ASCOLTI / THE 100 CLUB CONCERT 1979
di Elton Dean's Ninesense / Reel Recordings, 2012
Il nastro di una serata particolare
di Gennaro Fucile
La sera del cinque marzo 1979, il cartellone del 100 Club in Oxford Street al numero civico 100, a Londra, prevedeva un concerto dei Ninesense, la formazione facente capo al sassofonista Elton Dean. A detta di uno dei presenti, fu una serata che propose due set memorabili. Sulla carta era prevedibile, la formazione allestita da Dean era a dir poco stratosferica, al punto che si potrebbe ricostruire tutto quanto c’è stato d’importante e tuttora conta nella scena ormai quasi cinquantennale del cosiddetto British Jazz, seguendo le avventure musicali dei componenti della formazione. Anche se la prospettiva di quell’appassionato testimone seduto in prima fila, la sera del cinque marzo 1979, nel 100 Club in Oxford Street al numero civico 100, a Londra, era per forza di cose diversa da quella storica che oggi possiamo assumere, già allora appariva evidente che quei musicisti avevano lo spessore di chi un capitolo di storia della musica lo stava facendo con passione e nobiltà. Almeno lo si intuiva. Di sicuro lo avvertiva il giovane testimone, poco più che ventenne, messosi in viaggio l’anno precedente con destinazione Scozia e fermatosi qualche giorno a Londra, “la mecca della musica”, come oggi scrive l’allora giovane Riccardo Bergerone nelle note di copertina del doppio cd pubblicato dalla Reel Recordings di Michael King (cfr. Quaderni d'Altri Tempi n. 25) ricordando quella sua prima avventura inglese che lo portò a registrare il concerto che si tenne quella sera.
“Giovanissimo mi ero subito appassionato al British Jazz, divorando ossessivamente tutto ciò che di magico era sbocciato sulla scena londinese tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta. Ovviamente ero diventato un fan vorace della Ogun… Proprio in quel viaggio estivo decisi di andare a bussare alla porta della Ogun… volevo vedere da vicino quella specie di magica scatola musicale. Mi presentai in Eton Avenue, la sede di quel tempo, dove incontrai Ron Barron che all’epoca insieme a Hazel Miller e Keith Beal gestiva l’etichetta fondata da Harry Miller (che si era appena trasferito a vivere ad Amsterdam).
Non ricordo molto di quell’incontro se non che Ron mi parlò di un fantastico quartetto che Elton Dean aveva appena portato in tour in Olanda con Keith Tippett, Harry Miller e Louis Moholo. Un quartetto da sogno. Dopo pochi giorni al mio rientro in Italia trovai una lettera di Hazel che mi chiedeva se volevo organizzare un tour italiano per il nuovo quartetto di Elton. Non ricordo bene cosa mi spinse ad affrontare un’impresa del genere a soli 21 anni… forse l’incoscienza giovanile. Nel febbraio del 1979 organizzai quattro concerti italiani: due a Milano, uno al Palasport di Bologna e uno nella mia città, a Torino … Elton mi chiese di andare pochi giorni dopo a Londra a sentire i Ninesense, una delle mie band preferite dell’epoca. Non esitai un attimo e pochi giorni dopo andavo a Londra. Ricordo bene che Elton mi invitò il giorno ad assistere alle prove dei Ninesense dove scattai con la mia sgangherata macchina fotografica l’unica foto che testimonia quel pomeriggio” (riprodotta nel booklet, ndr).
Poi la sera: “Scesi gli scalini del mitico 100 Club di Oxford Street. Ero ospite di Elton e quindi ebbi il privilegio di sedermi in prima fila dove mi piazzai con eccitazione per registrare il concerto con il mio fantastico registratore Sony”.
