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Quella roba strana che spuntò nelle edicole italiane a partire dal 1952, e che si diceva parlasse di “scienza fantastica” o “fantascienza”, come qualcuno aveva pensato di tradurre l’originale science fiction, era davvero rivoluzionaria. Quanto e più della televisione in bianco e nero che ancora stentava a diffondersi nel nostro paese, i romanzi di Urania importavano in Italia l’immaginario americano, affacciatosi durante l’immediato dopoguerra con le facce pulite dei soldati liberatori e ancora prima con l’icona rassicurante della Coca-Cola. Raccontavano storie di navi spaziali, di mondi lontani e futuri remoti, ma anche di terribili invasori alieni, minacce senza nome e orribili mutanti.

Gli italiani cominciarono a sognare anch’essi, come i loro cugini d’oltreoceano, di conquistare l’ultima frontiera, di imbattersi negli Ufo - che dal 1947 avevano iniziato a turbare le notti degli americani - e di incontrare sagge civiltà aliene. Ma, allo stesso tempo, scoprirono anche la grande paura di massa made in Usa: la sindrome del fungo atomico (www.quadernidaltritempi.eu/numero12). L’immaginario nucleare era nato negli Stati Uniti all’indomani dell’esplosione delle due bombe atomiche sul Giappone e aveva imboccato due strade diverse: la prima, incoraggiante, di un uso pacifico dell’energia atomica, come il buon Dwight Eisenhower prometteva con il suo programma “Atoms For Peace” che un rassicurante Walt Disney garantiva anche ai bambini con il suo cartone animato Our Friend The Atom; la seconda, terrificante, di una mutua distruzione assicurata, dopo che l’Urss dimostrò di aver acquisito anch’essa il potente segreto della fissione atomica. Com’è stato fatto notare, nell’immaginario nucleare americano: “L’atomo fu presentato come un’allegoria in concorrenza con la bomba. Può sembrare che la propaganda sull’«atomo pacifico» abbia preso risolutamente le distanze dalla cultura della bomba, ma questa rimase sempre una minaccia oscura, incombente, prossima. Malgrado tutti gli sforzi compiuti dai sostenitori della bomba atomica per distogliere l’opinione pubblica dal terrore che suscitava, essa rimase sempre una paura di fondo” (Drogan e Link, 2012).

 

U20Nel 1950 Isaac Asimov, già noto in America come autore di racconti di grande popolarità sui robot positronici e sul futuro dell’umanità raccontato nel grande affresco del ciclo delle Fondazioni, pubblicò il suo primo romanzo, Paria dei cieli. In Italia apparve sul n. 20 di Urania nel 1953. Era il primo volume di Urania a raccontare di un futuro post-atomico, ed ebbe un grande effetto sui lettori. Per non spaventarli troppo, Asimov ambientava la storia in un futuro distante migliaia e migliaia di anni, cosicché non fosse possibile datare con precisione il momento in cui la follia atomica, nel passato, aveva distrutto il mondo precedente. Ma anche in quel remoto futuro, il protagonista proveniente dal presente – il sarto newyorkese in pensione Joseph Schwarz – deve accettare la traumatica verità di una Terra resa in gran parte invivibile a causa delle radiazioni, dove per tenere a bada l’aumento demografico i vecchi devono sottoporsi a eutanasia superati i sessant’anni. Rassegnata al suo destino di pianeta moribondo, uno tra i tanti migliaia di mondi del pacifico Impero galattico, la Terra ha subito anche lo smacco di diventare periferia dell’impero, un “paria dei cieli” appunto, dimenticato e disprezzato da tutti. L’ottimismo della prosa di Asimov, in genere di segno positivo, fa tuttavia capolino alla fine del romanzo, offrendo un finale consolatorio, in cui l’Impero decide di iniziare l’imponente opera di bonifica della Terra per restituirle il posto che le spetta.Nello svolgersi della vicenda, appare in Paria dei cieli quel binomio inscindibile della cultura atomica americana tra la bomba e l’astronave. È lo spazio, inevitabilmente, l’unica via di fuga da un mondo che corre senza freni verso il baratro dell’armageddon. Non è un caso se, come molti commentatori hanno fatto notare, gli Ufo appaiono nei cieli d’America poco dopo l’inizio dell’era atomica (Hollings, 2010). Gli ipotetici signori extraterrestri che viaggiano nei loro dischi volanti ci tengono sotto osservazione, pronti a intervenire per evitare la catastrofe (un concetto reso esplicito dal celebre film Ultimatum alla Terra del 1951). Anche in Paria dei cieli la salvezza scende misericordiosamente dal cielo nella forma dei benevoli emissari dell’Impero, provenienti da altri mondi, ma pur sempre umani: il simbolo dell’Impero – il sole e l’astronave – ricorda agli abitanti della Terra il futuro radioso che li attende nell’universo, lontani dalle miserie del loro mondo post-atomico.

