“È buffo ma credo che Io sono leggenda sia il mio unico vero romanzo di fantascienza”. Così, dieci anni fa, in un’intervista concessa alla rivista italiana FantasyMagazine (2003), Richard Matheson etichettava il suo più famoso romanzo, da sempre fonte di grattacapi per i librai impegnati nell’arduo compito di riporlo nel giusto scaffale: un horror, un thriller, un fantasy, un romanzo di narrativa mainstream? No, fantascienza. E Matheson spiegava anche il perché: “Per scriverlo chiacchierai a lungo con una dottoressa e ho letto molte ricerche scientifiche sulle mutazioni. Tutti gli elementi biologici che presento nel libro per fornire una spiegazione all’esistenza dei vampiri sono assolutamente logici”. Proprio la logica alla base di Io sono leggenda rende questo romanzo così singolare nella vasta produzione di Matheson. Non perché la sua narrativa sia illogica nell’accezione generica del termine, ossia “senza senso”. Tutt’altro. Ma la scelta del termine da parte dello scrittore non è affatto casuale. Quando Matheson dice che nel suo romanzo l’elemento fantascientifico consiste nel fornire una spiegazione logica all’esistenza dei vampiri, intende dire che la sua è una spiegazione scientifica, o comunque fondata sul metodo scientifico, dunque “logico” per antonomasia. Non è sempre così nella narrativa di Matheson, e non potrebbe essere altrimenti. Scrittore di storie di terrore, gotiche, grottesche, fantastiche, soprannaturali, Matheson non è affatto a suo agio con la logica razionalista: non è difficile immaginarselo come Robert Neville, il protagonista di Io sono leggenda, nella scena in cui tenta goffamente di manovrare per la prima volta un microscopio, per poi scaraventarlo contro un muro e calpestarne con ira i frammenti. Si è certo tentati di definire Io sono leggenda un romanzo razionalista. È infatti la storia di un uomo qualsiasi, senza particolari capacità fisiche o mentali, che di fronte all’assedio continuo della sua abitazione da parte dei vampiri si ingegna per respingerne gli assalti. Costruisce una serra per coltivare l’aglio, un generatore a benzina per assicurarsi l’energia elettrica, si diletta con il fai-da-te per trasformare in una fortezza la sua villetta – tipica degli anonimi sobborghi della provincia americana degli anni Cinquanta – e ascolta la musica delle avanguardie del primo Novecento (apprezza Arnold Schönberg e definisce grossolani i gusti della sua ospite Ruth quando questa mette sul giradischi il secondo concerto per piano di Sergej Rachmaninov). Cede spesso alla depressione, certo. Si rifugia continuamente nell’alcol, come sembra indugiasse anche Matheson negli anni in cui scriveva il romanzo, ansioso per la sua difficile condizione economica. Ma trova poi il modo di risollevarsi e iniziare a studiare per individuare la causa scientifica del vampirismo, rintracciandola infine in un bacillo che trasforma l’organismo in cui attecchisce in un non-morto completamente schiavo del suo volere irrazionale di “saprofita simbiotico anaerobico facoltativo”.
Nel romanzo, Robert Neville
decostruisce una a una tutte le legende sui vampiri. Quelli che
circondano ogni notte casa sua, quelli in cui tutti gli esseri umani
(apparentemente) si sono trasformati, hanno paura degli specchi e delle
croci, e muoiono se colpiti al cuore da un paletto di legno. Ma quelle
reazioni non sono che l’effetto di un’isteria
inconscia prodotta dai falsi miti sui vampiri di cui è
imbevuta la nostra cultura. Consapevoli di essere diventati succhiatori
di sangue, i non-morti si identificano nei vampiri delle leggende e
reagiscono istericamente di fronte agli stessi strumenti che Van
Helsing impiegava per combattere Dracula nel classico eponimo di Bram
Stoker. Anche l’irrazionalità psicopatica trova
quindi una sua spiegazione scientifica, nell’America in cui
cominciano a proliferare in ogni città gli psicoterapeuti,
alle prese con le ossessioni di massa del pericolo comunista e della
bomba atomica. Il morbo vampiresco cala sulle città sotto
forma di spore, in continue tempeste di polvere forse prodotte dalla
guerra – ovviamente la famigerata Terza guerra mondiale
– ormai conclusa nel romanzo (ambientato nella seconda
metà degli anni Settanta, più di
vent’anni nel futuro quando esce per la prima volta).
