Dante è stato preso spesso di mira dalla parodia e
dal cabaret. Anzi, sul piccolo schermo si son viste sovente
più caricature di Dante che ritratti seri, come quello di
Giorgio Albertazzi nello sceneggiato Rai del 1965, un unicum nella
storia televisiva italiana. Persino Roberto Benigni, prima di diventare
il lettore della Divina Commedia che impazza in
tivù, ha impersonato più volte Dante in gag
comiche e un po' strampalate. Su youtube è disponibile un
suo video che lo vede nei panni di un Dante imbarazzato e smemorato
che, evocato e sollecitato da Renzo Arbore ("Ci recita l'inizio della
sua opera?") attacca esitante con: "Quel ramo del lago di Como"
correggendosi (si fa per dire) declamando: "La cavallina
storna"...Infine si ricorda ed esclama: "Nel mezzo del cammin di nostra
vita... E chi non conosce la Divina Commedia!".
Un’altra
famosa caricatura di Dante nella televisione italiana è
stata quella di Pippo Franco che, a differenza di Benigni, non ha
bisogno di naso posticcio, essendo il suo non meno vistoso di quello
del nostro.
Un trattamento analogo, a
metà tra parodia e deformazione ironico-dissacratoria,
subiscono spesso e volentieri anche i suoi versi. Nel film Gallo
Cedrone (1998) Carlo Verdone, per bocca del suo personaggio
Armando Feroci, commenta la sua idea di cementare il Tevere per farci
un'autostrada, riadattando a bella posta due versi della Divina
Commedia: "Con me si va nella città ridente / con
me si va nell'eterno splendore", che riecheggiano i versi della
più celebre epigrafe di tutti i tempi: "Per me si va nella
città dolente/ Per me si va nell'eterno dolore/ Per me si va
tra la perduta gente" (Inferno III, 1-2) che Dante stesso legge sulla
Porta dell'Inferno. Questo episodio cinematografico, di per
sé banale, dimostra ancora una volta
l’attualità e la duttilità espressiva e
comunicativa della Divina Commedia. Non
c'è una situazione della vita quotidiana che non possa
essere commentata prendendo a prestito i versi dell'esule fiorentino.
Sempre Verdone, in uno dei suoi sketch televisivi, anche riproposto dal
programma Techetechetè di Rai Uno,
ironizzava sulla bisessualità del nostro: "Dante e Virgilio
sempre insieme, mano nella mano, insomma questa intimità
genera il sospetto di latente omosessualità". Questa gag ha
alle spalle una certa letteratura comica o semiseria su Dante: per
esempio, il sottotitolo di un saggio degli anni Settanta recita: omosessualità,
antifemminismo e sadomasochismo nel poeta (Aprile, 1977).
Questa storia è frutto di una banalizzante lettura
psicoanalitica di certi episodi della Divina Commedia,
in primis l'incontro con Brunetto Latini, il suo maestro, collocato nel
girone dei sodomiti. Massimiliano Chiamenti, dantista purtroppo
prematuramente scomparso, ha chiarito con solido argomentare la
faccenda (cfr.
www.nuovorinascimento.org/n-rinasc/saggi/pdf/chiament/sodoma.pdf).
Dante
era anche un gossipparo ante litteram: basta solo
ricordare che senza di lui la tragica storia di Paolo e Francesca non
sarebbe mai emersa agli onori delle cronache. Essere una star vuol dire
anche questo: pagar pegno alle libere variazioni della cultura di
massa.
Dante era già un marchio nella
comunicazione d’impresa: le prime pubblicità che
lo coinvolgono risalgono agli inizi del Novecento, secondo
un'iconografia che si rifà alla tradizione filtrata dalle
nuove tendenze artistiche, come il liberty o il razionalismo. Nel 1912
appare su un manifesto pubblicitario disegnato da Theodoro Wolf Ferrari
per l'Olivetti. Nel 1921 ne segue un altro con la didascalia: "Se i
nostri vecchi potessero vedere le macchine per scrivere Olivetti,
griderebbero al miracolo!" con Dante che solleva le braccia nell'atto
di manifestare la sua meraviglia per i portenti della tecnologia. Una
pubblicità un po' ingenua forse, ma che batte per eleganza e
buon gusto gli odierni spot televisivi che vedono lui e la sua Divina
Commedia come protagonisti. Nel 2009 un Dante giovanissimo
è ripreso a vergare i suoi versi immortali su un candido
rotolo di carta igienica: spot che si commenta da solo. Le cose vanno
meglio con la pubblicità di una marca di surgelati, uscita
qualche anno prima, nel 2003, uno spot nel quale un Dante bambino
recita alla nonna il primo verso della Divina Commedia ("Nel mezzo del
cammin di nostra vita") e la vecchina risponde con perfetto accento
toscano e ingenuo candore nonostante il doppio senso: "Bellino, Dante,
te tu ci sa' fare con la penna"...
