LETTURE / LA BALLATA DI BETA-2


di Samuel R. Delany / Urania Mondadori, Milano, 2015 / pp. 175, € 5,90


 

E il Verbo si fece carne... tra le stelle


di Giovanni De Matteo

 

 

Ecco, una di loro torna alla Città,

sulla sabbia con i lucidi capelli al vento,

con gli occhi di nero carbone e i piedi piagati,

e sotto le braccia un bimbo dagli occhi verdi.

Samuel R. Delany (La Ballata di Beta-2)

 

Joneny Horatio T’waboga è uno studente di Antropologia Galattica. Il suo sogno è ottenere l’assegnazione di una tesi di laurea sulla Civiltà Nuktoniana di Creton III, che nel suo periodo di massimo splendore “aveva prodotto fantastiche architetture e una musica, la più sconcertante che si fosse mai udita, che conservava ancora il profumo del tempo”, così racconta Samuel Delany in La Ballata di Beta-2. Il suo relatore tuttavia ha altri piani per lui e gli assegna un soggetto diverso: il cosiddetto Popolo delle Stelle, ovvero i discendenti di un’antichissima spedizione terrestre risalente agli albori dei viaggi interstellari. Partiti nel 2242 a bordo di immense navi-città, veri e propri micromondi autosufficienti progettati per offrire sostentamento a migliaia di passeggeri per diverse generazioni, i coloni avevano raggiunto la loro destinazione dopo un viaggio da incubo, segnato da catastrofici incidenti. A testimonianza della loro impresa restano nove delle dodici astronavi salpate dalla Terra, sopravvissute alle insidie del viaggio siderale e approdate in orbita nel sistema di Leffer VI, con una popolazione di superstiti regrediti a uno stadio semiprimitivo. Di una decima Città resta solo un relitto irreparabilmente danneggiato da quella che parrebbe un’esplosione, mentre due sono andate completamente perdute.

Il Popolo delle Stelle, che Joneny ritiene “culturalmente morto” e privo di qualsiasi interesse scientifico, è stato in effetti oggetto solo di studi superficiali e lacunosi. Xamol Nella, l’unico a essersene occupato prima di Joneny, ha lasciato un’analisi approssimativa di una canzone intitolata da una delle navi La Ballata di Beta-2, che il professore sospetta essere anche oggetto di numerosi fraintendimenti. E proprio il docente sintetizza a Joneny l’importanza dell’incarico che gli sta affidando:

“[…] il Popolo delle Stelle compì qualcosa mai fatto prima e mai ripetuto dopo d’allora. Viaggiarono nello spazio per distanze incredibili a quei tempi, per un tempo lunghissimo. Nessun altro vi è mai stato così a lungo, perché i viaggi nell’iperspazio che oggi si usano in realtà fanno passare intorno allo spazio interstellare.”

Infatti appena sessant’anni dopo la partenza delle navi generazionali alla volta delle stelle, i viaggi nell’iperspazio erano stati adottati su larga scala, favorendo la colonizzazione umana dello spazio. Al loro arrivo nel sistema lefferiano i passeggeri delle nove navi-città superstiti si erano così imbattuti negli avamposti commerciali della Federazione, ormai insediatasi intorno a Leffer da almeno un secolo, che avevano offerto loro un principio di assistenza. Trovandoli prigionieri di un’arretratezza a cui aveva di certo contribuito anche un fattore regressivo subentrato nel corso del viaggio, la Federazione tuttavia aveva ben presto optato per abbandonare i pionieri all’isolamento a cui ormai aspiravano, ignari o incuranti del vicolo cieco evolutivo a cui si stavano condannando.

La ricerca di Joneny si concentra fin da subito su un passaggio in particolare della Ballata, uno dei più drammatici:

 

Camminò tra i cancelli e i bimbi gridarono,

Camminò nel mercato e le voci morirono,

Camminò oltre il tribunale e il giudice in silenzio,

Camminò fino alla cima di Capo di Morte.

