VISIONI / KAREL THOLE – PITTORE DI FANTASCIENZA
a cura di Fabio Massimo Manini / Fondazione Rosellini, Senigallia, 2012 / pp.184, € 35
L'olandese volante come un UFO
di Gennaro Fucile
Nel luglio del 1960 uscì nelle edicole italiane il numero 233 di Urania, l’allora giovane rivista pubblicata da Mondadori e oggi sessantenne che ha fatto la storia della fantascienza in Italia (vedi "Quaderni d'Altri Tempi" n. 40).
Il romanzo di turno, L’impossibile ritorno (The Time Kings era il titolo originale) portava la firma di tale J.B. Dexter, uno degli pseudonimi utilizzati dallo scrittore inglese John Stephen Glasby. Uno scrittore modesto di cui non si ricorda niente di significativo, compreso questo romanzo dimenticato, mai ristampato in Italia. Eppure, quel numero di Urania era destinato a entrare nella storia, a fungere da Numero Uno come la monetina di Paperon de’ Paperoni, perché a partire da quel numero iniziava la collaborazione con il periodico mondadoriano di Karel Thole, l’illustratore delle copertine Urania per eccellenza. Fuori dall’ambito degli appassionati di fantascienza, degli acquirenti più o meno regolari della rivista in edicola, Thole è stato quasi ignorato e, pur vantando un gran numero di mostre soprattutto all’estero, la modesta bibliografia italiana a lui dedicata ne costituisce purtroppo una prova. A colmare questo vuoto ha pensato la Fondazione Rosellini per la letteratura popolare con un volume dedicato all’artista olandese. Stampato in carta lucida e con riproduzioni ad alta definizione cromatica, il volume è ordinabile presso il sito della Fondazione (www.fondazionerosellini.it), o scrivendo a info@fondazionerosellini.it, e fa seguito ad un analogo lavoro, pubblicato nel 2010, dedicato ad altri due illustratori di storie fantascientifiche: Caesar & Jacono, che lavorarono con Urania fino al 1962. Vengono qui antologizzate, in rigoroso ordine cronologico, tutte le copertine realizzate da Thole per Urania con l’aggiunta di quelle disegnate per le altre collane affini: Millemondi, Serie Blu, Doc Savage e I classici della SF, più alcuni bonus, per usare un linguaggio discografico: la sovracoperta della prima edizione (1966) dei racconti di Howard Philip Lovecraft, I mostri all’angolo della strada, ad esempio, e alcuni autoritratti, tra cui spicca per humour noir quello dove si ritrae sul letto di morte, tratto dal volume Le primavere del mostro del 1972. Completano il tutto i saggi di Gianni Brunoro, Giulio C. Cuccolini, Giuseppe Festino (notevole illustratore che sottolinea nel suo saggio, a più riprese, l’incessante sperimentazione tecnica praticata da Thole), Giuseppe Lippi (l’attuale direttore di Urania), autore anche di una lunga intervista a Thole qui puntualmente riportata, Franco Spiritelli, Carlo Fruttero e Franco Lucentini. Di questi ultimi si ripubblica la divertente descrizione del funzionamento delle commissioni a Thole, un testo che comparve originariamente come introduzione al volume Manuale dell’ignoto (a cura di Fruttero & Lucentini, 1981), uno dei pochi consistenti omaggi italiani all’artista olandese, quantomeno in virtù della maggiore circolazione garantita da un editore di peso come Mondadori. Ne è passato di tempo da allora, però, e la domanda torna d’attualità: chi è Karel Thole?
Come si può leggere sul sito ufficiale: “Karel Thole nasce il 20 aprile 1914 a Bussum, città dei Paesi Bassi a Sud Est di Amsterdam. […] Seguendo la sua vocazione artistica, Karel frequenta la facoltà di disegno presso la prestigiosa sede del Rijksmuseum di Amsterdam. I primi anni di lavoro sono indirizzati al campo pubblicitario e «cartellonistico». Durante quel periodo Thole disegna manifesti pubblicitari, esegue ritratti, pitture murali ed illustrazioni in bianco e nero per alcuni libri e inizia a disegnare le prime «copertine». […] Nel dopoguerra la sua attività si dirige verso il mondo dell’illustrazione e dell’editoria, settori che lo consacreranno tra i migliori illustratori. Oltre ad illustrare numerosi libri e periodici olandesi, Karel collabora infatti in quel periodo con più di cinquanta editori differenti, sue sono le illustrazioni per la versione olandese della celebre saga di Guareschi «Don Camillo». […] Nel 1958 si trasferisce con tutta la famiglia in Italia, a Milano”.