Ma la disinvoltura della comunicazione pubblicitaria non è vizio che data a tempi recentissimi: si era già rivelata agli inizi del Novecento, quando l'immagine di Beatrice fu usata come testimonial dell'acqua depurativa San Pellegrino: lo slogan era: "I' son Beatrice che ti faccio andare" (verso 70 del canto II dell'Inferno), le celebri parole con cui la donna del cielo si rivolge a Virgilio per inviarlo a salvare il poeta smarritosi poco fuori della selva selvaggia.
Come scrive Annamaria Testa: "Non solo Dante è
Dante, ma lo si riconosce al primo sguardo e non lo si può
confondere con nessun altro. Per questo è così
facile evocarlo nei contesti più diversi, a proposito, e
qualche volta, a sproposito. Dante è un fumetto
già a metà del secolo scorso (L'inferno
di Topolino, numeri 7-12, tra ottobre 1949 e marzo 1950). Dal
2010 è perfino un video gioco horror-gotico per Playstation
3 e Xbox, ispirato assai alla lontana alla Commedia e lanciato con un
video trailer e una complessa operazione di guerrilla marketing. Da
oltre cent'anni Dante è un olio, anzi (come recita il sito
dell'azienda) è l'olio che parla italiano" (Testa, 2014). Si
tratta non a caso dell’olio extravergine di oliva
più famoso d'Italia. Dante come brand non è da
meno, per riconoscibilità, della Coca-Cola. Stupisce ancora
oggi che all’Alighieri non sia mai stato concesso di figurare
sulle banconote della vecchia lira pur comparendo il suo profilo sulle
monete da 500 lire. Stranezze della Zecca di Stato.
Tornando
alla pubblicità, sono da segnalare gli spot di pochi anni fa
della Tim che vedono Dante e Virgilio in una bolgia infernale
trasformata in rumorosissima discoteca, o viceversa: Beatrice telefona,
Virgilio manda sms tranquillizzanti e Dante, interpretato da Neri
Marcorè, rassicura la sua Musa sul fatto che non sta
viaggiando all'Inferno in cerca di ragazze.
La radio e la
televisione, però, realizzavano un tempo cose di altro/alto
livello anche nel campo della satira e del cabaret. L'ironia corrosiva
e dissacrante della comicità si ritrovano, per quanto in
termini assai più colti ed eleganti, anche nelle interviste
a Francesca da Rimini e a Beatrice condotte rispettivamente da Edoardo
Sanguineti e Umberto Eco, due delle ottantadue Interviste
impossibili a fantasmi redivivi andate in onda sul secondo
canale radiofonico della Rai tra il 1973 e il 1975. Anche qui come per
la zecca, c’è da chiedersi come mai non si
è pensato di fare un'intervista impossibile allo stesso
Dante...
Bisogna dire che oggi, a giudicare dall'offerta
radio-televisiva corrente, l'approccio al nostro è
decisamente di buon livello: l'evoluzione di Roberto Benigni, che ieri
lo imitava un po' ingenuamente e oggi è un serio, anche se
mai serioso, ambasciatore di Dante persino in sedi istituzionali
(è il caso della sua conferenza dantesca in Senato nel
maggio 2015), ne è un esempio lampante. È segno
che il format prevalente con cui si tratta Dante e le sue opere in
radio e in televisione, e sul web, sia la "lectura dantis" (Benigni) e
la lectio (per esempio, Franco Nembrini, Luca Serianni). Dove
però vita e opere di Dante si dimostrano materiali ideali
per una rilettura a vari livelli è il cinema.
In
particolare, se c'è un'opera della letteratura italiana (e
mondiale) che offre in abbondanza spunti e stimoli alla fantasia del
cinema e della computer graphic, è proprio la Divina
Commedia, che possiede tutti gli ingredienti per una storia a
cui non mancano certo le visioni (da quelle più mostruose e
raccapriccianti dell'Inferno alle atmosfere luminosissime e serene dei
cieli), né i colpi di scena, né le storie: anzi,
uno dei vantaggi che offre è la possibilità di
isolare e sviluppare singoli episodi, miti o vicende (ad esempio, Paolo
e Francesca, Pier delle Vigne, Piramo e Tisbe, Oreste e Pilade), come
le migliori narrazioni seriali.