 

Dapprima diffidente e scoraggiato, poi sempre più intrigato dal destino ostile che è toccato a decine di migliaia di esseri umani, Joneny nota delle incongruenze nella trascrizione di Nella e una volta recatosi sul posto si ritrova catapultato in una sequenza di rivelazioni che sconvolgeranno le sue tranquille aspettative. Durante un sopralluogo nella Città di Gamma-5 incontra infatti uno strano ragazzo autoctono dagli occhi verdi, le cui doti telepatiche si riveleranno solo una parte delle sue straordinarie abilità. E con lui s’inoltra nella progressiva scoperta della storia di Sigma-9, di Beta-2 e di tutte le altre Città del Popolo delle Stelle.

Grazie al suo enigmatico Virgilio spaziale, Joneny stabilisce una corrispondenza per le metafore e le immagini simboliche evocate dalla Ballata di Beta-2. E così scopre che le navi-città avevano dovuto affrontare un vero e proprio cataclisma cosmico sottoforma di campi di mesoni, che logorando gli schermi protettivi avevano scaraventato la popolazione nel panico sia per gli effetti a medio e lungo termine delle radiazioni che per il costante pericolo di un naufragio. Costretti a vivere nel timore continuo che la prossima tempesta avrebbe potuto segnare la fine del viaggio, a bordo si erano diffusi rituali oscurantisti e settari che presto erano degenerati nell’adozione della “Norma”, un metro arbitrario per discriminare la popolazione sana dai soggetti mutanti, ufficialmente per salvaguardare lo scopo della missione (“I nostri antenati ci hanno incaricati di portare alle stelle degli esseri umani. E nessuna deviazione sarà tollerata”), ma in realtà per esercitare una ineguagliabile forza di pressione politica nell’ambiente segregato e concentrazionario delle Città.

L’intolleranza aveva reso il clima sempre più teso. E nei disordini che erano seguiti era giunto a compimento il destino di Leela RT-857, capitano della Città di Beta-2, nonché protagonista della celebre ballata che ha ispirato i primi passi della ricerca di Joneny.

Si fatica a credere che opere come questa siano rimaste fuori circolazione per la bellezza di quarant’anni, proprio mentre l’editoria italiana di fantascienza viveva l’arco discendente della sua parabola. Forse possiamo azzardare una relazione tra i due elementi. Il principale meccanismo di autoconservazione del genere, ovvero il ricambio generazionale, sembra essersi inceppato da ormai diversi decenni: il lettore medio progredisce sempre di più negli anni e determina anno dopo anno un saldo negativo in crescita costante. E nel gioco sterile e del tutto autoreferenziale del what if, non possiamo fare a meno di domandarci se il settore sarebbe oggi nelle stesse condizioni nell’ipotesi in cui gli editori avessero compiuto quello sforzo necessario per mantenere in catalogo titoli come La Ballata di Beta-2. Davanti agli occhi si schiudono così scenari ucronici dalle caratteristiche ben diverse dal panorama a cui siamo abituati. Se ai lettori più giovani fosse stata concessa una facile accessibilità alle opere di Alfred Bester, Fritz Leiber, Delany, Roger Zelazny, per citare solo alcuni tra gli autori più immaginifici e al contempo stilisticamente più ricercati e audaci, forse le case editrici non lamenterebbero le difficoltà attuali nel proporre i lavori più innovativi che altrove stanno ridefinendo le frontiere del genere. E magari l’intero ecosistema dell’editoria di fantascienza, ormai ridotto alle dimensioni di una nicchia da salvaguardare, avrebbe potuto trarne dei benefici.

