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ASCOLTI / OUT TO LYNCH


di Kalle Kalima & K-18 / TUM Records, 2012


 

Tu chiamale se vuoi... impressioni

di Roberto Colasante


 

Musica impressionista, musica del “vedere”.

Il chitarrista finlandese Kalle Kalima adopera il cinema come una tavolozza di colori in grado di cavalcare un’onda d’impressionismo astratto, così come suggerisce la copertina del suo ultimo album, Out to Lynch.

Distribuito dalla TUM Records, e registrato in studio con la collaborazione dei K-18 (nome preso in prestito dalla regolamentazione finlandese sui film vietati ai minori di 18 anni), composto dal sassofonista Mikko Innanen, dal bassista Teppo Hautaaho e dal fisarmonicista Veli Kujala, Out to Lynch è il secondo album del quartetto che raccoglie spunti, impressioni e impronte dal medium cinema.

Nel 2010, infatti, Kalle Kalima e i K-18 danno alle stampe, sempre per l’etichetta di Helsinki TUM Records, Some Kubricks of Blood, un album dedicato alla follia visionaria di Stanley Kubrick. Una celebrazione delle sue opere e una riflessione sull’universo musicale dei suoi film, riletto in chiave free jazz.

Con Out to Lynch, il gruppo finnico continua il viaggio di (ri)scoperta all’interno del cine-mondo e si “scontra” con un altro universo multisensoriale, quello di un altro regista statunitense: David Lynch.

Parafrasando l’espressione idiomatica inglese out to lunch, utilizzata dal jazzista polistrumentista e compositore americano Eric Dolphy per il titolo del suo ultimo album in studio, che significa non essere in contatto col mondo reale, essere stralunato, Kalle Kalima, col suo Out to Lynch, ricrea le atmosfere, altrettanto stralunate, delle opere del cineasta di Missoula.

L’impresa di Kalima non è quella di ricomporre o arrangiare diversamente le originali soundtrack della filmografia lynchiana, quasi sempre magistralmente orchestrate dal compositore Angelo Badalamenti. Piuttosto lascia trasparire le sue dirette sensazioni, derivanti dalla visione e, in alcuni casi, dal solo ricordo, delle opere del cineasta americano. Le distilla attraverso il suo ricco e incisivo vocabolario musicale, dall’avant-rock alla più pura improvvisazione jazz.

Il jazz come suono della sorpresa. Rischioso e seducente. Eccentrico e suggestivo.

Il clima muta costantemente da situazioni pacate, che rileggono il modern jazz, fino a sporgersi a momenti in cui prendono il sopravvento singulti tipici della musica creativa improvvisata, per poi concedersi a sezioni più intense dove il fuoco è quello del progressive rock. La sorpresa dietro l’angolo.

Il sound del quartetto procede come un organismo diretto verso destinazioni che variano lungo il percorso, dove la perdita del controllo diventa parte del gioco. Parte del viaggio.

Un electrononsense che ricerca lo straniamento. Il sublime nell’imperfezione. L’impronta lynchiana è forte e si “vede”.

Kalima utilizza la sua chitarra come sorgente di (r)umori. Sbatte, stritola, graffia le sei corde, più che suonarle, quasi come se i misteri di Lynch fossero nascosti tra di esse e le figure che popolano i suoi film venissero fuori con tutta la loro vivente fragilità dalle pieghe del mondo, attraverso un corto circuito sonoro.

Perfettamente integrati, i K-18 riescono a ricreare un’esperienza sonica affine a quella visuale. Un itinerario selvaggio affollato di pittoresche scene sognanti e immagini oscure, che, allo stesso tempo, seducono e stressano il video-ascoltatore. Il medesimo effetto che si ottiene durante la visione di una sua opera. Dapprima uno shock, poi una vertigine e infine un’esperienza multisensoriale piena.

I brani di Out to Lynch, strutturati come mondi incastrati l’uno nell’altro, come complessi puzzle polifonici, richiedono un ascolto ripetuto, attento e senza pregiudizio. L’unico modo per avere diritto d’asilo in una dimensione onirica a più livelli. L’unico biglietto disponibile per un viaggio turbolento tra le highways della mente, a prescindere dalla destinazione finale (che potrebbe anche non esistere).

L’azione del suono è innanzitutto quella di stratificare, di costruire una texture multiforme e dinamica. Si frammenta e si riassume, sfrutta tutte le sue possibilità di “arte del tempo” (così come il cinema).