Scrive Chiamenti:
"Opera aperta, teatrale, pluringuistica, sperimentale, visionaria,
realistica, dialogica, narrativa e multisemica, sembra richiedere,
«tra-smutabile» come il suo autore, attivi sviluppi
intermediali in un continuum potenzialmente illimitato. E difatti, il
fecondo poema dantesco (Inferno in primis) sollecitò fino
dalla sua apparizione metamorfosi in tutte le arti: il 1907 segna
l’avvento del primo cortometraggio (10 min.) a soggetto
dantesco, Francesca di Rimini (o The Two
Brothers), di William V. Ranous, prodotto negli Usa dalla
Vitagraph Company... tra il 1907 e il 1926 si collocano svariati
adattamenti diretti della storia di Paolo e Francesca (a quello di
Ranous seguirono quelli di Mario Marais [1908], Ugo Folena [1909] con
la grande Francesca Bertini, Stuart Blackton [1910], Eduardo
D’Accurso [1917], Ubaldo Maria Del Colle [1919], Mario Volpe
[1922], Aldo De Benedetti [1926] e vari anonimi); del Conte Ugolino
(Giuseppe De Liguoro [1908], Giovanni Pastrone [1909]), di Pia
de’ Tolomei (Mario Caserini [1908], Gerolamo Lo Savio [1910],
Giovanni Zannini [1921]), o di Dante stesso (Guelfi e Ghibellini, di
Mario Caserini [1910], Guido Cavalcanti, prod. Cines [1911], Dante e
Beatrice, di Mario Caserini [1913]).
E a distanza di quasi cento anni, Ridley Scott nel suo Hannibal [2001], ambientato a Firenze sull’onda del torbido caso giudiziario del «mostro», ripropone alcuni episodi «forti» o granguignoleschi della Commedia, come il mangiamento del cuore nel primo sonetto della Vita nova, il suicidio di Pier delle Vigne accusato di tradimento, e la tecnofagia di Ugolino)" (Chiamenti, www.nuovorinascimento.org/n-rinasc/saggi/pdf/chiament/dantecinema.pdf).
Insomma, c’è un Dante ripreso dal cinema
e un Dante che ispira il cinema e prima ancora la letteratura. Ad
esempio, ridotta alla sua elementare struttura
narrativa di base la Commedia descrive un viaggio
che parte (Inferno) da una discesa al centro della terra, risale alla
superficie (Purgatorio) e si conclude (Paradiso) con l'ascensione del
poeta verso Dio attraverso i cieli concentrici. La prima e la seconda
tappa di questo viaggio trovano una simmetria narratologica in Viaggio
al centro della Terra (Journey to the Center of the
Earth, 1959), di Henry Levin, musiche di Bernard Herrmann, il
compositore che scrisse le colonne sonore dei più celebri
film di Alfred Hitchcock. Il professor Lindenbrook (Lidenbrock nel
libro di Jules Verne) di Edinburgo (Amburgo nel romanzo di Verne), e
l'allievo alla facoltà di geologia, Axel (che nel romanzo
è il nipote di Lidenbrock) sembrano un contraltare moderno
della coppia Virgilio-Dante. Entrambe le coppie protagoniste
(Dante-Virgilio, Lidenbrock-Axel) compiono un viaggio straordinario
verso il centro della Terra. Entrambe le coppie percorrono un
itinerario ovviamente in forte pendenza tra vie tortuose, scavate tra
le rocce, ponti di pietra sospesi sul vuoto, smarrimenti, cadute,
arrampicate su cigli di burroni, attraversamenti di laghi e fiumi
sotterranei, proprio come accade nell'Inferno e nel
Purgatorio.
