LETTURE / LA SETTIMA VITTIMA E ALTRI RACCONTI
di Robert Sheckley / Nottetempo, Roma, 2012 / pp. 403, € 18,50
Nel migliore degli orrori possibili
di Roberto Paura
Tra i suoi tantissimi racconti, La settima vittima è senz’altro il più famoso di Robert Sheckley, al punto da guadagnarsi una delle rare incursioni nel mondo della fantascienza da parte del cinema nostrano (La decima vittima di Elio Petri del 1965). Alla base della sua fortuna c’è ovviamente il ben noto meccanismo del rovesciamento delle aspettative che ha portato alla ribalta racconti come La sentinella di Frederic Brown, e che è alla base di quasi ogni buona storia di fantascienza (non a caso entrambi i racconti sono inclusi nella celebre antologia di Sergio Solmi e Carlo Fruttero Le meraviglie del possibile, 1973). Ma La settima vittima possiede anche un altro elemento peculiare della narrativa di Sheckley che ritorna prepotentemente in tutta la sua produzione e ne costituisce l’essenza qualificante. Quando Frelaine incontra la sua vittima designata, resta colpito dalla sua arrendevolezza e decide di conoscerla meglio. Gli basta una sera: una chiacchierata al bar, un’uscita a cena, uno spettacolo allo stadio dei gladiatori e un piacevole dopo-cena senza sesso. Frelaine perde la testa per Janet: “Ti amo e voglio sposarti”, le dice. Il resto è storia nota. Certo, la ferrea logica dei limiti di battute imposti dagli editori, oggi come allora, impediva a Sheckley di tratteggiare a fondo un’ipotetica relazione tra Frelaine e Janet. Ma anche in uno spazio estremamente condensato come in questo racconto breve la forza della storia poteva mantenersi anche senza che Frelaine se ne uscisse con queste incredibili fantasticherie sull’amore e il matrimonio. A un lettore di oggi quel breve scambio di battute che precede il gran finale appare realmente fantascientifico, a differenza di quanto poteva sembrare a un lettore convenzionale dell’America degli anni Cinquanta, l’epoca a cui appartiene questo racconto. Ma Sheckley non aveva messo in bocca a Frelaine quelle ciance sull’amore e sul metter su famiglia con una perfetta sconosciuta senza un perché. Nella logica del racconto e della narrativa di Sheckley, il rapporto tra Frelaine e Janet altro non è che una presa in giro dei costumi degli Stati Uniti della middle class, della convenzionalità borghese e del sistema familiare breadwinner dove anche la chimica dell’amore deve sottostare a regole rigide come e più di quelle della “Grande Caccia”, il gioco preferito dei due protagonisti. Frelaine, instupidito da quel modello sentimentale da film hollywoodiano, perde la testa per la prima donna che incontra e finisce per cadere nella sua trappola. Non c’è dubbio che Janet abbia usato la stessa tattica con le precedenti vittime, come suggerisce il finale della storia: sfruttando la congenita stupidità dell’americano medio che sogna di metter su famiglia con la fragile mogliettina indifesa, Janet scala il successo nella società stereotipata del racconto.
L’antologia La settima vittima recentemente pubblicata dall’editore Nottetempo riproponendo il meglio della produzione di Sheckley è un’occasione per mettere in luce quest’aspetto peculiare del grande scrittore americano, forse l’unico vero autore di fantascienza che fece della parodia e della satira dei costumi del tempo il grande tema della propria narrativa. Ben incuneato nel filone della social science fiction che negli anni Sessanta sarebbe esplosa a partire dall’Inghilterra, Sheckley arricchiva le amare riflessioni sul fosco destino della specie umana comuni ad autori come James G. Ballard, Philip K. Dick o John Brunner con una verve satirica capace di smussare la punta acuminata della propria penna. Così, in uno dei suoi racconti di maggior successo, La trappola per uomini (già noto come Corsa a ostacoli) del 1968, l’autore racconta di una grande “corsa al tesoro” consistente in un appezzamento di terreno brullo e sterile dove il vincitore potrà costruire una casa tutta per sé e per la propria famiglia. In un mondo incredibilmente sovraffollato, che riprende le atmosfere del classico Largo! Largo! di Harry Harrison (2007) – precedente di due anni –, Steve Baxter cerca di farsi strada in una New York colma di esseri umani fino all’inverosimile, al punto da costituire quasi un unico blocco di massa umana derelitta e trasformata in un gregge animalesco. Anche qui, il protagonista perde rapidamente la testa per l’avvenente figlia di un capo-banda, che ricambia l’improvviso colpo di fulmine al punto da sacrificarsi per la sua vittoria. Baxter resiste alle tentazioni in nome dell’affetto per la moglie rimasta a casa, continuando a lottare per vincere al solo scopo di realizzare il sogno piccolo-borghese tutto americano della famiglia che costruisce da sé la sua fortuna, e la sua casa, tra i grandi spazi aperti degli Stati Uniti. Il tema della corsa per vincere l’appezzamento di terreno proviene infatti dalla tradizione dei coloni del Far West, ed è da Sheckley ripreso in un contesto atrocemente ironico in cui, nonostante il collasso di qualsiasi ordine costituito, l’american dream resiste ancora. Anche quando il terreno vinto da Baxter si rivela essere una vecchia cava abbandonata con una baracca capace di resistere forse solo “fino al prossimo temporale”.
