LETTURE / VLAD
di Carlos Fuentes / Il Saggiatore, Milano, 2012 / pp. 120, € 12,00
Messico e nuvole rosso sangue
di Marco Meloni
Il Messico è una terra di magia antica e di ritualità radicate nella società. Dal periodo precolombiano ad oggi si sono conservati e maturati culti che sposano cristianesimo, paganesimo e magia animista. E che si fondono con la modernità secondo una chiave originale e personalissima di sviluppo. Paesaggi desertici che si alternano a spiagge bianche e alberghi extralusso, foreste che lasciano spazio a grattacieli e al ronzio di automobili sempre più grandi e veloci. In un trionfo di croci, sangue, colori. Un paese in cui è normale vivere di consumismo e sacralità, di spiriti silenziosi e rumori della metropoli. Lo storico Gilbert Highet nel 1953 affermava: “Quando andrai a Città del Messico troverai che è una sorta di incrocio tra la moderna Madrid e la moderna Chicago, con aggiunte sue particolari; ma se andrai a Città del Messico tramite la storia la troverai distante come se fossi su un altro pianeta: abitata da barbari acculturati, sensibili e crudeli, altamente organizzati e ancora all’età del rame, una collezione di incredibili contrasti” (Highet, 1953).
Ambientare una storia di vampiri a Città del Messico sembra quindi sulla carta un’idea tanto geniale quanto intrigante. Poter lavorare su questo misticismo sotterraneo, renderlo parte della narrazione, arricchire una figura fin troppo abusata e stereotipata come quella del vampiro di nuovi caratteri. Evitare il rischio che, presto, tutti i nosferatu si illuminino alla luce cercando di sedurre giovani adolescenti americane. O che i loro nomi somiglino sempre più a quelli dei rampolli delle famiglie ricche delle soap opera. Un terreno fertile, da cui partire per esplorare nuove anime, nuovi colori di una figura umbratile e troppo spesso tagliata solo con i bianco e il nero. Per usare una metafora letteraria, spostare Bram Stoker nella latinità di Isabel Allende, o di Gabriel García Márquez, per ridare vita a un non-morto alle prese con mutazioni genetico-letterarie pericolose. Nella letteratura sudamericana, seppur ovviamente essa non sia omogeneizzabile ad un unico genere o a pochi topoi ricorrenti, è spesso presente il binomio amore-morte, e la speranza di bloccare, combattere, sconfiggere il passare del tempo e il decadimento fisico. In Cent’anni di solitudine Márquez sottolinea come il processo di decadimento, personale o di un luogo, sia tale da essere inarrestabile ma impossibile da comprendere pienamente in ogni suo istante o passaggio: “Erano le ultime cose che rimanevano di un passato il cui annichilamento non si consumava, perché continuava ad annichilarsi indefinitamente, consumandosi dentro di sé stesso, terminandosi in ogni minuto ma senza terminare di terminarsi mai” (Márquez, 1968).
Il Messico ha una solida tradizione filmica dedicata al vampiro. Nel cinema, fra gli anni Cinquanta e Sessanta registi quali Federico Curiel, Fernando Méndez e Alfonso Corona Blake dirigono, spesso citando apertamente opere di matrice anglosassone, film dedicati a Dracula, alle sue spose, dando origine a una filmografia di genere che in appena un decennio produce almeno una quindicina di film. E che si mantiene piuttosto prolifica ancora oggi, con in media un film ogni due anni dedicato al succhiasangue o ai suoi eredi. Un’industria culturale ricettiva rispetto a questa figura dell’immaginario collettivo, che si potrebbe rafforzare e contraddistinguere proprio nella contaminazione e nella capacità di adattarsi a un differente sistema sociale.
Il Vlad di Carlos Fuentes, tuttavia, sfrutta pochissimo il contesto in cui sceglie di operare. Tranne poche, fugaci descrizioni dell’amore del protagonista Yves Navarro per la moglie Asuncion, nulla è dato del mondo e della Weltanschauung dei protagonisti. L’attenzione, in 88 pagine, si concentra sul passato storico di questa figura, sulla sua ferocia. Che però – e qui è il vero colpo di scena, l’elemento nuovo della narrazione – è molto umana. Dracula non è un mostro primario, non è lui che ha diffuso il morbo vampirico nel mondo. Ne è stato lui per primo vittima, assaporando il gusto e i vantaggi della vita eterna. Ma l’eternità ha bisogno di compagni perché non diventi una infinita solitudine, e così Vlad cerca di creare una famiglia, un clan, con cui condividerla. Sconfiggendo la grande paura della morte, della malattia, della sofferenza.