 

Dopo Paria dei cieli, altri romanzi di Urania presentarono storie legate alla cultura americana della bomba, gradualmente assimilata anche in Italia. I numeri immediatamente successivi insistono anzi proprio su questo punto: Terrore sul mondo di Jimmy Guieu (Urania n. 21) presentava una storia su un futuro post-atomico scritta da un autore francese, Minaccia occulta di Dennis Wheatley (Urania n. 22) raccontava del tentativo dei marziani di impadronirsi delle bombe atomiche per conquistare la Terra (andando dunque contro il topos degli extraterrestri “salvatori” dalla minaccia nucleare), e il più celebre Agonia della Terra di Edmond Hamilton (Urania n. 23) narrava degli effetti dell’esplosione di una superbomba atomica su un centro di ricerche nucleari. I lettori di fantascienza italiani furono rapidamente contagiati dalla sindrome del fungo atomico, che caratterizzò la cultura americana degli anni Cinquanta. Quindici anni dopo Paria dei cieli, tuttavia, apparve un altro importante romanzo che raccontava il mondo post-apocalittico vittima di un olocausto nucleare, firmato da un autore diametralmente diverso da Asimov, Philip K. Dick. Cronache del dopobomba fu pubblicato in Italia nello stesso anno in cui uscì in America, il 1965, sul n. 409 di Urania. Tre anni prima gli Usa erano ripiombati nell’incubo nucleare durante la crisi dei missili di Cuba e, nel 1964, Stanley Kubrick faceva uscire nei cinema Il dottor Stranamore, la cui figura eponima ispira il protagonista del romanzo di Dick.Se Asimov ambientava la sua storia in un lontano futuro, per attenuare il disagio dell’idea di un olocausto nucleare, idea con la quale gli americani non riuscivano a convivere certo felicemente, Dick mostrava invece in tutta la sua cieca ferocia l’armageddon, il “Giorno dell’Emergenza”, descrivendo le folle che si accalcano nei sotterranei, l’esplosione delle bombe e i drammatici momenti successivi, in cui i sopravvissuti emergono dalle viscere della terra per scoprire un mondo di morti, moribondi e devastazioni. Dick situa anche con precisione l’anno della catastrofe, il 1981. Già nove anni prima, tuttavia, il mondo era stato sconvolto da un test nucleare atmosferico fallito, a opera del dottor Bluthgeld, che aveva diffuso le sue letali radiazioni sulla Terra, favorendo la nascita di mutanti. Nel romanzo, Bluthgeld – la cui figura è chiaramente ispirata a quella di Edward Teller: entrambi provenienti dall’Europa dell’est, entrambi ferocemente anticomunisti, entrambi strenui propugnatori dell’opzione nucleare – è il vero ispiratore della catastrofe. Le sue turbe mentali sembrano averlo reso capace di scatenare l’armageddon a comando. Stravolto dopo una fallimentare visita da uno psicologo, decide di vendicarsi dell’umanità; così, pochi minuti dopo l’America viene colpita da centinaia di bombe atomiche. E verso la fine del romanzo, Bluthgeld tenta un secondo lancio, in un momento di allucinato superomismo. Tragica allegoria dell’onnipotenza degli scienziati atomici (si ricordi Robert Oppenheimer, che alla vista della prima esplosione nucleare affermò: “Adesso sono diventato Morte, distruttore di mondi”), Bluthgeld è una figura che emerge con prepotenza dall’immaginario americano dello scienziato pazzo, diffusamente utilizzata nella narrativa di fantascienza, e riproposta appunto da Kubrick nel personaggio del dottor Stranamore.