L’illusione di un mondo migliore dove esaudire le fantasie della convenzionalità borghese americana è un leit-motiv che ritorna nei racconti di Sheckley. Ne Il negozio dei mondi, il signor Wayne giunge in una curiosa bottega dove il proprietario assicura di poter permettere all’acquirente, attraverso un particolare dispositivo, l’illusione di vivere molti anni di vita felice su un altro mondo esattamente identico a quello dei propri sogni. Solo alla fine della storia, ancora una volta ricorrendo all’efficace rovesciamento delle aspettative, scopriamo che il mondo in cui Wayne sembra vivere è in realtà già il suo mondo ideale sognato all’interno del negozio dei mondi. Ci sembra che non abbia nulla di straordinario: a casa la moglie gli chiede di rimproverare la cameriera che ha bevuto in servizio, i figli gli chiedono un aiuto per fare i compiti, poi tra una giornata di ufficio e un’altra il signor Wayne deve ristrutturare la cameretta degli ospiti andata a fuoco in un incendio. Una routine banale interrotta dal morbillo della figlia e dalla pudica e convenzionale relazione con la moglie, che appare come una realtà soffocante dalla quale evadere. Eppure, nel vero mondo devastato dall’olocausto nucleare in cui Wayne vive, questo quadro della famiglia modello dell’America anni Cinquanta costituisce invece il vero sogno, il mondo immaginario nel quale rifugiarsi per qualche ora.
Il solco, o meglio l’abisso, tra l’ideale e la realtà costituisce la cifra di molti altri racconti di Sheckley presenti nell’antologia. E non è un caso che al centro di essi vi sia quasi sempre l’amore. L’amore stereotipato comune anche a tanta fantascienza dei pulp-magazine, con le avvenenti donne-amazzoni e le languide e romantiche principesse da salvare, rappresentava la frontiera dell’immaginazione americana nella metà del XX secolo, dove ai giovani uomini usciti sbarbati dalla coscrizione si offrivano, al posto delle conigliette di Playboy sognate nelle camerate o al fronte, ragazze dalla permanente impeccabile pronte a diventare casalinghe e mogli perfette, esattamente come il personaggio di Hanna in The Truman Show (1998). Quando l’ingenuo Alfred Simon, nato su un pianeta periferico colonizzato dall’uomo, decide di imbarcarsi in un Pellegrinaggio alla Terra per scoprire l’unico prodotto autentico del vecchio mondo patrio, l’amore, si ritrova davanti a una cocente delusione. Illuso dalle immagini evocate da un libro di poesie terrestri che in realtà si rivela uscito dalla penna di un brillante copywriter (“grandi passioni sotto la capricciosa luna, albe che splendevano candide sulle labbra assetate degli amanti, corpi avvinghiati su una spiaggia buia lungo il mare, famelici d’amore e assordati dal rombo dei frangenti”), Alfred Simon si ritrova nella filiale dell’agenzia “Amore SpA” con l’assicurazione di poter acquistare una storia d’amore coi fiocchi. E nonostante Simon sia inizialmente perplesso da questo strano modo di vendere una storia d’amore, quando gli viene presentata la sua donna ideale perde subito la testa e passa con lei una straordinaria vacanza che esaudisce tutte le fantasie evocate da quel libro di poesie pubblicitario. Peccato che, allo scadere del contratto, la sua amante ritorni in agenzia per offrire le proprie grazie ad un altro uomo: era allora solo una escort d’alto bordo? Nient’affatto, precisano negli uffici di “Amore SpA”. La donna era davvero innamorata di Simon, ma finito il contratto il suo condizionamento mentale viene meno e lei deve essere riprogrammata per innamorarsi di un altro uomo. Forse che l’esperienza di Simon sia stata diversa da quella che gli era stata promessa? No: tutto, dai languidi baci alla luce della capricciosa luna, fino alle albe dorate che sorprendono i corpi degli amanti avvinghiati su una spiaggia in riva al mare, è rispettato come da copione. Tutto è autentico e al tempo stesso falso.