“Hai imparato a cibarti della terra. Hai imparato a vivere sepolto. Hai imparato a non vedere mai la tua immagine. Quando hanno iniziato a darti la caccia mi sono candidamente offerta. Nessuno sospetta di una bambina. Ho approfittato del mio aspetto, ma sono tre secoli che vago nella notte. Sono venuta a proporti un patto. Esci da questa prigione e unisciti a noi. Ti offro la vita eterna. Siamo una intera legione. Hai trovato la tua compagnia. Il prezzo che dovrai pagare è poco o niente”.
Il testo è tutto qui, in questa grande affermazione della “parte del diavolo” maffesoliana, nella difesa di un sentimento molto umano e condiviso: la voglia di essere, di non sparire, di vincere la sfida con il tempo e con la fine della nostra esistenza. Tutto il resto è fin troppo essenziale, stereotipato, alle volte irritante nella sua semplicità e manierismo.
Alan John Scarfe, alias Clanash Farejon, nel suo libro I vampiri di Ciudad Juárez (2010), racconta un tipo diverso di vampiri, i cosiddetti “vampiri sociali”. Narcotrafficanti, signori della guerra, uomini senza scrupoli che portano sangue e devastazione per tutto il Messico. E che, con una polizia impotente e a volte connivente, creano realtà incredibilmente fosche e orrorifiche, come Ciudad Juárez, la città delle donne scomparse, uccise, mutilate: l’inferno reale fatto proprio da Roberto Bolaño nel suo 2666 (2009). Anche qui un vampiro reale c’è, ma è una metafora potente, utile a raccontare un sistema, un modo di vivere, una società. A contatto con una delle diverse anime del Messico di oggi, tristemente e forse anche sommariamente accennata e descritta anche dal film Bordertown di Gregory Nava (2007), quella della violenza di genere al confine con gli Stati Uniti e della forte omertà nei confronti di questi delitti.
L’idea di descrivere i potenti e i criminali come vampiri non è nuova né nella letteratura né tantomeno nella tradizione popolare. Nicolae Ceauşescu fu da molti considerato un vero e proprio succhiasangue, per la sua politica di sacrifici e violenze. E la stessa leggenda di Vlad Ţepeş si deve alla sua incredibile ferocia e sete di sangue. Ma se questo espediente aiuta, come nel caso di Clanash Farejon, a entrare più direttamente in un clima, campo di esperienze e forze sociali, è un elemento funzionale accettabile. Il romanzo di Carlos Fuentes, più aderente alla storia narrata da Bram Stoker, non esce però da una semplice emulazione del testo a cui si ispira. Prevale così la sensazione di un’opera dalle potenzialità inespresse, che si limita al semplice svolgimento del tema e non ne approfitta per una trattazione originale. Persa in poche immagini fin troppo esplorate ma incapace di narrare in modo coerente ciò che accade ai personaggi della storia; una essenzialità che depaupera un punto di vista e un frame interpretativo sulla carta originale e vincente.
Come nel mondo esistono non-luoghi, capaci di essere ovunque e da nessuna parte, così forse esistono anche dei non-libri, testi che possono essere ambientati ovunque e senza alcun legame, senza alcun riferimento forte alle tradizioni, ai valori, all’immaginario che cercano di richiamare. E così come i non-luoghi, anche in questo caso il senso di spaesamento e di disagio del lettore non si affievolisce mai, pagina dopo pagina.
LETTURE
— Bolaño Roberto, 2666, Adelphi, Milano, 2009.
— Farejon Clanash, I vampiri di Ciudad Juarez, Gargoyle Book, Roma, 2010.
— Highet Gilbert, Peoples, Places and Books, Londra, 1953.
— Márquez Gabriel García, Cent’anni di solitudine, Feltrinelli, Milano, 1968.
— Stoker Bram, Dracula, Mondadori, Milano, 1979.
VISIONI
— Blake Alfonso Corona, El mundo del los vampiros, Cinematográfica Absa, 1960.
— Curiel Federico, Las mujeres de Dracula, Filmica Vergara Comisiones, 1967.
— Méndez Fernando, El Vampiro, Cinematográfica Absa, 1957.
— Méndez Fernando, El Ataúd del Vampiro, Cinematográfica ABSA, 1957.
— Nava Gregory, Bordertown, Medusa Film, 2007.