È in questo senso sinestetico che dai suoni e dai rumori, sospesi tra l’organico e l’inorganico, emergono sempre delle immagini. “Cose” concrete e astratte al tempo stesso, che lavorano più che essere lavorate. Che fuoriescono da una membrana sottilissima come uno schermo o uno spartito.

Lynch sposta il centro della percezione dallo sguardo ordinato del soggetto all’ascolto indeterminato di suoni, musiche e parole che sfuggono alla definizione di un centro che ne sarebbe l’origine. Un passaggio continuo dall’occhio all’orecchio. La musica di Kalima, viceversa, squarcia quest’orecchio e lo tiene in ostaggio, come in Blue Velvet del 1986 (Velluto Blu, 2002) per tutta la durata dell’album. E proprio come nel film, il canale auricolare diventa luogo di accesso al mondo finzionale.

Un varco dimensionale. Ogni brano della tracklist si riferisce, riconsidera e ritrova un personaggio dei film del regista americano, realizzando un ritratto acustico che si accosta a ogni singolo sussulto (dis)armonico e se ne distanzia. I riff distorti del chitarrista finlandese, nel brano Bob, danno inizio all’album conducendo l’ascoltatore tra gli orrori che si nascondono tra i boschi di Twin Peaks (I segreti di Twin Peaks, Stagioni 1 e 2, 2011). Fagocita i sentimenti e stravolge le sensazioni. I K-18 lo doppiano e lo rincorrono, così come il Male assoluto della serie cult scombussola il reale, posizionandosi accanto ad esso. Non al di sotto e nemmeno al di sopra. Vive seguendo lo stesso passo, come un parassita. Un eterno doppio. Un virus esistenziale.

La silenziosa improvvisazione del brano Elephant Man combacia perfettamente con la tormentata vulnerabilità di John Merrick (The Elephant Man, 2002).

Mulholland Drive, come il film (Mulholland Drive, 2001), è invece un immaginario trip psichedelico attraverso Hollywood, nel quale il sassofono di Mikko Innanen diventa un clacson ossessivo e ripetuto.

Eraserhead, ispirato all’opera prima del regista (Eraserhead – La mente che cancella, 2010), introduce ritmi contrastanti che sembrano provenire da una tribù industriale. Un caos spirituale.

Il brano Laura Palmer comunica la fragilità e il mistero dell’adolescenza. La musica sottolinea il cambiamento, la crescita. Il passaggio tra le esistenze.

Le dediche agli amanti di Wild at Heart del 1990 (Cuore Selvaggio, 2010) nei brani Lula Pace Fortune e Sailor, sono intime e sensuali, con improvvisi sbalzi sonori, simili a lamenti nel cuore della notte, mentre in Alvin Straight, dal protagonista di Straight Story del 1999 (Una storia vera, 2007) si mantiene la semplicità e la dolcezza narrativa del film con una gentile ballad.

La crisi esistenziale e la molteplicità dell’individuo sono “raccontate” nel brano Mystery Man, il fantomatico demiurgo di Lost Highway del 1997 (Strade perdute, 2002) nel quale i quattro musicisti interrompono la continuità orchestrale, esibendosi, a tratti, singolarmente.

Il brano Frank Booth ricorda limpidamente i turpiloqui di Dennis Hopper in Blue Velvet. Pugni musicali. Urla e minacce sonore che stuprano i timpani.

Misterioso, nervoso, bizzarro, vibrante. In Out to Lynch, Kalle Kalima e i K-18 compiono una riflessione open-minded, sul jazz, sul cinema e l’arte in generale, che restituisce e ricostruisce un immaginario perturbante tipicamente lynchiano. Un’impressione d’impressioni, o così o niente.

 


 

ASCOLTI

  Eric Dolphy, Out to Lunch, Blue Note, 1964.
  Kalle Kalima & K-18, Some Kubricks of Blood, TUM Records, 2010.
  David Lynch & John Neff, BlueBob, Soulitude Records, 2001.
  Lynch David, Crazy Clown Time, Sunday Best Recordings/Play It Again Sam, 2011.

 


 

VISIONI

Dalla cinematografia di David Lynch:

  Mulholland Drive, Studio Canal, 2001.
The Elephant Man, Universal, 2001.
Strade perdute, MK2, 2002.
Velluto Blu, MGM Home Entertainment, 2002.
Una storia vera, Universal, 2007.
Cuore Selvaggio, Universal, 2010.
Eraserhead – La mente che cancella, Rarovideo, 2010.
I segreti di Twin Peaks, Stagioni 1 e 2, Paramount, 2011