L’aglio scatena una violenta reazione allergica nel microbo,
che sconvolge tutto l’organismo del suo ospite. La fotofobia
dipende dal fatto che le radiazioni ultraviolette del sole sono in
grado di distruggere il batterio. E così via. Tutta
questa razionalizzazione del vampiro non impedisce di fare di Io
sono leggenda un romanzo inquietante e spaventoso. Ma il
terrore, come teorizza lo stesso Matheson, non fa rima con orrore: a
lui non interessa descrivere corpi squarciati e arti smembrati, come
nella tradizione horror. È molto più spaventoso,
piuttosto, avere a che fare con le ansie di un uomo solo e circondato
in un mondo di vampiri. Lo aveva intuito tra gli altri il misconosciuto
Thomas Bailey Haldrich in quella sua sorta di haiku
incluso nella celebre Antologia della letteratura fantascienza
di Adolfo Bioy Casares, Jorge Luis Borges e Silvina Ocampo (2003):
“Una donna sta seduta sola in casa. Sa che nel mondo non
c’è più nessuno: tutti gli altri esseri
umani sono morti. Bussano alla porta” (www.quadernidaltritempi.eu/numero39). Questa
è l’essenza del capolavoro di Matheson, che certo
doveva essere rimasto molto colpito da quelle due righe incluse
nell’antologia pubblicata per la prima volta nel 1940.
È vero, ci fa paura quel che non conosciamo. E una volta che
il vampiro, alterità per antonomasia,
viene ricondotto nei confini razionali della scienza, non dovremmo
smettere di averne paura? Non necessariamente, perché nelle
ultime pagine del romanzo una nuova paura fa capolino, quella di un
mondo governato dai vampiri mutati, brutale ma ugualmente razionale, un
mondo di ombre impegnato a costruire un Nuovo Ordine in cui non
c’è spazio né per i non-morti
né per i non-vampiri. Anche quello fa paura,
perché non sappiamo cosa sia, non sappiamo quale sia il
confine tra i normali e gli altri. E difatti se ne rende conto anche
Robert Neville, prima di essere giustiziato: in quel nuovo mondo gli
altri sono normali, e lui è il mostro di cui tutti hanno
paura. Lui, non i vampiri, è leggenda.
Io
sono leggenda segue dunque uno schema che ricorre nella
narrativa di Matheson e che può essere ritrovato in altre
sue fortunate opere, da Tre millimetri al giorno
(2006) a Io sono Helen Driscoll (2009) fino a La
casa d’inferno (2008), tutti successivi di qualche
anno al suo romanzo più famoso. Come spiega esemplarmente
Valerio Evangelisti (2003), i romanzi di Matheson “sono tutti
tesi a cercare di dare regole allo spavento, a dominare
l’ignoto e il terrificante (che poi sono la stessa cosa)
tracciandone le mappe”. La fantascienza non
c’entra. Richard Matheson è semplicemente
l’H.P. Lovercraft della seconda metà del XX
secolo, che si ritrova a fare necessariamente i conti con la
mentalità scientista dei suoi anni. Ma che quella
mentalità gli vada stretta, diventa chiaro negli anni
successivi. Già a partire da La casa
d’inferno, Matheson inizia a virare con decisione
verso una propria interpretazione del paranormale. Se prima lo aveva
utilizzato come strumento narrativo, ora inizia a interessarsene anche
al di fuori del suo mestiere di scrittore, seguendo un filone di
pensiero che in quegli anni inizia a farsi strada negli Stati Uniti e
che cerca di individuare una base scientifica nei fenomeni paranormali
o ESP (alla stregua di quanto tenterà in qualche modo di
fare anche Philip K. Dick).
Del resto, il terreno in
cui Matheson cresce è particolarmente favorevole a queste
suggestioni. Egli è inizialmente un convinto appartenente
alla Chiesa Scientista, più vecchia e del tutto diversa da
Scientology (a cui invece approdano molti scrittori di fantascienza,
essendo il suo fondatore, L. Ron Hubbard, uno di loro);
successivamente, comincia a sviluppare un proprio pensiero metafisico
che traspare in diverse opere. Nel 1978 pubblica Al di
là dei sogni (1998), anch’esso come
molti romanzi divenuto poi noto grazie alla trasposizione
cinematografica di Vincent Ward (1999) con Robin Williams nei panni del
protagonista. Il romanzo di Matheson è lontano dalle sue
suggestioni inquietanti, ma recupera e anzi consolida la passione dello
scrittore per il paranormale. Al di là dei sogni
inizia come altre opere di Matheson, in cui il soprannaturale irrompe
con forza: c’è un fantasma, una medium, una serie
di messaggi provenienti dall’aldilà. Ma la
dimensione del terrore è del tutto assente. Lo stesso
autore, del resto, aveva ammesso di aver cominciato a stufarsi di
quell’etichetta appiccicata ai suoi romanzi e racconti fino
ad allora. Così, inizia ad analizzare la dimensione del
soprannaturale da un altro punto di vista, sempre fantastico, ma
depurato dalle sue tradizionali incrostazioni inquietanti e
lovecraftiane.