Sul palco, di fronte al giovane fan, si esibirono oltre a Elton Dean (sax contralto e saxello): Alan Skidmore, (sax tenore e soprano), Mark Charig (cornetta e corno), Harry Beckett (tromba e flicorno), Nick Evans (trombone), Radu Malfatti (trombone) Keith Tippett (pianoforte), Harry Miller (contrabasso), Louis Moholo (batteria), ai quali si aggiunse nel secondo set il trombettista Jim Dvorak. La scaletta snocciolava parte del repertorio proposto in Happy Daze, secondo e ultimo album della formazione, tra cui il cavallo di battaglia di Dean, Seven for Lee. Il brano – un memorabile 7/4 –attraverserà ripetutamente la vita artistica di Dean (a volte re-intitolato Seven for Me), così come questi uomini, amici fraterni, saranno a più riprese al suo fianco disegnando il percorso della sua vita. Questa storia infatti intreccia ripetutamente alcuni destini in modo apparentemente singolare se non fosse che il destino è sempre tale nel suo farsi.
La prima formazione in cui Dean suonò stabilmente si chiamava Bluesology. Ne faceva parte il cantante Long John Baldry proveniente a sua volta da un altro gruppo amante del blues: gli Steampacket. Qui si facevano le ossa la futura rock star Rod Stewart e Julie Driscoll che pochi anni dopo avrebbe incontrato e mai più abbandonato il pianista Keith Tippett (cfr. Quaderni d'Altri Tempi n. 34). Leader dei Bluesology era un pianista di nome Reginald Kenneth Dwight, che a sua volta sarebbe diventato la rock star per eccellenza nonché baronetto: Elton John, il cui nome d’arte nacque prendendo qualcosa a prestito da quelli dei suoi ex compagni nei Bluesology, Long John Baldry ed Elton Dean.
Siamo nel 1968: da poco è arrivato a Londra un pianista nato a Bristol, Keith Tippett. La scena è feconda di promesse, Tippett crea un proprio gruppo. È un sestetto di cui fanno parte Dean, Charig, Evans, Jeff Clyne al contrabbasso e Alan Jackson alla batteria; tutti insieme produrranno due album, ma sarà solo l’inizio di un lungo cammino costellato d’incontri tra Dean e Tippett. Intanto sul finire dei Sessanta soffre di mal di crescita una delle band più avventurose della scena underground, sperimentale, psichedelica inglese, o quel che si vuole, ma in ogni caso un gruppo fuori dagli schemi: i Soft Machine (cfr. Quaderni d'Altri Tempi n. 9).
Bruciando le tappe a velocità vertiginosa, il trio allora composto da Mike Ratdlege, Hugh Hopper (cfr. Quaderni d'Altri Tempi n. 11) e Robert Wyatt (cfr. Quaderni d'Altri Tempi n. 29) svolta verso il jazz e si trasforma in settetto arruolando una sezione fiati, quella del gruppo di Tippett: Dean, Charig e Evans più il flautista e sassofonista Lynn Dobson, proveniente dal collettivo d’improvvisatori People Band. All’epoca i Soft Machine avevano inciso solo due album, ma si erano esibiti qua e là ripetutamente, anche fuori dai patri confini (in Usa accompagnarono Jimi Hendrix) e andarono in tournée anche con questa nuova line-up dividendo i fan tra sostenitori del nuovo e conservatori; un po’ la solita storia che continua a ripetersi dai tempi del tradimento elettrico di Bob Dylan.
Purtroppo il lavoro di quella formazione resta poco documentato; comunque quando il gruppo entrerà in studio per registrare, cucire, confezionare la pietra miliare Third ci sarà stabilmente in formazione il solo Dean. Nell’album fanno capolino Evans, Dobson e Jimmy Hastings proveniente dal giro dei Caravan, il lato morbido dei canterburyani da cui proveniva il nocciolo duro della “morbida macchina”. È il 1970, la formazione dei Soft Machine cambierà ancora, più volte, ma questo sarà un magico quartetto, diventando nel tempo quello classico.