 

U409Ma, come in Paria dei cieli, anche in Cronache del dopobomba la salvezza, o perlomeno la consolazione, giunge pietosamente dal cielo. Lo stesso giorno in cui cominciano a cadere le bombe, Walt Dangerfield, “la figura che rappresenta i più genuini valori americani” (Pagetti, 2007), viene lanciato con la moglie su un’astronave in direzione di Marte. Dovrebbe essere il primo colono del pianeta rosso, ma la catastrofe impedisce al centro di controllo di accendere l’ultimo stadio del razzo, cosicché l’astronave e i suoi due occupanti sono costretti a restare in orbita intorno alla Terra. Hanno tutto il necessario per sopravvivere diversi anni, ma dopo un po’ la moglie di Dangerfield si suicida, lasciandolo solo. Superato l’abbattimento, l’astronauta decide di sfruttare la sua capacità di raggiungere tutta la Terra diventando una sorta di disc-jockey spaziale, mettendo su un programma radiofonico in cui mescola consigli su come sopravvivere nel mondo post-atomico, vecchie canzoni e racconti a puntate di romanzi sentimentali, surrogato delle irrinunciabili soap-opera. È una consolazione per tutti i sopravvissuti, che in Dangerfield riconoscono l’uomo che non si arrende, che affronta con stoicismo la solitudine, esortandoli dallo spazio a darsi da fare per ricostruire la Terra.È abbastanza singolare che una delle più importanti opere sul tema, Un cantico per Leibowitz di Walter Miller jr., non sia stata pubblicata su Urania negli anni successivi alla sua uscita in America (1959) ma sia stata edita in prima battuta dalla casa editrice La Tribuna, per approdare sulla collana mondadoriana solo molto tardi, nel 1986: probabilmente, ciò dipese dal fatto che in quei due decenni (Cinquanta-Sessanta) la direzione di Urania preferì evitare di pubblicare opere critiche sul tema della religione, sancendo l’esclusione non solo del capolavoro di Miller ma anche di altri titoli fondamentali, come L’alba delle tenebre di Fritz Leiber (Valla, 2012). Ma i tre romanzi sono strettamente legati da alcuni temi dominanti, che sono appunto la sindrome del fungo atomico, l’aspirazione allo spazio come via di fuga e il problema della ricostruzione. Come contraltare alla soluzione dell’abbandono della Terra, infatti, questi romanzi propongono allo stesso tempo l’alternativa della ricostruzione. Ed è singolare, nell’ambito della fantascienza, dove un tema tipico è quello della colonizzazione di nuovi mondi, della loro terraformazione, che ad essere “terraformato”, ossia reso abitabile per la civiltà umana, sia proprio il nostro pianeta. Ma il filone post-apocalittico presenta proprio questa peculiarità come suo contributo a un’amara riflessione sul nostro destino: dopo aver sognato di fuggire nello spazio e colonizzare le stelle, come voleva l’ottimistica e a tratti ingenua corrente della space opera degli anni Trenta e Quaranta, l’umanità si ritrova con le ali tarpate, costretta sul pianeta Terra non per l’altrui volontà, ma per causa propria, a ricostruire il proprio mondo. In Fondazione e Terra, più tardo romanzo di Asimov (1987), si scopre che in realtà il programma di bonifica del pianeta a opera dell’Impero promesso al termine di Paria dei cieli venne bloccato dopo pochi anni, e che l’Impero tentò come soluzione alternativa il trasferimento dei terrestri su un altro mondo, Alpha. Questo ripensamento da parte di Asimov va di pari passo a quanto si legge in I robot e l’Impero (1986): nel romanzo, lo scrittore rivela che la radioattività della Terra in Paria dei cieli non è l’effetto di una guerra nucleare, ma del gesto di un folle scienziato anti-terrestre che utilizza un suo apparecchio per aumentare la radioattività naturale del pianeta, rendendolo invivibile. Il ripensamento ha basi scientifiche – una guerra nucleare, spiegò lo scrittore successivamente, non avrebbe prodotto una radioattività persistente per migliaia di anni – ma è rimarchevole perché, se negli anni Cinquanta sembrava inevitabile che il pianeta divenisse radioattivo per una guerra atomica, nella metà degli anni Ottanta l’idea era già tramontata (la possibilità persisteva, ma era l’immaginario atomico ad essere venuto meno).

