liberamente se stessi, nel bene e nel male. Satoshi Kon ha dichiarato di essersi ispirato all’omonimo romanzo di Yasutaka Tsutsui, uno dei maggiori esponenti della letteratura fantascientifica giapponese (romanzo purtroppo mai tradotto italiano). Il film inoltre abbonda di citazioni cinematografiche, da Blade Runner (Ridley Scott, 1982) a Shining (Stanley Kubrik, 1980), da Matrix (Wachowski Bros, 1999) a Ghost in the Shell (Mamoru Oshii, 1995), per non dire dei rimandi al genere fantastico, ai film d’avventura, il noir e il sentimentale. La domanda che tuttora ci si pone rivedendo Paprika è: ci si è ispirato e quanto Christopher Nolan? Impossibile negarlo, il pretesto narrativo di Paprika e Inception, settimo lungometraggio del regista di Oppenheimer, è decisamente lo stesso. Cambia ovviamente la trama, che nel caso del film di Nolan prende una piega più razionale anche a causa della messa in scena. Tuttavia, molte situazioni sono a dir poco uguali, come la rottura dello specchio sulla strada, o più semplicemente della presenza di un ascensore che fa esattamente la stessa cosa in entrambi i film. È stata quindi utilizzata la stessa fonte, o il regista inglese ha spudoratamente fatto un copia e incolla del lavoro di Satoshi Kon? I due film rimangono comunque delle colonne portanti della storia del cinema, e continueranno in ogni caso a creare curiosità e dibattiti. Realizzando un film di fantascienza, animazione e in alcuni aspetti un po’ thriller, Kon ha regalato al pubblico una trama e dei concetti universalmente condivisibili, che continueranno in ogni caso ad affascinarci. Il confine fra sogno e realtà non è per niente labile, ma il cinema riesce ad aprirne la porta e a farci esplorare un mondo inaspettatamente nuovo!
- Sigmund Freud, Il perturbante, in Opere vol. IX, Bollati Boringhieri, Torino, 1989.
- Yasutaka Tsutsui, Paprika, Chuokoron-Shinsha, Tokyo, 1993.
- Satoshi Kon, Perfect Blue, Eagle Pictures, 2024 (home video).
- Satoshi Kon, Tokyo Godfathers, Eagle Pictures, 2024 (home video).
- Christopher Nolan, Inception, Warner Bros, 2010.