Una possibile spiegazione, per quanto debole come giustificazione, di questa lunga assenza potrebbe essere data dalle note difficoltà di acquisizione dei diritti delle opere di Delany. Per riuscire a mettere nuovamente a disposizione dei lettori La Ballata di Beta-2, Urania deve avere affrontato un campo minato, non meno difficile della rotta seguita dal Popolo delle Stelle. E forse è un miracolo che alla fine Giuseppe Lippi sia riuscito a regalare agli appassionati un testo cruciale, che torna finalmente a disposizione dei lettori, e soprattutto dei lettori più giovani, se ancora ce ne sono di curiosi là fuori – e non vale la pena dubitarne, altrimenti sarebbe inutile qualsiasi sforzo di promozione, incluso il presente.

È principalmente a loro che si rivolge questa recensione, dal momento che possono finalmente riscoprire una di quelle porte ideali, se mai ve ne fossero, di accesso al genere. È bene che sappiano che intere generazioni di appassionati prima di loro non hanno goduto di altrettanta fortuna, costretti a battere a tappeto il mercato dell’usato alla ricerca di questo testo di culto, trascinati in una lunga odissea che li rimbalzava dai tascabili malandati delle bancarelle esposte agli agenti atmosferici, agli anfratti più profondi e polverosi delle sempre più rare librerie specializzate in remainder, solo per ritrovarsi magari alla fine a mettere le mani su una vecchia e polverosa edizione dalle pagine ingiallite.

La prima edizione de La Ballata di Beta-2, nella collana Galassia, risale al 1970: rappresentava la prima traduzione italiana di un romanzo – per quanto breve – di un autore di cui già venivano riconosciute qualità come la carica visionaria, l’originalità tematica, lo spessore stilistico e la forza di rinnovamento, per il quale il paragone con Theodore Sturgeon, Kurt Vonnegut, James G. Ballard e Cordwainer Smith non era affatto inappropriato. L’esordio assoluto di Delany in Italia risaliva appena a pochi mesi prima, con la pubblicazione del racconto Il tempo considerato come una spirale di pietre semipreziose nell’antologia Metamorfosi 1970, sempre per la Casa Editrice La Tribuna di Piacenza, lo stesso editore di Galassia. Nella loro presentazione della novella Vittorio Curtoni e Gianni Montanari, all’epoca curatori di Galassia e artefici della traduzione che ancora adesso viene riproposta da Urania, rivendicavano l’esclusiva con giustificato orgoglio: “[…] The Ballad of Beta-2 è un’opera avventurosa nel senso più completo della parola; ma ricca, piena, intensa. Contraddistinta, secondo noi, da quello che è il marchio della nuova narrativa di sf: perché il merito maggiore di Delany sta proprio nell’aver rinnovato tutto un genere, nell’aver indicato strade inedite, come del resto stanno facendo diversi altri autori, in America e altrove. Questa è l’avventura in cui siamo disposti a credere; mentre ci rifiutiamo di accettare per buone quelle opere che ripetono all’infinito le stesse idee e le stesse immagini. E se vogliamo affermare che The Ballad of Beta-2 è, nel suo genere, un capolavoro, è perché ne siamo assolutamente convinti” (Curtoni, Montanari, 1970).

La seconda e ultima edizione, prima di questa attesissima ristampa per Urania, risaliva al 1975, nel BiGalassia che la univa a un altro Delany cruciale di quegli anni, Babel 17 (cfr. Fantascienza.com).

È interessante e curioso notare che per via della loro brevità anche in America questi romanzi sono stati spesso abbinati in volumi doppi: benché Delany avesse desiderato fin dall’inizio riunire in un unico volume Babel 17 ed Empire Star (che vivono anche di un gioco di richiami e rimandi piuttosto sofisticato), nel corso del tempo ciascuno dei due romanzi è stato a più riprese accoppiato con The Ballad of Beta-2, che ha finito per giocare il ruolo del jolly. Solo nel 2001 il sogno dell’autore ha potuto avverarsi, grazie alla ristampa della Vintage Books di Babel 17 ed Empire Star in volume unico, mentre nel luglio 2015 è uscita per la stessa casa editrice la raccolta A, B, C: Three Short Novels, che riunisce The Jewels of Aptor, The Ballad of Beta-2 e They Fly at Çiron (quest’ultimo mai tradotto in italiano).