È il 3 luglio 1960, esce il primo numero di Urania con la copertina firmata da Thole. Alla Mondadori venne ingaggiato dall’allora direttore artistico Anita Klinz, che si trovò a dover sostituire Caesar (al secolo Kurt Kaiser) il quale non poteva più garantire continuità settimanale. Era iniziata un’epoca.
Thole lascerà il segno perché inimitabile, unico, inconfondibile, immediatamente riconoscibile, differente da quanti lo avevano preceduto. Nelle sue copertine l’inaspettato, il radicalmente diverso irrompe sistematicamente in un mondo altrimenti ordinario; oppure è la dimensione quotidiana, consueta, abituale a mostrare/svelare tratti inquietanti, squarci da cui fanno capolino frammenti di mondi differenti, rimossi, occulti. Le creature che abitano le tavole di Thole non sono mai del tutto aliene, mai del tutto terrestri, mai del tutto punto: a volte sono brandelli, oppure corpi eccessivi. Le macchine, gli edifici, appaiono inadatti all’umano, gli spazi non coincidono mai del tutto con quello che siamo abituati ad attraversare. Sullo sfondo o in primo piano c’è sempre qualcosa che ha scatenato paura, terrore e spaesamento. I mondi di Thole sono fondati sullo straniamento, sono perturbanti e sfuggono anche a una possibile datazione, sono inattuali, perché in netto anticipo sui tempi. Thole passeggiò con disinvoltura tra i generi, miscelando insieme le figure tipiche della fantascienza più tradizionale, astronavi, dischi e altri oggetti volanti, Bem (mostri dagli occhi d’insetto), creature dello spazio, spesso invasori minacciosi, mostri, grazie ai reiterati prelievi dall’horror, dal fantasy da un lato e dal surrealismo dall’altro, attingendo a piene mani alla sorgente dell’ignoto, ovvero all’inconscio, e le donne di Thole, umane ma non troppo, aliene ma troppo aliene per esserlo davvero, quanto più erotiche tanto più minacciose, ne sono straordinarie raffigurazioni. In netto anticipo sui tempi, quindi, prefigurando la progressiva contaminazione tra i generi popolari e tra questi e quelli cosiddetti alti, accademici.
La grande tavola (66 x 27 cm, si pensi che Thole lavorava in genere in formato quasi 1:1) realizzata per la citata antologia lovecraftiana, I mostri all’angolo della strada, contiene un po’ tutte queste influenze e suggerisce, come direbbe Jorge Louis Borges, i suoi predecessori. Un insieme di edifici altamente improbabili, che presenta caratteristiche architettoniche e coreografiche solo in parte riconoscibili, appartenenti al mondo classico e rinascimentale, ma strutturalmente alterate, deformate seguendo prospettive deformate a fish eye, impossibili, un po’ come avviene nel lavoro di un altro grande olandese del Novecento: Maurits Cornelis Escher. L’intera scena è abitata da creature aliene la cui natura rimanda al camaleonte tranne in un caso, dove l’origine appare ancora più incerta e di cui il calco è probabilmente rintracciabile nella fauna marina. Paesaggi alieni del genere si ritrovano anche in alcune copertine per Urania, ad esempio quella utilizzata per l’antologia di vari autori, Le rovine di Marte (numero 416 del 26 dicembre 1965).
Il primo degli antecedenti ipotizzabili si può fisicamente visitare a Hauterives, nella regione francese del Rodano-Alpi: 26 metri di lunghezza per dodici di altezza, il Palais Ideal come amava chiamarlo il suo autore, Ferdinand Cheval (vedi "Quaderni d'Altri Tempi" n. 6), di professione postino. Una cattedrale di pietra costata al suo autore novemila giorni, sessantacinquemila ore di lavoro, “sogno oscuro di cose inquietanti”, per dirla con David Lynch, un singolare pantheon dove vivono in promiscuità divinità dell’antico Egitto e tempietti indù, un luogo costellato da esseri tratti di peso dalla personale zoologia fantastica di Cheval, e da un manuale di botanica di chissà quale dimensione parallela alla nostra. Incontrarvi qualche creatura appartenente alla mitologia lovecraftiana non dovrebbe meravigliare il visitatore. Atterrirlo e attrarlo al tempo stesso questo sì, però, e capita altrettanto osservando la tavola di Thole.