Dean sarà della partita fino al 1972, partecipando ancora a Fourth e Fifth, caratterizzando il sound della band con la sua capacità di essere lirico e aggressivo al contempo, soffice e abrasivo, con quei registri allora inusuali del suo saxello, sorta di sax soprano ricurvo. In quel biennio partecipa al primo album del fuoriuscito Wyatt (l’immaginifico End of an Ear), licenzia un album a suo nome (con un gruppo chiamato Just Us, poi diventato il titolo del disco nella ristampa in cd. Nell’album ci sono i compagni di gruppo, Hopper e Ratledge, ma anche il batterista Phil Howard, chiamato da Dean a sostituire Robert Wyatt. Howard a metà della realizzazione di Fifth venne allontanato proprio da Hopper e Ratledge, per via di un’esuberanza ritmica che mal si confaceva con le architetture sonore dei due (cfr. Quaderni d'Altri Tempi n. 19). La maggiore propensione all’improvvisazione sarà poi il motivo che porterà anche Dean a lasciare il gruppo. Insomma un album crocevia, con qualche veleno in circolazione e chissà che non rimandassero a ciò i due inquietanti scorpioni posti in un piatto, come raffigurato in copertina.
Nell’album trovò finalmente posto la versione definitiva della shakespeariana Neo Caliban Grides, messa sempre in scaletta nei concerti dai Soft Machine, senza mai trovare una forma soddisfacente per Dean, e in buona parte l’album è pervaso ancora da atmosfere machiniane. Nel frattempo Dean torna a lavorare con Tippett nell’utopico/ciclopico Septober Energy, l’opera per cinquanta musicisti nella quale l’amico Keith gli predispone lo spazio per un solo memorabile sulla quarta facciata, riprendendo il tema di un brano già comparso sul secondo disco del sestetto, Dedicated To You, But You Weren't Listening. Il brano di partenza è Green and Orange Night Park e Dean ripartì da lì con fare maestoso, ingaggiando un duello armonioso con l’intera orchestra. Intanto quella sera, al 100 Club in Oxford Street al numero civico 100, a Londra, le danze si aprirono con Oases che qualche mese dopo sarebbe diventata Oasis sull’album in studio Boundaries in una più algida riduzione per quintetto. L’energia trattenuta per qualche minuto reiterando l’epica introduzione si libera in una serie di soli febbricitanti, nell’ordine: uno scoppiettante Charig presto raggiunto e affiancato da un Dean grintoso a cui segue, introdotto da Tippett, un Malfatti sulfureo quanta basta (qui una nota tecnica: purtroppo il pianoforte risulta mediamente penalizzato in queste registrazioni); infine, lo stesso pianista si prende uno spazio per prodursi in una cristallina e impetuosa riflessione. Tutti fanno faville, complice anche l’impressionante supporto ritmico di Miller e Moholo. Non c’è pausa, gioioso e furente ecco arrivare One Three Nine preso dalla tracklist dell’album Rogue Element dei Soft Head nel quale Dean si pone subito al centro della scena con un regale assolo, caratterizzato da estrema linearità. Compagno ideale si rivela qui Beckett (laddove nella versione dei Soft Heap c’era il piano elettrico di Alan Gowen a rendere le cose morbide) che nella sua carriera ha sempre osato calarsi con i suoi timbri cristallini in contesti infuocati. Si gioca a fare i bopper e tutti si divertono un mondo. Prima della festosa chiusura c’è ancora Tippett con una delle sue vertiginose escursioni sulla tastiera. Così, dopo mezzora senza interruzione alcuna scoppiano gli applausi.
I Soft Machine sono oramai alle spalle; una volta uscitone, Dean si incrocia a più riprese con Tippett e proprio con Hugh Hopper, che invece sarà in formazione fino all’uscita di Six nel 1975. Trova modo di lasciare il segno nella Brotherhood of Breath, l’orchestra che raccoglie il meglio dei musicisti sudafricani esuli a Londra, a iniziare dalla sontuosa sezione ritmica: Miller e Moholo. Nella band sono presenti anche Skidmore, Malfatti e Beckett… nascono i Ninesense che nelle intenzioni di Dean dovevano raccogliere l’eredità del sestetto di Tippett, rinvigorito dalla lunga frequentazione/confronto con i musicisti sudafricani. Nella formazione originaria infatti era presente anche un terzo membro della confraternita del respiro, Mongezi Feza. La formazione esordì nel gennaio del 1975 (Feza morirà a soli trent’anni, “curato” in ospedale, il 14 dicembre 1975) e pubblicò il primo disco dopo un anno: Oh! For The Edge, contenente altre esecuzioni tratte da esibizioni al 100 Club. Solo nel 2003 sono emerse delle registrazioni di due session alla BBC, di cui solo la prima, datata 19 maggio 1975, vede la partecipazione di Feza.