Quando scrive La Ballata di Beta-2 Samuel R. Delany non ha ancora compiuto ventitré anni, ma a suo modo è già un autore di lungo corso. Ha esordito appena diciottenne nel 1962 con I gioielli di Aptor e sta concludendo la pubblicazione del “ciclo delle Torri”: La città morta (1963), Le torri di Toron (1964) e La città dei mille soli (1965). Se ci vogliamo attenere alla segmentazione temporale della carriera di Delany proposta dal compianto enciclopedico Riccardo Valla (cfr. La Ballata di Samuel R. Delany di Riccardo Valla e Giuseppe Lippi, pubblicato in appendice al volume 148 di Urania Collezione, maggio 2015), il primo periodo è dominato da queste opere di impronta ottimistica, in cui però già s’intravede la complessità del Delany maturo, pur restando prevalentemente ancorato agli schemi avventurosi della science fantasy.

È il 1965 e La Ballata di Beta-2 segna la transizione verso la seconda fase, quella delle opere che meriteranno all’autore la popolarità e il plauso della critica, con i premi Nebula ottenuti dai romanzi Babel 17 (1966) e Una favolosa tenebra informe (1967) e dal racconto Sì, e Gomorra (1967), uno dei più rappresentativi della specificità delanyana, senza dimenticare la doppietta di Hugo e Nebula messa a segno dal racconto Il tempo considerato come una spirale di pietre semipreziose (1968).

Vale la pena ricordare come Delany rappresenti un’autentica singolarità nel panorama della fantascienza di quegli anni. Benché dislessico, riesce ad affermarsi come uno degli autori più originali della sua generazione, progredendo in un percorso di crescita che porterà la sua opera a ridefinire i confini stessi del genere, ponendosi come modello e punto di riferimento per intere generazioni dopo di lui. Nato ad Harlem nel 1942 (come riportavano le biografie fino agli anni Settanta, limitandosi ad alludere alle sue origini tutt’altro che WASP) da un impresario di pompe funebri e da una bibliotecaria, nipote del primo vescovo nero della Chiesa Episcopale degli Stati Uniti d’America, “Chip” Delany (come ama farsi chiamare dagli amici) è il primo autore afroamericano di successo in un campo che fino a quel momento possiamo considerare (con le dovute eccezioni, tra cui le voci tutt’altro che marginali di C.L. Moore, Leigh Brackett e Judith Merril) alla stregua di un club esclusivo per scrittori maschi bianchi, con una concentrazione abbastanza significativa di ebraico-americani tra le figure-chiave del settore (i maestri Alfred Bester e Isaac Asimov, per cominciare, ma anche Robert Bloch, Harlan Ellison, Robert Sheckley, Robert Silverberg, Barry Malzberg, l’editor di Galaxy Science Fiction Horace L. Gold e il fan e promotore Forrest J. Ackerman, artefice di una collezione di pubblicazioni e cimeli fantascientifici che nel tempo si sarebbe attestato come l’archivio più importante al mondo).

Altri autori di colore si erano cimentati in opere che non è scorretto ascrivere al genere, come per esempio la satira di Black No More (1931) del controverso George Schuyler, ma in campo specialistico Delany è un apripista e il suo ingresso sulla scena si compie in un periodo in cui si va definendo, principalmente nella musica e nell’arte, una sensibilità che sarebbe poi sfociata nell’afrofuturismo, a partire dall’originale connessione tra antiche culture africane e frontiera spaziale perseguita da Sun Ra fin dai titoli delle sue composizioni (cfr. "Quaderni d'Altri Tempi" n. 17 e "Quaderni d'Altri Tempi" n. 36). Lo stesso Jimi Hendrix, coetaneo di Delany, proprio sul finire degli anni Sessanta esploderà con tutta la forza della sua musica imbevuta dell’immaginario fantascientifico dei libri e dei fumetti di cui era stato vorace lettore fin da bambino.

