Hyperion
(Hyperion, 1989) di Dan
Simmons La saga degli “Hyperion Cantos” di Dan
Simmons è una tetralogia costituita dai romanzi Hyperion e La
Caduta di Hyperion (1989-1990) e da Endymion e Il
Risveglio di Endymion (1996-1997). E’ una saga di grande
complessità, con uno straordinario numero di personaggi tutti collegati
tra loro. Il primo romanzo, per trama e stile di gran lunga superiore ai
successivi, ha vinto nel 1990 il Premio Hugo. Lo scenario è la nostra galassia, in cui
l’umanità – unica civiltà dotata d’intelligenza – ha
costituito l’Egemonia dell’Uomo, una federazione che unisce tutti i
mondi abitati. Minaccia all’Egemonia sono i temibili Ouster,
esseri umani modificati dall’ingegneria genetica e relegati al di
fuori dell’Egemonia, ma intenzionati a invaderla. Ma questo è solo lo
scenario, la vera vicenda – almeno nel primo romanzo – è costituita
invece dai sette pellegrini che si recano sul misterioso mondo di
Hyperion, scelto dagli Ouster come prima tappa dell’invasione.
Su questo mondo domina l’ombra dello Shrike, un’entità sul cui
conto non si sa nulla tranne il fatto che è un insaziabile carnefice e
uccide le persone a milioni. Scopo dei sette pellegrini è giungere
davanti allo Shrike ed “esprimere un desiderio”, che la creatura
esaudirà solo ad uno di loro, uccidendo gli altri. A turno, i sette
pellegrini raccontano la loro storia e i motivi che li hanno spinti a
recarsi in pellegrinaggio e ad esprimere il desiderio. Hyperion presenta una
formula narrativa originale che è alla base del suo straordinario
successo: una serie di storie collegate tra loro da una trama che funge
da cornice. Si tratta, insomma, di una versione in chiave squisitamente
fantascientifica dei Racconti di Canterbury di Chaucer, o – un
po’ meno – del nostro Decameron. E si tratta di storie di
grandissima qualità, che si reggerebbero in realtà anche da sole per
la loro validità letteraria. Il gesuita Lenar Hoyt racconta la storia
di Paul Duré, specie di missionario su un pianeta primitivo, che scopre
un culto cristiano indigeno e finisce suo malgrado crocifisso e
continuamente risorto. L'archeologo Sol Weintarub racconta la terribile
malattia contratta dalla sua giovane figlia, che la porta a dimenticare
ogni giorno i suoi ricordi e a regredire fisicamente fino allo stato di
neonata. La storia del poeta pazzo Martin Sileno, di grande genialità
per l’esperimento di uno stile completamente nuovo e che ha il suo
punto di forza nei vaneggiamenti del suo narratore. Un racconto che,
riprendendo temi di P. K. Dick e anticipando Matrix, mescola
intelligenze artificiali e androidi nonché un complotto per portare le
Macchine al dominio dell’universo. Peccato che Hyperion pone
solo le premesse, sviluppate poi nell’immediato seguito La Caduta
di Hyperion, che invece soffre di uno stile semplice intriso della
più pura hard-sf, sebbene eviti di scadere nel già visto grazie
a molte trovate intelligenti. Il romanzo riesce tuttavia a far tornare
al pettine quasi tutti i nodi posti nel primo libro, sebbene non tutto
venga svelato in questi due romanzi e infatti, sei anni dopo, Simmons
torna nell’universo di Hyperion aggiungendo alla storia Endymion e
Il Risveglio di Endymion. Qui l’universo è in parte cambiato:
ne La Caduta si assiste alla spettacolare fine dell’Egemonia,
un suicidio dell’umanità per impedire che le Intelligenze Artificiali
assurgano al potere assoluto. Ora però vi è una nuova ‘egemonia’
umana di carattere teocratico: è la Pax, dominata dal nuovo
Cristianesimo che ha trovato la sua forza nelle sorprendenti rivelazioni
avvenute su Hyperion fatte da Lenar Hoyt (il gesuita ora papa) e da
padre Paul Duré. I sette pellegrini dello Shrike sono in massima parte
deceduti, e ora tocca agli eredi di essi lottare per sconfiggere
l’oppressione della Pax e far luce sul mistero dello Shrike, non
ancora del tutto risolto. Il folle poeta Martin Sileno, ancora vivo
grazie a un processo di ibernazione, affida ad essi i tre compiti
fondamentali: distruggere la Pax, riportare la scomparsa Terra
(‘rubata’ non si sa da chi) nella sua orbita, e svelare il mistero
che circonda lo
Shrike. Le novità della formula e i pregi stilistici
che hanno fatto la fortuna di Hyperion svaniscono qui
completamente, ma la trama si regge grazie alla grande inventiva
soggettistica di Simmons. Un universo in ogni caso molto complesso e
affascinante, mai banale o scopiazzato, ricco anche di influenze di ogni
tipo: dagli stereotipi della fantascienza classica (la galassia tutta
umana alla Asimov o alla Herbert) alla minaccia delle I.A. passando,
come tipico di Simmons, per la hard-sf con lievi sfumature horror. Il
pregio di Simmons per quanto riguarda la sua tetralogia è l’essere
riuscito a riportare in auge, primo e finora ultimo tra gli scrittori
della sua generazione, il genere della space opera più pura. Non solo:
Simmons non ha dato vita a un mero ‘neoclassicismo’, ma ha
modernizzato l’esperienza della vecchia space opera arricchendola di
influssi delle più nuove correnti letterarie, creando un piacevole e
ben riuscito ibrido tra le due anime della fantascienza. Dan Simmons (1948) ha infuso nei suoi
pluripremiati romanzi di fantascienza la sua profonda conoscenza della
letteratura, da quella inglese a quella classica della mitologia greca.
Il premio Hugo per Hyperion, il
World Fantasy Award per il suo primo romanzo Il
canto di Kalì (1985), i
nove Locus Award e i quattro Bram Stoker Award finora accumulati
dimostrano che la strada è quella giusta. Tra il 2004 e il 2005 sono
usciti i romanzi Ilium e Olympos, da molti considerati al livello del ciclo di Hyperion.
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