Il postino Ferdinand non passò inosservato agli occhi dei maggiori esponenti del surrealismo, a partire da André Breton che ne L’arte magica lo indicò tra i precursori del movimento. Una suggestione che si riversa integralmente ne L’occhio del silenzio (1943-44), lavoro a olio di Max Ernst dove prende forma un’architettura paranormale, un incubo abissale fatto di materia porosa, templi per creature innominabili, o esseri informi che assomigliano a edifici sacri dai quali globi oculari alieni ci osservano. Si riguardi la tavola di Thole, anche qui strutture circolari ricavate senza alcun perché (finestre? cunicoli? motivi ornamentali?) negli edifici sembrano rivolgere lo sguardo verso l’osservatore. Il surrealismo si addiceva a Thole, che lo conosceva eccome, Max Ernst (da lui citato nell’intervista con Lippi summenzionata), ma anche Salvador Dalì, come testimonia tra le tante la copertina del numero 398 di Urania per Gli Invasati di Jack Finney (22 agosto 1965).
Stati di alterazione mentale, follia, sogno, surrealismo ed esoterismo, per trovare una buona sintesi pre-Thole occorre spostarsi in Umbria, a Montegiove, una località in provincia di Montegabbione. Qui l’architetto e designer Tomaso Buzzi acquista nel 1957 un terreno adiacente a un convento del Duecento dove dimorò San Francesco. Lo scopo: costruirvi una città ideale costruita a partire dalla Hypnerotomachia Poliphili, il primo poema italiano illustrato (da Aldo Manuzio), opera del 1499 attribuita a Francesco Colonna. La struttura è nota come La Scarzuola. Si compone di sette scene teatrali concepite come altrettante tappe iniziatiche di un viaggio nella vita. Profonda era infatti la suggestione esercitata su Buzzi dalla cultura massonica settecentesca. Lui, architetto di giardini, aveva tra le fonti d’ispirazione “il parco di Monceau del duca di Chartres, Gran Maestro del Grande Oriente di Francia; il parco di Canon, nell’Eure, di Elie de Beaumont; il parco di Castille, presso Uzès, Ermenonville, del marchese de Girardin; Belœil, nell’Hainaut, un giardino allegorico fatto costruire dal principe Charles-Joseph de Ligne; e infine Wörlitz (Halle), del principe von Anhalt-Dessau” (Mosser Monique, Teyssot Georges, 1990). Il risultato è sconvolgente: scale, scalette, bassorilievi, mostri, statuine, osservatori astronomici, templi, pozzi di meditazione, labirinti, palcoscenici teatrali, citazioni bibliche, come se le città invisibili di Italo Calvino si fossero date appuntamento tra i boschi umbri e, faticando a trovare spazio, avessero lasciato solo un frammento a testa come segno di partecipazione. Anche qui almeno un occhio ci guarda, quello di Atteone costruito per Il Vascello, ovvero il palcoscenico del Teatro all’Antica chiamato anche Anfiteatro Superiore. Il progetto oltreumano di Cheval, i sogni di altre dimensioni di Ernst si coagulano ne La Scarzuola di Buzzi, quasi una prova materiale che i luoghi disegnati da Karel Thole, come la grande tavola lovecraftiana, esistono, perché come scrisse Calvino proprio nelle Città invisibili: “Tutto l’immaginabile può essere sognato, ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra” (Calvino, 2012).