Nel fervido clima rivoluzionario della New Wave che fioriva e maturava in quegli anni, contribuendo anche all’apertura del genere alle prospettive femministe di interpreti originali come Ursula K. Le Guin, Alice Sheldon/James Tiptree Jr. e Joanna Russ, Delany non subisce esplicite discriminazioni razziali, ma forse anche per via di più banali resistenze generazionali sperimenta sulla pelle gli effetti di un certo pregiudizio (cfr. Samuel R. Delany, Racism and Science Fiction, http://www.nyrsf.com/racism-and-science-fiction-.html). Inoltre Delany è gay, benché abbia sposato nel 1961 l’apprezzata poetessa Marilyn Hacker e insieme crescano una figlia, mentre il loro matrimonio, che durerà fino al 1975, assume forme piuttosto aperte. Di fatto, è un concentrato di esperienze quanto più lontano si possa immaginare dal prototipo dello scrittore di fantascienza

Pur senza conseguire nessuna laurea Delany frequenta corsi di matematica alla Bronx High School of Science e al City College di New York e per qualche tempo si cimenta anche come musicista. In quegli anni viaggia molto, soprattutto in Europa: tra il 1965 e il 1966 visita Turchia, Grecia, Italia, e poi Francia e Regno Unito.

In questo secondo periodo si concentra la parte quantitativamente più consistente e qualitativamente più importante della sua narrativa breve: Stella Imperiale, Il Buco tra le stelle, Corona, Al servizio di uno strano potere, tutti lavori che consolidano il ruolo di Delany nell’ambito della New Wave. Qui la complessità si somma alla problematicità: in alcuni casi il contesto fantascientifico sembra quasi un pretesto per riflettere, di volta in volta, su temi di rilevanza sociale (integrazione/segregazione, sessualità) o artistica (il linguaggio, la forma stessa del romanzo). Nel citato Babel 17 e in Nova (1968), due titoli memorabili tra i tanti, tali preoccupazioni toccano l’apice.

Negli anni successivi Delany si concederà un progressivo allontanamento dal genere, con una manciata di racconti a mantenere attivo un sottile, precario canale di connessione con la fantascienza, per poi tornare in gran stile intorno alla metà degli anni Settanta con i suoi romanzi in assoluto più ambiziosi e – parafrasando Giuseppe Lippi dall’introduzione della prima edizione italiana di Triton per Armenia – “titanici”: Dhalgren (1975), un romanzo-mondo che piuttosto sorprendentemente sarà anche il suo maggior successo commerciale (con cinquecentomila copie vendute solo nei primi due anni dall’uscita), e appunto Triton (1976).

Col tempo i romanzi a carattere pornografico, in cui Delany aveva cominciato a cimentarsi fin dal 1973 con The Tides of Lust, assorbiranno una quota crescente della creatività artistica dell’autore newyorkese. Negli anni Ottanta e Novanta, a parte le eccezioni del “ciclo di Nevèrÿon” e l’inedito (in Italia) Stars in My Pocket Like Grains of Sand (1984), il suo contributo al genere sarà di stampo saggistico e la sua analisi critica si amplierà ad abbracciare il più vasto spettro della letteratura postmoderna. Per la sua attività in questo campo Delany verrà insignito del Pilgrim Award e nel 2010 sarà uno dei cinque giudici della sezione narrativa del National Book Award, tra le massime istituzioni nel panorama della letteratura americana.

