VISIONI / CASABLANCA 70TH ANNIVERSARY
di Michael Curtiz / Warner Home Video, 2012
Fra tutti i posti del mondo
di Adolfo Fattori
Produzione di miti a mezzo di miti, potremmo dire, parafrasando un famoso economista transfugo dall’Italia – Piero Sraffa – come (e ci si perdoni l’irriverenza, secondo noi solo apparente) è un nomade Rick Blaine (Humphrey Bogart), l’americano che gestisce il Rick's Café Américain, a Casablanca, nel Marocco francese, nella cosiddetta “Francia non occupata” durante la Seconda guerra mondiale, dopo aver combattuto nella guerra civile spagnola e trafficato in armi in Africa – ma sempre dalla parte “giusta”. Mito che si rinnova con questa sontuosa edizione in blue-ray ricca di contenuti speciali di uno dei film più famosi della storia del cinema, Casablanca, di Michael Curtiz, uscito nelle sale in pieno conflitto, nel 1942.
Rick è il classico eroe cinico e disilluso, date le cose che deve aver visto andando in giro per i peggiori posti del mondo – alibi perfetto per indossare la maschera del disincanto, per tener nascosta una sofferenza più profonda, lacerante, interiore, individuale. Perché c’è sicuramente di più, nel suo passato, dei disastri e delle crudeltà della guerra, intuiamo facilmente. Per esempio, un amore finito male.
Ed è destino che giunga a Casablanca il motivo della sua sofferenza e del suo dolore, la bellissima Ilsa Lund (Ingrid Bergman), amata in passato da Rick e poi sparita in silenzio, dopo aver ritrovato il marito Victor Laszlo (Paul Henreid), leader della resistenza, sfuggito al lager e ricercato dai nazisti. Rick è ancora innamorato, non può perdonarla di averlo abbandonato, e non riesce a consolarsi per esserlo stato.
Ed è per questo che dubitiamo della sincerità della sua battuta (secondo gli esperti, una delle più famose della storia del cinema): Of all the gin joints in all the towns in all the world, she walks into mine, “Con tanti ritrovi nel mondo, doveva venire proprio nel mio”. Perché l’innamorato – o l’innamorata – abbandonato e ancora ossessionato dal proprio sentimento non desidera altro che ritrovarsi in presenza del bene perduto: colei – o colui – che gli ha spezzato il cuore. Per capire, per recriminare, per rivendicare, per litigare? Sì, forse (Cfr. Quaderni d'Altri Tempi n. 37). Più probabilmente, per rivedere quegli occhi, quel volto, per risentire quella voce. Ma, prima di tutto, per la sottile, sotterranea, eterna ma irrealizzabile speranza di ritornare indietro nel tempo e ricongiungersi all’amore perduto, come se niente fosse intervenuto a rompere l’incantesimo.
Ma, si sa, “Se una cosa può andar male, lo farà”: la legge fondativa delle cose – scoperta negli anni Cinquanta dall’ingegner Murphy osservando il comportamento delle macchine – si applica alla perfezione alla condizione umana. Ultima – ma convincente – e definitiva espressione della sconfitta del paradigma meccanico/razionalista che si misura con l’oscurità delle leggi dell’universo, con quella zona del reale per la quale non abbiamo ancora elaborato tecnologie e spiegazioni adeguate.
Vale per le leggi della causalità nelle scienze “hard”, vale a maggior ragione per i tentativi di investigare il nostro essere-nel-mondo, la nostra condizione, la nostra sofferenza, l’ineffabile e beffardo operare del genio degli eventi: fato, caso, destino, necessità, o in qualsiasi modo vogliamo dargli nome. E Rick ne è uno dei bersagli. Ilsa si giustifica: convinta che il marito fosse morto, scoprendo che era ancora vivo, aveva deciso di riunirsi a lui. Senza poter fornire spiegazioni a Blaine.
Ancora innamorato di Ilsa, vorrebbe tenerla con sé. Ma si trova preso in contropiede quando Laszlo insiste perché lui ed Ilsa partano insieme, lasciandolo in Marocco: Lazlo è disposto a perdere la propria donna, pur di saperla al sicuro all’estero. E così, nella scena conclusiva del film, è proprio Rick a convincere Ilsa a partire con il marito, sapendola così persa per sempre, ma al sicuro e a sostegno della eterna lotta del Bene contro il Male.
E il Mito ancora una volta si compie: la passione amorosa non può essere placata, non può trovare riposo, si può alimentare solo della sua frustrazione – dell’impossibilità di compiersi. È fatta di sofferenza, di desiderio insoddisfatto, di lacerazione e macerazione: nel dubbio, nell’immaginazione, nel silenzio e nell’assenza. Tanto che se rischia di placarsi, deve essere rialimentata “… l’amore-passione, ricambiato e combattuto al tempo stesso, ansioso di una felicità che pur respinge, magnificato dalla propria catastrofe, l’amore reciproco infelice” (de Rougemont, 2006, corsivo nel testo).