Ogni copertina di Urania firmata da Thole è in qualche modo una tessera dell’immaginario non solo novecentesco, di cui ciascuna conserva le tracce, ma alchemicamente ricombinate con elementi del repertorio fantascientifico classico. È un esercizio che si può eseguire con qualsiasi illustrazione di Thole. Si prenda la copertina realizzata per il romanzo Chirurgia per la terra di James White (Urania n. 984 del 16 dicembre 1979). Qui un essere misterioso (forse un robot), di cui si scorge unicamente un avambraccio, inserisce una siringa ipodermica nel corpo di un uomo (o quantomeno una creatura antropomorfa) riprodotto a partire dal busto e ritratto di spalle. Ebbene, costui appare privo di pelle e carne, ma composto da uomini e donne in miniatura o frammenti di essi, producendo un effetto ottico che rende il tutto simile a un sistema ramificato come quello arterio-venoso, un essere simile a quello delle famose Macchine Anatomiche volute dal Principe Raimondo di Sangro, uomo d’armi, letterato, editore, primo Gran Maestro della Massoneria napoletana, inventore e mecenate. Le Macchine Anatomiche sono un uomo e una donna, che conservano tuttora pressoché intatto il sistema circolatorio, risultato ottenuto grazie a un procedimento ancora oscuro. Di certo c’è quanto scritto nella Breve Nota di quel che si vede in Casa del Principe di Sansevero D. Raimondo di Sangro nella Città di Napoli, libretto anonimo pubblicato per la prima volta nel 1766, dove si legge che si è operato “per iniezione”. Ecco, forse dobbiamo chiederci ancora, come fecero Fruttero & Lucentini nel testo sopra citato, chi è davvero il signor Thole? In quell’esilarante ritratto si svelava poi che in realtà Thole è un alieno (o un androide, oppure un umanoide) dipendente di una grossa organizzazione pancosmica e interdimensionale, la Opi, e che dispone “di un vasto archivio fotografico su quanto realmente succede «laggiù»: agli angoli più remoti del nostro Universo, come negli attigui Mondi Paralleli e agli enigmatici extra-sensoriali crocicchi dell’Esp”. Nei suoi archivi c’è catalogata tutta la storia delle arti figurative sul pianeta Terra, incluse le cosiddette minori, alle quali Thole si apparentava, ritenendo fuori misura definire pittura la sua attività di illustratore di genere. Lo faceva per confondere le carte, supponevano i maliziosi F&L e lui stesso, sempre nell’intervista citata, dichiara che quando iniziò la collaborazione con Urania fosse praticamente a digiuno di fantascienza.
“Sapeva cos’era?” gli chiede Lippi.
“No, non lo sapevo nemmeno”, risponde l’ineffabile Thole.
Tornando a F&L, loro, come Giorgio Manganelli, erano testimoni di un decennio che contava avvistamenti di Ufo quasi quotidiani, però gli alieni non sbarcarono e per Manganelli fu autentica delusione. Scrisse poi: “Per qualche motivo non sbarcarono. Certo furono assai vicini a farlo: forse qualche metro di terra è stato sfiorato da macchine che esseri umani non dovevano vedere. Poi non ne fecero nulla. Perché? Non interessava più questa Terra maligna e sfinita? O provavano un certo orrore per questa malattia del cosmo? O fu disprezzo, disdegno, fastidio? Non ne valeva la pena” (Manganelli, 2003).
No, non andò così, si scelse la via della clandestinità, dello sbarco silenzioso. Il giorno dell’invasione ha una data possibile: il 3 luglio del 1960 andò in edicola un numero di Urania con un disegno firmato da tale Karel Thole. In seguito ai cerchi degli Ufo sarebbero seguiti quelli delle copertine…
LETTURE
— Anonimo, Breve nota di quel che si vede in casa del principe di Sansevero D. Raimondo di Sangro nella città di Napoli, a cura di Augusto Crocco, Colonnese, Napoli, 1967.
— Bedoni Giorgio, Visionari. Sogno, arte, follia in Europa, Selene, Milano, 2004.
— Bottini Stefano, Nicoletti Marco, Scarzuola,
il sogno ermetico di Tomaso Buzzi, Stefano Bottini, Perugia, 2007.
— Calvino Italo, Le città invisibili, Mondadori, Milano, 2012.
— Colonna Francesco, Hypnerotomachia Poliphili, Adelphi, Milano, 2004.
— Manganelli Giorgio, UFO e altri oggetti non identificati, Quiritta, Roma 2003.
— Mosser Monique, Teyssot Georges, L’architettura dei giardini d’Occidente dal Rinascimento al Novecento, Electa, Milano, 1990.