Se Dante e Virgilio incontreranno
parecchie figure mostruose, umane, animali e miste, dal traghettatore
Caronte ai Diavoli di Malebolge fino ai Giganti e a Lucifero conficcato
nel centro della terra, anche Lindenbrook, molto più
modestamente, avrà nel film la sua piccola parte di visioni
teratoformi e spaventose (per lo più dinosauri superstiti e
grandi rettili marini). E si noti la ripetizione del modulo
narratologico tipico di un racconto di formazione, con la coppia
costituita da un uomo maturo con funzioni di guida tecnica e umana
(Virgilio nella Divina Commedia,
Lidenbrook nel film tratto dal romanzo di Verne), e da un uomo
più giovane, inesperto, nel ruolo di discente (Dante nella Divina
Commedia, Axel nel romanzo di Verne), che ritroviamo anche ne
Il nome della Rosa di Umberto Eco (1983) e nella sua
versione cinematografica (1986), diretta da Jean Jacques Annaud, con la
coppia Guglielmo di Baskerville, il frate francescano allievo di
Ubertino da Casale, che diventa investigatore suo malgrado (Sean
Connery), e il giovane Adso de Melk, il discente, inesperto e bisognoso
di guida e formazione. La storia si svolge in un monastero,
sette anni dopo la morte di Dante (1321).
Il
Paradiso dantesco è la cantica più complessa dal
punto di vista di un'eventuale riproduzione cinematografica, anche se
con il 3D, la computer graphic e le attuali tecniche di animazione
rendono possibile rievocare la struttura concentrica dei cerchi
celesti, l'Empireo, la candida rosa, e tutta l'intensissima luce che
domina la terza cantica. Non sono mancati nel cinema tentativi, di
successo (ad esempio, in Al di là dei sogni
di Vincent Ward) di reinterpretare, seppur in termini molto liberi,
un'idea più moderna di Paradiso.
Per fare ordine, le produzioni su Dante si possono ricondurre ai seguenti generi:
- film/sceneggiati televisivi tradizionali o d'animazione, su Dante e la Divina Commedia (ad esempio, Inferno, 1911 di Francesco Bertolini, Giuseppe de Liguoro e Adolfo Padovan; La vita di Dante, Rai 1965; Dante's Inferno animated, 2010, di Boris Acosta; Dante di Luca Lussoso, 2014);
- film non incentrati su Dante, ma basati sul tema dell'al di là con scene che ricordano la Divina Commedia (47 morto che parla di Carlo Ludovico Bragaglia, 1950; Al di là dei sogni di Ward, 1988);
- film non su Dante, di ambientazione contemporanea, con evidenti rimandi, ad esempio: Skärseld (Purgatorio) di Michael Meschke, 1975; La Divina Commedia di Manoel de Oliveira, 1991;
- docufilm. Per citarne alcuni: Dante de l'Enfer au Paradis, 2007 di Thierry Thomas e il Mistero di Dante di Louis Nero, 2014;
- documentari, come Il Divin Segreto, di Michele Rossi, 2009, articolato in quattro capitoli: La vita di Durante, detto Dante - La cosmologia della Divina Commedia - Dante e i Fedeli d’Amore - Il mistero delle Reliquie del Poeta.
Il sito Dante e il cinema, uno dei più completi sul
tema ( www.danteeilcinema.com)
classifica la filmografia dantesca in tre grandi periodi: dal
1900 al 1949, dal 1949 al 2000 e dal 2000 fino ai nostri giorni. Si va
dai corti citati da Chiamenti al primo lungometraggio, L'Inferno
(1911) di Bertolini, Padovan e De Liguoro, un film recentemente
restaurato e ripubblicato dalla Cineteca di Bologna in una pregevole
edizione in cofanetto con dvd e libro curato da Michele Canosa, a Il
mistero di Dante di Nero, uscito nel 2013. Nel 1911 cadeva il
50° dall'Unità d'Italia e il film di
Bertolini-Padovan-De Liguoro non era estraneo alla valenza emblematica
di un Dante precursore degli ideali risorgimentali, secondo una lettura
ancora oggi invalsa nelle scuole e nelle istituzioni. È il
film più costoso nella storia del cinema italiano: a vederlo
oggi appare ingenuo, ma rimane l'unico tentativo del cinema italiano di
fornire una versione articolata e completa di almeno una cantica della Divina
Commedia. L'impianto iconografico di base deve molto alle
illustrazioni di Gustave Dorè, ancora oggi ritenute fra le
migliori e certamente le più popolari della Divina
Commedia. L'ambizione di riprodurre o rievocare una parte del
viaggio dantesco non mancherà certo negli anni successivi e
le moderne tecniche di animazione danno risultati spesso originali: un
esempio è in Dante's Inferno Animated,
di Boris Acosta, 2010, Usa, animation basata su
cinquanta illustrazioni a colori derivate da un libro illustrato e un
giornalino di Awik Balaian e Dino di Durante.