Che sia per coprire una relazione ritenuta illegittima dalle consuetudini, interdetta dalle leggi del sacro, o semplicemente dispensatrice di dolore per tutti coloro che ne sono investiti (mogli, mariti, amanti, figli), o, ancora, per un ideale superiore, come nel caso di Rick, Ilse e Lazlo, è necessario che l’amore non si compia, non trovi la sua realizzazione: “La maggior parte delle civiltà sembra aver creato storie e miti per ribadire che coloro che cercano un legame permanente attraverso l’amore-passione sono condannati” (Giddens, 1995). Perché la storia non finisca con il rassicurante, ma mortale finale delle fiabe: “E tutti vissero felici e contenti”.
E così sarà lo stesso Nick a convincere Ilse ad andar via da lui, a svanire, nella luminosità nebbiosa delle fotoelettriche notturne di un aeroporto perso nel deserto. Pronto a riprendere la sua vita avventurosa, di eroe moderno che di quelli antichi conserva il coraggio, la determinazione, e il dolore che già gli ha dato la sua investitura di “eterno eroe”. Mito nel mito, Rick ha un passato oscuro, solo in parte svelato dalle battute del film. Si prepara a tornare nell’oscurità – forse Brazzaville, forse un qualche altro posto ai margini dei tempi e degli spazi delle geografie dell’immaginazione narrativa) – insieme all’amico che ha appena scoperto di avere, il Capitano Renault (Claude Rains).
Proprio nel lasciare in larga parte indeterminati origini, storie, futuri dei propri personaggi sta la costruzione dei miti: non interessa chi sono, sono stati o da dove vengono i loro protagonisti. La loro esistenza deve essere velata almeno in parte dalla nebbia dell’indefinito. Solo alcuni tratti devono essere rilevati: un passato oscuro e tragico (qualunque sia), una sofferenza presente – e che sappiamo eterna, radicata nell’ieri, agganciata al domani. Il destino di una eterna ricerca che volta per volta troverà un oggetto su cui concentrarsi, nel conflitto interminabile fra la giustizia e la malvagità.
Il mito di partenza di Casablanca, come di tanti altri film e romanzi – quello dell’amore impossibile – ha origini che si annidano negli anni più oscuri, nascosti del medioevo occidentale: il “romanzo” di Tristano e Isotta. Ma deve avere nel suo nucleo più profondo e segreto qualcosa di universale ed eterno per aver attraversato come un fiume sotterraneo, un filo nascosto, tutta la cultura occidentale, tradendo le sue origini (cfr. de Rougemont, 2006, 2009), trasformandosi continuamente e adeguandosi al mutamento dei contesti, delle sensibilità, e al processo di definizione dell’identità occidentale colonizzandone le sue espressioni estetiche. Transitando e nutrendo così prima la tragedia e la commedia elisabettiana, il romanzo gotico, il romanzo borghese di formazione, per poi sbarcare nel cinema, la macchina più potente – almeno per un secolo – di espressione e formazione dell’immaginario collettivo. Seguendo gli snodi e le torsioni, gli intrecci e le fratture che hanno accompagnato il cammino della modernità.
Così in Casablanca – come, anche se con più forza melodrammatica, in Gilda di Charles Vidor (1946) e, ad esempio, in molto del cinema noir – alle origini incerte del protagonista, al suo passato appena accennato, si aggiunge l’esotismo dei luoghi, la loro marginalità rispetto alla metropoli moderna, a rafforzare il senso di estraneità al mondo quotidiano della passione amorosa. “L’amore passione è contrassegnato da un bisogno pressante che lo distingue dalla routine della vita quotidiana, con la quale, per la verità, tende ad entrare in conflitto” (Giddens, 1995).
Nella modernità industriale ormai compiuta, nella tensione che si creava fra la quotidianità della metropoli e l’eccesso delle zone di guerra, il cinema riprende con Casablanca uno dei miti originari dell’Occidente, arricchendolo con altri temi (l’eroe solitario, la dirittura morale, il coraggio, l’avventura) per adeguarlo alle nuove condizioni sociali.
E trasforma in mito un film che a distanza di settant’anni continua ad avvolgerci, a conquistarci a convincerci, a confermare i nostri sogni e le nostre illusioni, confermando ancora una volta le parole di de Rougemont (2006) Ma il carattere più profondo del mito è il potere cha acquista su di noi, generalmente a nostra insaputa.
LETTURE
— de Rougemont Denis, L’amore e l’Occidente, Rizzoli, Milano, 2006.
— de Rougemont Denis, Nuove metamorfosi di Tristano, Ipermedium, S. Maria Capua V., 2009.
— Giddens Anthony, La trasformazione dell’intimità, Il Mulino, Bologna, 1995.
VISIONI
— Vidor Charles, Gilda, Sony Pictures Home Entertainment, 2010.