“Essendo del segno dei
Pesci, sono stato affascinato dalla parapsicologia, dalla metafisica e
dal soprannaturale fin da quanto ero adolescente”,
spiegherà Matheson in un’intervista, descrivendo
le radici filosofiche di Al di là dei sogni,
che affondano nell’induismo, nel buddismo, ma anche e
soprattutto nella teosofia e nella dottrina New Age (Dongre, 1999). Il
romanzo tratta della vita dopo la morte, in cui sono presenti solo
lontani richiami alla mitologia cristiana del paradiso e
dell’inferno (più forti nel film). Del resto, dopo
aver destrutturato la leggenda dei vampiri in Io sono leggenda,
fare piazza pulita delle leggende sull’oltretomba si rivela,
per Matheson, pura routine. In comune, le due opere condividono la
volontà di presentare uno scenario plausibile. Dopotutto,
Matheson non crede nei vampiri, ma in Io sono leggenda
immagina un modo logico e razionale in cui tutti gli esseri umani si
trasformano in succhiatori di sangue. Analogamente, pur non credendo
nella tradizionale iconografia cristiana
dell’aldilà, Matheson offre uno scenario credibile
– dal suo punto di vista – che possa dar conto dei
fenomeni come le esperienze pre-morte, o near-death
experiences (NDE), quelle che una rilevante percentuale di
americani sostiene di aver vissuto almeno una volta nella vita, e che
consistono principalmente nel percorrere un tunnel di luce.
Successivamente,
Matheson pubblicherà Come Fygures, Come Shadowes
(2003), inizialmente una serie di frammenti editi in raccolte di
racconti (in Italia ora è incluso nell’ultimo dei
quattro volumi di Tutti i racconti, recentemente pubblicati da
Fanucci), in cui affronta il tema dello spiritualismo e dei medium. Ma
c’è una forte distanza rispetto a La
casa d’inferno o ad altre opere in cui sono
presenti fenomeni paranormali rientrati nell’ampia categoria
dei poltergeist: manca l’intento di
incutere terrore o inquietudine nel lettore. Piuttosto, Matheson cerca
di rendere familiare l’intera dimensione del paranormale,
così come aveva fatto con il tema
dell’aldilà. In un’intervista,
dichiarerà infatti di considerare Al di
là dei sogni il suo romanzo più
importante, pur ammettendo che la sua fama resta legata soprattutto
alle prime opere, e in particolare a Io sono leggenda.
Spiega questa sua convinzione con il fatto che molti lettori hanno
smesso di temere la morte dopo Al di là dei sogni.
Detta da un autore celebre per le sue storie di paura, la frase suona
come un clamoroso voltafaccia. Ma se è vero,
com’egli spiega, che l’intera sua filosofia si basa
sul precetto “morire è nulla, vivere è
tutto”, allora è possibile rileggere
l’opera di Matheson sotto tutta un’altra luce,
completamente inedita.