Un concetto che ritorna in uno dei romanzi più famosi dell’autore, Gli orrori di Omega (2005) del 1960, dove la società derelitta e criminale della colonia penale Omega è comparata a quella perfetta e conformista della Terra in modo così stridente che il lettore non può fare a meno di ritenere il mondo terrestre la vera colonia penale, dove tutti gli abitanti sono assuefatti a regolamenti e comportamenti standardizzati che impediscono qualsiasi sprazzo di creatività, qualsiasi élan vital. Qualcosa di simile alla città perfetta ritratta nel racconto Strada di sogni, piedi d’argilla, dove il protagonista cede alla tentazione di andare a visitare Bellwether, una cittadina costruita seguendo un modello urbanistico “a misura d’uomo”, con un’intelligenza artificiale che si prende cura dei suoi abitanti alla stregua di un’ansiosa mamma chioccia. Anche se la storia è del 1968, il riferimento è all’esplodere della moda di città perfette costruite tra le fine degli anni Quaranta e gli anni Cinquanta del Novecento negli Stati Uniti. Dalla prima Levittown a pochi passi da New York (proprio come Bellwether), “comunità di seimila case progettata per offrire alloggi a basso costo sotto forma di piccole e appartate unità monofamiliari”, a Usonia, a Pleasantville (come l’omonimo film di Gary Ross del 1998, ambientato non a caso in una tipica cittadina degli anni Cinquanta), “con il nuovo senso di spazio, luce e libertà che i nostri Stati Uniti meritano” (Hollings, 2010).
Tutto autentico e tutto finto, ancora una volta. Sheckley prende in giro con amara ironia la cinica mentalità consumistica per cui tutto ha un prezzo, perfino l’amore. Così, in L’armatura in flanella grigia, il romantico protagonista occhialuto che sogna davanti alla televisione un amore dei vecchi tempi andati scopre di poter realizzare i suoi sogni grazie a un venditore porta a porta, che offre ai single la possibilità di incontrarsi grazie a micro-radioline fissate sul bavero della giacca, tramite le quali gli operatori guidano gli ignari aspiranti innamorati a incontrarsi “per puro caso”. Del resto, in una società costruita a tavolino dove ciascuno deve svolgere il suo ruolo, e dove non sono ammessi single ma solo aspiranti mariti e aspiranti mogli, bisognerebbe essere pazzi a voler sottrarsi alle convenzioni: il rischio è di finire dritti davanti alla Commissione per le attività antiamericane, per dirne una, o più semplicemente ostracizzati e disprezzati come il Montague di Fahrenheit 451 di Ray Bradbury (2000), tipica espressione delle paure coltivate dagli scrittori di fantascienza negli anni Cinquanta. Assurge allora a icona della produzione sheckleyana il racconto Licenza di delinquere, in cui gli abitanti di una piccola colonia terrestre, per fare bella figura sui nuovi rappresentanti della madrepatria, cercano di imitare i costumi della Terra, ivi inclusa la criminalità, che da loro è sconosciuta. Il povero stupido protagonista si ritrova così a dover rubare suo malgrado e addirittura, su sollecitazione di tutti i cittadini, a progettare un omicidio, al solo scopo di dimostrare che anche nella loro colonia la criminalità esiste ed è punita con il carcere (costruito in tutta fretta e ancora miseramente vuoto). Nella sua ingenuità, il protagonista di Licenza di delinquere si ritrova suo malgrado a recitare una parte che non vorrebbe, e a recitarla fino in fondo per non apparire agli occhi di tutti – letteralmente – lo scemo del villaggio globale.
LETTURE
— Bradbury Ray, Fahrenheit 451, Mondadori, Milano, 2000.
— Harrison Harry, Largo! Largo!, Urania Collezione, Mondadori, Milano, 2007.
— Hollings Ken, Benvenuti su Marte, ISBN Edizioni, Milano, 2010.
— Sheckley Robert, Gli orrori di Omega, Urania Collezione, Mondadori, Milano, 2005.
— Solmi Sergio e Fruttero Carlo, Le meraviglie del possibile, Einaudi, Torino, 1973.
VISIONI
— Petri Elio, La decima vittima, Cecchi Gori Home Video, 2008.
— Ross Gary, Pleasantville, Medusa Home Video, 1999.
— Weir Peter, The Truman Show, Universal Pictures, 2011.