Naufraghi del futuro perduto
di Gennaro Fucile
Si era a fine gennaio 1992, quando una nave cargo si
imbatté in una tempesta nel bel mezzo dell’oceano
Pacifico. La nave trasportava delle paperelle di gomma, quelle che di
solito sguazzano con i più piccoli quando fanno il bagnetto,
tenendogli compagnia. Tre container per un totale di oltre trentamila
pezzi (il carico comprendeva anche tartarughe, castori e rane) prodotti
da una fabbrica di Hong Kong (siamo all’alba della
globalizzazione, ricordiamolo) destinate alla The First Years Inc. di
Tacoma, Washington. Per oltre quindici anni questi singolari naufraghi
colorati hanno viaggiato per migliaia di chilometri seguendo le
correnti oceaniche, monitorati dall’oceanologo Curtis
Ebbesmeyer, che ne ha tratto preziose informazioni scientifiche anche
in funzione dello studio dei mutamenti climatici. Divennero anche
testimonial involontari, perché la scritta “The
First Years” era stampata ben visibile su ognuno di loro. Un
po’ alla volta, a partire dal 2000, le paperelle sono
sbarcate in punti diversi del pianeta: in Alaska, oltrepassando lo
stretto di Bering, altre in Sudamerica, altre ancora in
Oceania.
Qualche anno dopo, nel 1997, un'altra
tragedia dall’esito imprevisto. Ci spostiamo
nell’oceano Atlantico. Siamo di nuovo in inverno,
è il 13 febbraio. Infuriava una tremenda tempesta mentre la
nave cargo Tokyo Express si dirigeva verso New York con a bordo decine
e decine di container contenenti merci varie. Sessantadue di quei
container vennero persi in mare. Uno di questi conteneva ben 4.756.940
pezzi di Lego, di cui 3.178.807 sufficientemente leggeri per
galleggiare, che un po’ alla volta sono finiti per sbarcare
sulle coste della Cornovaglia. Di nuovo, anche Ebbesmeyer si
è messo a inseguirli, mentre ritrovamenti avvenivano anche
in Irlanda e nel Galles. A farne collezione e dedicargli una pagina su
Facebook ci ha poi pensato tale signora Tracey Williams che aveva
pescato i primi esemplari quando ancora viveva nel Devonshire, prima di
trasferirsi in Cornovaglia. C’è di tutto: bombole
da sub, alghe e fiorellini, draghi, polpi, scope da strega, pinne rosse
e blu, margheritine, spade, forzieri, curiosamente, molti elementi
accessori per fondali marini. A margine, resta da segnalare che in
entrambi i casi, paperelle e Lego, si è anche scatenato un
singolare collezionismo e un discreto culto.
Destini
singolari, oggetti nati per vivere in una dimensione quotidiana,
travolti da un insolito destino, da eventi troppo più grandi
di loro, giganteschi, che cambiano per sempre quelle esistenze.
Sul
finire degli anni Novanta, da un altro oceano, temporale in questo
caso, iniziarono a rientrare negli appartamenti, nei soggiorni, negli
angoli delle abitazioni destinati all’ascolto della musica,
altri oggetti che un autentico diluvio universale aveva spazzato via
perentoriamente. La digitalizzazione del mondo aveva quasi subito
mandato alla deriva, disperso l’oggetto principe
dell’industria discografica moderna: il disco analogico, il
long playing. Negli anni Novanta la riscoperta del favoloso mondo
dell’hi-fi, della lounge culture, della cocktail nation,
della space-age e di altri complementi d’arredo del moderno,
riportano alla luce vecchi album a trentatré giri,
ri-utilizzati da dj e musicisti, utilizzati per performance live o
semplice sampling. Un po’ alla volta, come le paperelle e i
polpi della Lego, emergendo da un abisso temporale, da
un’altra epoca (pochi anni in realtà) i vecchi
ellepì sono riapparsi, riguadagnando spazio anche nei
(pochi) negozi di dischi rimasti aperti e in quelli di pertinenza
dell’e-commerce.
Oh, quanti fantasmi ha
sempre in grembo il mare.
Piccole etichette
discografiche e grandi multinazionali del disco hanno ripreso a
pubblicare sul vecchio, immarcescibile vinile, offrendo una delle
migliori rappresentazioni di steampunk oggi disponibili, una sorta di
sorpasso sulla destra al presunto nostro presente futuristico da parte
del futuro passato.
Anche in
questo caso, forse è possibile studiarne il movimento
sotterraneo, come l’analisi delle correnti marine; qui,
però, sono le correnti dello spazio/tempo sotto
osservazione. In effetti, quando acquistiamo un album in formato LP,
compriamo un feticcio temporale, questo è evidente; se si
trattasse unicamente di una questione di maggiore qualità
d’ascolto, non si capirebbe perché spesso queste
edizioni riportano un codice di download che consente di scaricare la
versione digitale. Tra l’altro, nel caso di nuove
registrazioni, queste sono effettuate in digitale. Soprattutto, non si
capisce perché non avvenga altrettanto nell’home
video: nessuno si sogna di sostituire i blu-ray in HD con le
videocassette in VHS. Dunque? Sarà che la musica
è un veicolo più adatto a viaggiare nel tempo e
di tempo fuor di sesto, s/fuggito, tempo futuro svanito se ne avverte
il vuoto, il malessere, la malinconia e tracce persistenti, presenze
impalpabili, spettri?
Ne parliamo in questo nuovo
numero di Quaderni d’Altri Tempi.