La lotta di Robert Neville contro i
vampiri è la lotta della vita contro una non-morte che
è la negazione stessa dell’aldilà. I
vampiri non vivono davvero, si limitano a continuare a esistere grazie
al bacillo che infonde loro la linfa vitale. Non sono nemmeno morti,
ribellandosi di continuo al destino che li attende. Per questo, anche i
vampiri mutati che infine catturano Robert li combattono: essi
rappresentano una negazione dell’ordine naturale, sia del
vecchio che del nuovo. In sostanza, Io sono leggenda
è ben lontano dall’essere un romanzo razionalista
come spesso è stato definito dalla critica. Ancora una volta
è Valerio Evangelisti ha chiarire l’equivoco:
“La verità”, scrive
“è che Matheson attinge alla letteratura di genere
senza fare troppi distinguo. Da ogni filone prende ciò che
gli serve: dalla fantascienza la parvenza di razionalità,
dall’horror l’incombenza di
un’alienità totale e ostile, dal thiller
inquietudini e sudori freddi di un protagonista alle prese con una
realtà che non capisce e non può dominare. Il
tutto messo al servizio di una crisi individuale che domina il
proscenio per intero” (Evangelisti, cit.). Analogamente a
Lovecraft, il tema centrale della narrativa di Richard Matheson
è dunque il soprannaturale, mentre tutto il resto
è solo tecnica, espediente, non fine ultimo. La filosofia, o
meglio la fede, di Matheson, è esposta soprattutto in The
Path (1993), opera a metà tra saggio e romanzo che
può essere classificato nel genere
dell’apologetica, e in cui il protagonista viene gradualmente
iniziato al tema della vita dell’anima. Il sottotitolo,
“una metafisica per gli anni ‘90”,
suggerisce la sua finalità. Questo Matheson metafisico e
spiritualista è quasi del tutto sconosciuto al lettore
italiano, tradotto poco o nulla proprio per la sua distanza dai
classici che lo hanno reso famoso. La ripubblicazione
dell’opera omnia dei suoi racconti, tra cui un intero volume
di inediti, dovrebbe permettere una prima riscoperta di questa tendenza
“new age” a partire dai tardi anni
Settanta.
Paradossalmente, l’ultimo adattamento cinematografico di Io sono leggenda rispecchia maggiormente questa filosofia mathesoniana rispetto ai precedenti. L’autore aveva a più riprese espresso le proprie critiche nei confronti delle due trasposizioni classiche, l’italiano L’ultimo uomo sulla Terra (2009) di Ubaldo Ragona del 1964 (che pure aveva come protagonista un attore ricorrente in alcuni adattamenti delle storie di Matheson, Vincent Price), e l’americano The Omega Man (2008) del 1971 di Boris Sagal. Nel più recente I Am Legend (2009) il regista Francis Lawrence rilegge invece il romanzo in una chiave più orrifica e al tempo stesso più fideistica e antirazionalista ( www.quadernidaltritempi.eu/numero14). La sua maggiore distanza dal romanzo di Matheson sta nel cambiare completamente il senso del titolo, rimuovendo il tema di un “terza via” tra gli umani sopravvissuti e i vampiri non-morti. Questi ultimi, nel film di Lawrence, non parlano nemmeno e hanno perso ormai quasi ogni connotato di umanità. Fanno più paura, ma sono meno inquietanti, perché non rappresentano invece, come voleva Matheson, l’invisibile penetrazione dell’irrazionale dietro la maschera della normalità urbana, rappresentata dall’antagonista di Robert Neville, il suo vicino e collega di lavoro vampirizzato Ben Cortman. Sono insomma meno realistici. Mentre invece la vera forza di Io sono leggenda è nel realismo della sua ambientazione e del suo intreccio. Dopotutto, lo sforzo di Matheson consiste proprio in questo, dare “concretezza alle sue fantasie; non a rendere queste ultime razionali e rassicuranti” (Evangelisti, cit.). Non è forse vero che ogni leggenda ha il suo fondo di verità?
LETTURE
— Bioy Casares Adolfo, Borges Jorge Luis e Ocampo Silvina, Antologia della letteratura fantastica, Einaudi, Torino, 2007.
— Crovi Luca, Richard Matheson, in “FantasyMagazine”, 12 dicembre 2003, www.fantasymagazine.it.
— Dongre Archana, Matheson’s Metaphysics:
The author explains 'What Dreams May Come’
in
“Hinduism Today”, febbraio 1999,
www.hinduismtoday.com.
— Evangelisti Valerio, La leggenda Matheson, in Richard Matheson, Io sono leggenda, Fanucci, Roma, 2003.
— Matheson Richard, The Path: Metaphysics for the 90s, Capra Press, Santa Barbara, 1993.
— Matheson Richard, Al di là dei sogni, Mondadori, Milano, 1998.
— Matheson Richard, Come Fygures, Come Shadowes, Gauntlet Press, Colorado Springs, 2003.
— Matheson Richard, Io sono leggenda, cit., 2003.
— Matheson Richard, Tre millimetri al giorno, Fanucci, Roma, 2006.
— Matheson Richard, La casa d’inferno, Fanucci, 2008.
— Matheson Richard, Io sono Helen Driscoll, Fanucci, Roma, 2009.
VISIONI
— Lawrence Francis, Io sono leggenda, Warner Home Video, 2008.
— Ragona Ubaldo, L’ultimo uomo della Terra, Terminal Video, 2009.
— Sagal Boris, 1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra, Warner Home Video, 2008.