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Federazioni
interstellari e imperi galattici: il dilemma democratico.
La politica è indubbiamente una costante cosmologica e come tale
costituirà materia di grandi litigi e problemi anche per le altre specie
intelligenti che popolano l’universo. Ci sarà un Impero Galattico o una
Federazione dei Pianeti Uniti nel futuro dell’uomo siderale e dei suoi
simili antropomorfi? Ma soprattutto: che tipo di politica sarà? L’Impero
è più che altro un mito del passato, come descritto nella Guida
galattica: “Anticamente, nelle nebbie dei tempi più remoti, nei
grandi giorni gloriosi dell’ex Impero Galattico, la vita era selvaggia,
aspra e forte, e in gran parte esentasse”, un po’ come il fascismo nei
ricordi dei nostalgici dove “almeno i treni arrivavano in orario”.
Dovremmo quindi rassegnarci a essere governati da un essere come Zaphod
Beeblebrox, noto truffatore galattico, divenuto Presidente della
Galassia nei romanzi di Adams, a metà tra il piazzista di materassi alla
Berlusconi e l’abbonato alla gaffe cosmiche alla Bush jr? Forse no, come
ci fa sperare Stanislaw Lem quando, nell’ottavo viaggio di Ijon Tichy,
fa diventare il nostro eroe rappresentante della Terra presso
l’illuminata Organizzazione dei Pianeti Uniti. Il problema è che
l’umanità non ha tutte le carte in regola per entrare a far parte di
questo democratico consorzio galattico, e ben presto saremmo costretti a
tornarcene con la coda tra le gambe, noi che ci pavoneggiamo nel dare
lezioni ai “paesi in via di sviluppo” mentre ci gingilliamo con bombe
atomiche e gas serra. Altro che la Federazione Unita dei Pianeti di
startrekkiana memoria, dove la Terra ha distribuito pace e prosperità
alle razze a lei vicine. Il “viaggio” allora acquisterà presto una nuova
ragion d’essere: quella di farci correre per tutta la galassia
rincorrendo l’affannosa burocrazia interstellare, che – come insegnano
le leggi della termodinamica – aumenterà esponenzialmente, vittima
dell’entropia. Ecco allora che il signor Carmody giunge fino al Robot umanoidi e AI: il dilemma dell’oltreumano. Si è detto che il viaggio è scoperta dell’Altro; il viaggio nella fantascienza non si discosta da questi termini e l’incontro con forme di vita e civiltà extraterrestri rappresenta forse l’estrema alterità pensabile. Ma ne siamo davvero sicuri? Ballard e la new wave affermarono negli anni ’60 che il vero territorio inesplorato per l’uomo non era lo spazio esterno, ma lo spazio interno, l’uomo stesso. Sheckley, Lem, Adams da buoni innovatori hanno aderito a questa corrente ma l’hanno interpretata ‘a modo proprio’. Ecco quindi che la minaccia più grande per l’umanità nel prossimo futuro sarà costituita dalle macchine da essa prodotte a propria immagine e somiglianza che minacceranno il loro Dio di carne ed ossa estendo spaventosamente il concetto del mostro di Frankenstein. Nell’undicesimo viaggio di Tichy, il nostro eroe s’imbatte nel grande Calcolatore del pianeta Careliria: computer di bordo di una nave spaziale, questo Calcolatore – a causa di eccessive letture di thriller, gialli e romanzi macabri – era impazzito e aveva preso il controllo della nave, dirottandola sullo sperduto mondo di Careliria e lì diventando il signore di una civiltà di robot suoi “figli”. Tichy viene inviato sul pianeta, ultimo di una lunga e sfortunata serie di predecessori scomparsi, e scopre qui la straordinaria verità: come nel Mago di Oz, il calcolatore di Careliria non emette ordini per sua volontà, ma tramite un uomo che vi sta dietro e tutti i robot non sono altro che esseri umani coperti di ferraglia, ignari del fatto che i propri “simili” siano anch’essi umani. Lem realizza una geniale metafora sulla dis-umanità, laddove invece Adams fa delle sue intelligenze artificiali dei prodotti “meno che umani”.
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