A partire dal 1988 Delany, dopo un certo numero di esperienze come ricercatore invitato presso diversi istituti americani (University of Wisconsin-Milwaukee nel 1977, SUNY Albany nel 1978, Cornell University nel 1987), si è dedicato soprattutto all’insegnamento: per undici anni con una cattedra in letteratura comparata alla University of Massachusetts Amherst, e poi insegnando letteratura inglese per un anno e mezzo alla SUNY Buffalo, prima di spostarsi dal 2001 al Dipartimento di Inglese della Temple University a Filadelfia. Ma la luce della sua stella non è mai tramontata sull’orizzonte del fantastico: negli ultimi anni le sue opere hanno ricevuto un’attenzione che ha consentito di valorizzarne l’importanza, sia sul piano artistico che su quello storico, attraverso riedizioni riviste con la collaborazione dello stesso autore.

E la fantascienza torna ad affacciarsi anche nella sua opera più recente, il romanzo Through the Valley of the Nest of Spiders (2012), che ha ricevuto recensioni appassionate anche dai critici del settore, benché l’opera tenda a sottrarsi a una rigorosa classificazione nel genere. Il senso della memoria, il ruolo della comunicazione, i vasti affreschi di civiltà spaziali nate dall’espansione umana nello spazio, sono tutti temi ricorrenti nella letteratura fantascientifica di Delany che troviamo qui ricapitolati in una sintesi ammirevole.

La Ballata di Beta-2 muove da un assunto già sviluppato da Robert A. Heinlein in Universo (Orphans of the Sky), che nel 1963 riunisce in volume due celebri novelle apparse nel 1941 sulle pagine della rivista Astounding Stories, Universe (maggio) e Common Sense (ottobre). Ma diversamente dal classico di Heinlein, contraddistinto da uno svolgimento lineare e dal passo veloce tipico di una storia d’azione, La Ballata di Beta-2 è narrata in tono quasi lirico e progredisce con uno sviluppo a strappi, che va dispiegandosi man mano che Joneny scava nelle pieghe del passato, riportando alla luce le tessere del mosaico fino a svelare l’enigma di Beta-2 e del Popolo delle Stelle.

L’opera risente stilisticamente di un gusto postmoderno per la digressione e la ricorsività, e soprattutto per la rielaborazione del mito. Come diverrà poi ancora più evidente in Einstein Intersection (ovvero il citato Una favolosa tenebra informe), Delany si diverte a reinterpretare le mitologie dell’antichità, portando avanti una riflessione sulla consuetudine diffusa nelle culture più o meno subalterne a derivare i propri miti da quelli preesistenti. In questo caso a fornire materiale narrativo per la sua storia di antropologia spaziale è nientemeno che la teologia cristiana: la storia di Beta-2 ricapitola la parabola di Cristo dall’immacolata concezione al martirio, ovviamente con le dovute varianti a impreziosirne la lettura e innescare un appassionante gioco di specchi con il prototipo. “Nei miti le cose si trasformano sempre nel loro opposto quando una versione si sostituisce a un’altra” dirà un personaggio in Una favolosa tenebra informe, e la riflessione si adatta perfettamente anche alla storia di Leela e del suo incontro con la misteriosa entità evocata dagli abissi dello Spazio Profondo.

Inoltre, come molti dei lavori di Delany in quegli anni, forse anche questa novella può essere letta come una riflessione sulla sua condizione di uomo di colore e gay: nella solitudine cosmica della creatura che per i coloni è fonte di terrore e spavento (al punto da battezzarla “il Distruttore”), come pure nel capovolgimento di prospettiva che mostra il suo miracoloso atto d’amore verso l’umanità (che, non dimentichiamolo, per prima ha invaso il suo spazio vitale), possiamo così leggere le angosce e i turbamenti di un ragazzo newyorkese che vede specchiarsi nella micro-dimensione privata del proprio vissuto l’irriducibile complessità del mondo intero.

“Una volta mi mandaste in un lungo viaggio,

per trovare colui dagli occhi verdi che vi fece come siete

e ho frugato la Città e le sabbie del deserto,

e non ho trovato nessuno che ne avesse colpa”.