Particolarmente
adatto all'Alighieri è anche il genere della docu-fiction,
non di rado ibridato a una parvenza di narrazione filmica della quale Il
mistero di Dante di Nero è un esempio recente,
che abbina il taglio documentaristico a quello narrativo, con esiti
spesso discutibili e mancanza di "strutture coesive": l'inizio
è fra i più claustrofobici e ansiogeni nella
storia del cinema con una decina di minuti occupati da una discesa
attraverso uno stretto cunicolo sotterraneo dell'operatore che avanza
faticosamente con la sua ragazza in questo percorso buio e angusto per
giungere a un appuntamento con un personaggio misterioso (interpretato
da Murray Abraham) che dovrebbe risolvere il mistero dantesco. Nella
narrazione si inseriscono le testimonianze di registi (Franco
Zeffirelli), giornalisti (Roberto Giacobbo, Gabriele la Porta),
scrittori e saggisti (in primis, Valerio Massimo Manfredi).
Il
film di Nero si concentra soprattutto sul Dante esoterico (un filone
molto complesso con tante diramazioni, ma che trova in Gabriele
Rossetti e René Guénon due fra i più
importanti e citati rappresentanti) con particolare riferimento alle
tematiche dei Fedeli d'Amore (cfr. Valli, 2008). Di tutt'altro genere e
tono il film di Francesco Mandelli, nei panni di un novello Dante, e di
Fabrizio Biggio (Virgilio), La solita commedia, Inferno,
pellicola uscita nel 2015. Minosse, il giudice infernale che nella Divina
Commedia Dante e Virgilio trovano in principio del 2°
cerchio, quello dei lussuriosi (il cerchio di Francesca da Rimini, per
intenderci), è in forte imbarazzo perché non
riesce a collocare nei cerchi e nei gironi infernali i nuovi peccatori
come gli stalker, gli hacker, i maniaci di whatsapp, i mariti bambinoni
e i bamboccioni, i maleducati e gli strafottenti, quelli che saltano la
fila al supermercato o che si piazzano con il carrello pieno nella fila
dei max 10 pezzi (scene di quotidiana e snervante
imbecillità metropolitana...) e via dicendo. Così
Lucifero decide di rimandare Dante Alighieri sulla terra per aiutare
Minosse in quest'opera di aggiornamento della strutturale morale
dell'Inferno.
La figura di Dante non è
stata ignorata nemmeno da Totò, protagonista di evocazioni
dantesche in due film di discreto successo: 47 morto che parla
(1950) e Totò all'Inferno (1955). Con
la regia di Bragaglia, sceneggiatura di Age e Scarpelli che si rifanno
a una commedia di Petrolini e D'Arborio del 1918, 47 morto
che parla è un'originale via di mezzo tra l'Avaro
di Molière e la Divina Commedia: al
barone Peletti (Totò), un avaro stile Scrooge, fanno credere
di essere morto; e così si immagina di trovarsi
all'inferno, rievocato dalla lunare atmosfera della solfatara
di Pozzuoli, con tanto di fumi che salgono dalla terra.
Totò all'Inferno è il
primo film del principe della risata con Camillo
Mastrocinque: l'attore sogna di trovarsi all'inferno, corteggia
Cleopatra, ingelosisce Satana, scappa sulla terra, è
processato e condannato per dongiovannismo. L'idea è dello
stesso Totò e ci hanno lavorato sei sceneggiatori. Il
surrealismo di Totò tocca in questo film "uno dei suoi
vertici" (Morandini 2011).
Il volto così
caratteristico e inconfondibile di Totò, con il naso
pronunciatissimo e un po' aquilino, il viso oblungo e scavato che
l'attore poteva modellare, alla bisogna, con un leggero prognatismo,
gli conferivano una naturale attitudine a rappresentare in termini
semi-seri un convincente busto dantesco. Pochi attori riuscirebbero a
interpretare il personaggio di Dante secondo l'iconografia corrente e
predominante che possiamo verificare ricordando i volti danteschi
più famosi come quelli di Botticelli, Signorelli, e di
Raffaello, che lo ritraggono di profilo con la famosa canappia e il
mento sporgente, labbra chiuse dalla cerniera dello sdegno e del
malcontento.