 

Nell’introdurre uno dei più importanti racconti post-atomici di Dick, Mercato prigioniero (1955), lo stesso Asimov, parlando in generale delle storie ambientate in futuro successivo all’olocausto nucleare, scriveva: “C’erano storie di bambini con due teste, o tre braccia, come se fosse possibile avere delle mutazioni così drastiche senza che fossero letali. C’erano storie di normali sopravvissuti i quali ricostruivano a poco a poco la loro vita come se ciò fosse possibile dopo una vera guerra termonucleare. C’erano storie di fughe su altri pianeti a bordo di tante arche di Noè, come se gli altri pianeti potessero diventare abitabili per un gruppo che non aveva alle spalle un pianeta tecnologicamente avanzato” (Asimov, 1988). Per lo scrittore, l’ipotesi di una ricostruzione del mondo dopo una guerra nucleare non era insomma plausibile. Ciò spiega quindi in parte perché il lieto fine tratteggiato in Paria dei cieli fosse stato successivamente cambiato. Dick non si curava però di questi problemi. L’olocausto nucleare, nella sua opera, è nella maggior parte dei casi un mero pretesto per narrare altre vicende. È così ne Il mondo che Jones creò (1956), in La penultima verità (1964) e in Deus Irae (iniziato non a caso poco dopo Cronache del dopobomba, ma completato solo nel 1976 con l’aiuto di Roger Zelazny). Nessuno di questi romanzi racconta il momento della catastrofe, a differenza di Cronache del dopobomba. Tutti però condividono il tema della ricostruzione della civiltà da parte dei sopravvissuti. Nel racconto Mercato prigioniero, la speranza è di costruire una nave spaziale per abbandonare la Terra; speranza che verrà atrocemente frustrata. Ne Il mondo che Jones creò, si cerca un nuovo mondo da abitare, per lasciarsi alle spalle la madre Terra ormai irrimediabilmente violentata. Viceversa, in Cronache del dopobomba tutto ciò che i protagonisti vogliono è tornare a vivere la vita di sempre, anche se ciò significa dover convivere con quanto la devastazione nucleare ha prodotto.


A popolare le storie post-atomiche di Dick sono i mutanti. Anch’essi costituiscono le amare caricature di un topos della fantascienza classica, gli alieni. Così come il tema della colonizzazione di altri pianeti viene rovesciato nel filone post-apocalittico, allo stesso modo il tema degli alieni che arrivano sulla Terra – sotto forma di invasori o di deus ex machina – viene rovesciato nelle figure dei mutanti, alieni in casa nostra. L’incubo delle trasformazioni indotte dalle radiazioni era parte integrante della cultura della bomba negli anni Cinquanta e Sessanta. Gli americani non dimenticavano le spaventose foto di alcuni giapponesi sopravvissuti a Hiroshima e Nagasaki, orribilmente storpiati non dall’esplosione, ma dall’invisibile potere delle radiazioni nucleari. E l’idea che quelle mutazioni potessero essere ereditarie, non faceva dormire sonni tranquilli a più di una famiglia della pacata middle class a stelle e strisce. Ma alle mutazioni fisiche che affollano le pagine delle storie di Dick, si accostano anche altri tipi di mutazioni: quelle psichiche. I poteri psi sono una costante di Philip Dick, e ritornano anche in Cronache del dopobomba. Li possiede il diabolico Hoppy, che se ne serve per assumere il potere nella piccola comunità di sopravvissuti in cui si ambienta la storia, ma anche il folle Bluthgeld e soprattutto l’informe Bill, che vive nel corpo della sorella. L’idea di fondo è che la Terra post-atomica sarà ereditata da una post-umanità sia in senso fisico che psichico. Asimov, che solo raramente toccò nelle sue storie il tema del mutante (il Mulo del ciclo delle Fondazioni non è tale per effetto delle radiazioni), in Paria dei cieli curiosamente concede al suo protagonista straordinari poteri psi. Sotto l’effetto di un macchinario per aumentare l’intelligenza, Schwarz diventa anche telepatico, e utilizza questo suo nuovo potere per salvare la Terra. Siamo negli anni in cui persino diversi scienziati si interessano al tema dei poteri paranormali (nel 1956 John W. Cambell, il primo editore di Asimov, pubblica il celebre articolo The Science of Psionics), e Asimov – che da strenuo positivista, diversamente da Dick, non vi crede affatto – non chiude la porta alla possibilità che il cervello umano possa essere dotato di capacità non ancora note (già nelle storie della Fondazione, i membri della Seconda Fondazione si servivano di poteri mentali). 