In Delany capita con estrema facilità che la lettura si stratifichi. Ogni tema mostra una faccia doppia, quando non tripla o multipla: la memoria diventa anello di raccordo tra la storia e il mito e viene declinata ora come condanna (i passeggeri delle navi che conservano il sogno distorto della Terra perduta) ora come redenzione (l’impresa etno-antropologica compiuta da Joneny); la comunicazione viene presentata sia come strumento di propaganda che come presupposto inderogabile al contatto con altre civiltà; lo slancio verso la nuova frontiera spaziale assurge a simbolo stesso del futuro e tuttavia non può fare a meno del recupero del passato, come pure delle risorse segrete che si annidano nel vuoto stesso che separa le stelle e i pianeti.

Tra profeti non ascoltati e tribuni del popolo ascesi al ruolo di giudici infallibili, La Ballata di Beta-2 tocca risonanze perfino più profonde con le ferite ancora aperte della Shoah e della repressione stalinista in Unione Sovietica, senza dimenticare nemmeno il clima di sospetto alimentato dal maccartismo nell’America degli anni Cinquanta e il timore per un’escalation nucleare che si protrarrà per tutta la durata della Guerra Fredda. Ma se vogliamo, nella sequenza dei corsi e dei ricorsi storici, possiamo andare oltre e trovare connessioni anche con la Rivoluzione Culturale che Mao Zedong avrebbe scatenato di lì a qualche anno in Cina. Oppure arrivare ai giorni nostri – e qui sì che possiamo toccare con mano la grandezza di Delany e la lungimiranza della sua opera – e instaurare corrispondenze con le immagini di morte e disperazione che si susseguono sulle frontiere dell’Europa, dal Mediterraneo ai Balcani, prese d’assalto da ondate di profughi che ci costringono a fare i conti con le nostre politiche di accoglienza e integrazione, ma anche con le conseguenze delle scelte miopi e inadeguate che ci hanno condotti a questo equilibrio geopolitico sempre più fragile su cui si regge il nostro traballante Occidente.

La fantascienza è uno spazio di elaborazione, un laboratorio di analisi della realtà in cui possiamo passare in rassegna il ventaglio dei possibili effetti oppure seguire l’evoluzione degli eventi a partire da certe premesse. Quante volte il mondo si è specchiato in questa storia da quando Delany la diede alle stampe esattamente mezzo secolo fa? È anche per questa ragione che la sua lettura, oltre che fonte continua di stupore e meraviglia, è tuttora così attuale e ancor più preziosa per i lettori di tutte le età.

 


 

LETTURE

  Samuel R. Delany, Nova, Editrice Nord, Milano, 1973.
  Samuel R. Delany, La caduta delle torri (include La città morta, Le torri di Toron e La città dei mille soli), Longanesi, Milano, 1976.
  Samuel R. Delany, Il Buco tra le stelle, Robot 35, Armenia Editore, Milano, 1979.
  Samuel R. Delany, Sì, e Gomorra, Raccolta Robot 19 (include anche Il tempo considerato come una spirale di pietre semipreziose,
  Il Buco tra le stelle, Corona, Al servizio di uno strano potere), Armenia Editore, Milano, 1980.
  Samuel R. Delany, Storie di Nevèrÿon, Armenia Editore, Milano, 1980.
  Samuel R. Delany, Triton, Editrice Nord, Milano, 1995.
  Samuel R. Delany, Una favolosa tenebra informe, Fanucci Editore, Roma, 2004.
  Samuel R. Delany, Dhalgren, Fanucci Editore, Roma, 2005.
  Samuel R. Delany, Babel-17, Urania Mondadori, Milano, 2007.
  Samuel R. Delany, Racism and Science Fiction (http://www.nyrsf.com/racism-and-science-fiction-.html),
  in The New York Review of Science Fiction, Issue 120, 1998.
  Robert A. Heinlein, Universo, Mondadori, Milano, 2014.