Un
altro omaggio dantesco (anche se indiretto) si trova nel citato Al
di là dei sogni (1998, titolo originale What
Dreams May Come) di Ward con sceneggiatura di Richard
Matheson (un tempo giovane autore di Ai confini della
realtà) e fotografia di Eduardo Serra: il
riferimento dantesco è evidente soprattutto nella discesa
agli inferi del protagonista, un medico (Chris) interpretato da Robin
Williams, che nell'after life, soccorso e aiutato da uno
spirito guida (che si rivelerà essere quello di suo figlio)
cerca di salvare l'anima della moglie, suicidatasi per fuggire alla
depressione. E qui la discesa agli inferi è qualcosa di
veramente impressionante, molto dantesca in alcuni specifici
riferimenti iconografici (Caronte, il Flegetonte, lo scheletro della
nave arenata e in fiamme, le teste che spuntano dal suolo calpestate da
Chris, Aracne), a partire dalla guida, il Virgilio interpretato da Max
Von Sidow che si rivelerà l'amico psichiatra di Robin
Williams-Chris.
La rappresentazione del Paradiso
parte dall'idea che l'anima nell'afterlife viva in un mondo-proiezione
delle principali passioni coltivate nella vita terrena: non
c'è quindi un Paradiso, ma tanti Paradisi.
Così Robin Williams in questo suo Eden personale incontra la figlia, ma all'inizio non la riconosce perché è una bellissima hostess orientale: ha voluto presentarsi con l'aspetto di una orientale per ricordargli il più possibile la bellezza di una hostess con gli occhi a mandorla che aveva particolarmente colpito il padre.
La divina commedia (1991) di Manoel de
Oliveira, il regista portoghese scomparso proprio di recente,
è inclusa nella filmografia del sito, anche se non
è esplicitamente dedicato al poema dantesco o a Dante
stesso. Il film di De Oliveira è un esempio di come la Divina
Commedia e la vicenda esistenziale del suo autore vengono
reinterpretate in chiave moderna: un altro esempio è il film
svedese Skärseld (Purgatorio), del 1975,
di Michael Meschke e Ohran Oguz, dove il personaggio di Dante rivive
nell'antagonismo del protagonista verso una società
totalitaria, conformista, e oppressiva. Nel campo della sperimentazione
audiovisiva almeno due sono le opere che lasciano intuire il potenziale
espressivo ancora non del tutto sviscerato dell’opera
dantesca: A TV Dante: the Inferno (1985-89), una
miniserie che Peter Greenaway ha diretto in collaborazione con
l’artista e letterato Tom Phillips per il canale televisivo
Channel Four. Trasmessa in Inghilterra nel 1990 è ancora
inedita in Italia, un mistero che si aggiunge a quello della zecca e
dell’intervista impossibile mancata, fosse solo
perché la visionarietà del regista inglese
è quella più adeguata alle immagini potenti
presenti in abbondanza nella Divina Commedia,
nell’Inferno in particolare, che Greenaway ha ri-esplorato
fino al Canto VIII. La serie ha anche avuto un seguito nel 1995 (Canti
IX-XIV) affidato al regista cileno Raul Ruiz (che ha spostato la scena
a Santiago), ma con minori risultati, pur vantando autorevoli
credenziali surrealiste. L’altro esempio di sperimentalismo
cinematografico è il cortometraggio The Dante
Quartet di Stan Brakhage, uno dei massimi esponenti del
cinema indipendente americano (underground) che realizzò nel
1987 questo cortometraggio (sei minuti) consistente in una pellicola
disegnata a mano fotogramma per fotogramma (sei anni di lavoro) che
fissano in sequenza le suggestioni scaturite dalla lettura e dallo
studio delle tre Cantiche.
Resta da dire dell’uso
strumentale che si è fatto e si continua fare di Dante e
della Divina Commedia. Nella storia del cinema,
soprattutto nel dopoguerra, compaiono infatti spesso come
“nomi-civetta” per suscitare interesse intorno a
film che con l'Alighieri e il suo viaggio ultraterreno hanno poco o
niente a che fare. Come annota Chiamenti: “è il
caso dei disaster-movies a effetto A
Towering Inferno (di Irwin Allen [1974] dove
l’inferno del grattacielo in fiamme sembra presagire
l’11 Settembre) e Dante’s Peak (di
Roger Donaldson [1995] dove il «Picco di Dante»
è in effetti un vulcano realmente esistente sul territorio
americano)” (Chiamenti,
www.nuovorinascimento.org/chiament/dantecinema.pdf).
Il
nostro cerchio si chiude. Il prodotto cinematografico si è
affermato nel tempo come quello più consono alla griffe
del fiorentino e la vera pubblicità
vincente è sempre quella che veicola messaggi aderenti a
marche di prestigio, radicate nell’immaginario, familiari,
note al grande pubblico.
Dante, appunto.
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