In conclusione, Paria dei cieli e Cronache del dopobomba costituirono gli apici di una vastissima produzione nota come filone post-apocalittico della fantascienza di cui solo una parte venne pubblicata in Italia. È indicativo il fatto che, nonostante il loro grande impatto sull’immaginario collettivo nazionale – contribuendo a diffondere anche da noi quella “cultura della bomba” di matrice eminentemente americana –, questi romanzi non influenzarono se non in minima parte la narrativa fantascientifica italiana. Il filone post-apocalittico fu rarissimamente toccato da autori italiani, e solo tardivamente. Ma vale la pena ricordare che il romanzo forse più riuscito del genere scritto da un autore nostrano, Dove stiamo volando di Vittorio Curtoni (1972), riprende con straordinaria capacità tutti i temi proposti dagli autori americani, dai mutanti alla speranza di ricostruire il mondo post-atomico, riproponendoli con una rara originalità. E vale la pena ricordare che, nonostante fosse stato pubblicato in prima battuta su Galassia, il romanzo sia stato ripubblicato proprio quest’anno da Urania nella sua serie “Urania Collezione”, colmando quella che altrimenti sarebbe stata un’imbarazzante lacuna.

 


 

LETTURE

Asimov Isaac, I robot e l’Impero, Mondadori, Milano, 1986.
Asimov Isaac, Fondazione e Terra, Mondadori, Milano, 1987.
Asimov Isaac e Greenberg Martin H., Le grandi storie della fantascienza n. 17 – 1955, Armenia, Milano, 1988.
Campbell John W., The Science of Psionics, in Astounding Science Fiction, vol. 61 n. 6, 1956.
Curtoni Vittorio, Dove stiamo volando, in Galassia n. 174, La Tribuna, Piacenza;
II ed. in Urania collezione n. 109, Mondadori, Milano, 1972.
De Turris Gianfranco e Vegetti Ernesto (a cura di), Cartografia dell’inferno.
50 anni di fantascienza in Italia 1952-2002, Elara, Bologna, 2012.
Dick Philip K., Il mondo che Jones creò, in Galassia n. 50, La Tribuna, Piacenza, 1956.
Dick Philip K., La penultima verità, Fanucci, Roma, 2008.
Dick Philip K. e Zelazny Roger, Deus Irae, Libra, Bologna, 1977.
Dick Philip K., Cronache del dopobomba, Fanucci, Roma, 2006.
Drogan Mara e Link Miles, Così abbiamo imparato a pensare l’atomo, in I quaderni speciali di Limes, anno IV, n. 2, 2012.;
Hollings Ken, Benvenuti su Marte, Isbn Edizioni, Milano, 2010.
Miller Walter M. jr., Un cantico per Leibowitz, La Tribuna, Piacenza, 1957.
Pagetti Carlo (2007), Dopo l’olocausto atomico, ovvero il topo che suonava il flauto, in Dick Philip K.,
Cronache del dopobomba, Fanucci, Roma, 2007.
Valla Riccardo, 1952: Allarme in Italia (ovvero la science fiction sbarca nella Penisola), in De Turris Gianfranco e Vegetti Ernesto
(a cura di), Cartografia dell’inferno. 50 anni di fantascienza in Italia 1952-2002, Elara, Bologna, 2012.

 


 

VISIONI

Wise Robert, Ultimatum alla Terra, 20th Century Fox Home Entertainment, 2008.
Kubrick Stanley, Il dottor Stranamore, ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba,
Sony Pictures Home Entertainment, 2009.
Luske Hamilton, Our Friend The Atom, in Walt Disney Treasures - Tomorrow Land: Disney in Space and Beyond,
Walt Disney Productions, 2004.

 

 

 

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