Tornando ai magnifici nove riuniti per il concerto al 100 Club in Oxford Street al numero civico 100, a Londra, gli bastò poco per ricominciare con la languida ballad Sweet F. A. già ascoltata su Happy Daze. Qui il primo solista a divagare sul tema è il pastoso Skidmore, mentre in quest’occasione Beckett predilige un tono più concitato. Tocca sempre a Tippett chiudere.
Chiude il set l’irresistibile Seven for Lee dove le divagazioni di Dean e Skidmore non cononoscono soste, ostacoli, impedimenti, tutto scorre con energia inesauribile. Il solo di Dean è nel segno di John Coltrane: luminoso, tagliente, ostinato e ribollente, quello di Skidmore si scalda progressivamente, quasi prima girando al largo per poi raggiungere un parossismo di intensità analogo a quello di Dean che finisce per rapire tutti prima di riafferrare il micidiale riff. La storia continua. I destini si incrociano ripetutamente, Dean si ritrova nelle sedute di registrazione di Sunset Glow (1975), l’album inciso da Julie Tippett, l’ex Driscoll degli Steampacket, ora moglie di Keith Tippett. Aveva già collaborato al suo precedente album, 1969, quando il cognome era ancora Driscoll con i soliti Charig ed Evans. Lavora in trio, in quartetto, ritrova John Marshall, batterista della seconda ora nei Soft Machine, torna a dare una mano al secondo ambizioso progetto orchestrale di Tippett (Frames, 1978). L’ombra lunga della morbida macchina si estende lungo tutta la decade. Se Wyatt prima del tremendo capitombolo che lo paralizzerà a vita inventa i Matching Mole (cfr. questo numero) che in francese suona machine molle, Dean allestisce prima i Soft Head e poi i Soft Heap, due quartetti con Hopper, il pianista Gowen e differente batterista: Dave Sheen (Soft Head) e Pip Pyle (Soft Heap). Gowen e Pyle arrivano dai National Health, formazione del crepuscolo canterburyano con cui Dean firmerà l’atto conclusivo (D.S. Al Coda). Dalle schegge dei National Health nasceranno nuove formazioni che Dean non mancherà di caratterizzare con i suoi inconfondibili timbri: gli Equipe Out di Pyle (c’è sempre Hopper), gli In Cahoots (sempre con Hopper e Pyle), capitanati da Phil Miller, ex Matching Mole, tra gli altri.
La serata al 100 Club in Oxford Street al numero civico 100, a Londra, è intanto ancora a metà. Il secondo set si apre con Nicrotto, altro prelievo da Happy Daze, lunga ruminazione per due tromboni talvolta meditabondi talaltra luciferini, che il resto della band asseconda con fare interlocutorio, dopo aver tramato e disfatto ripetutamente il tema. I due trascinano la band sull’orlo del precipizio, sbandano, si rimettono in carreggiata, riprendono fiato e tutti insieme si avviano verso un finale semi rarefatto. Il set prosegue con degli inediti. Si parte con Macks che impegna Dean in un torrenziale assolo su un tema sinuoso, debitore non poco del procedere danzante tipico dei fratelli sudafricani. C’è di nuovo spazio per Beckett, ma tutti scalpitano e Tippett si assume l’onere di condurli al brano successivo: First Born, l’unica composizione non firmata da Dean, bensì da Evans, che si incarica del primo solo dall’andamento ciondolante su un tema molto melodico. Piuttosto sognanti anche i successivi interventi di Dean e Tippett. Il secondo set volge al termine, c’è il tempo per un altro inedito: Bounce. Si torna su temperature torride, inizia Dvorak ma è Skidmore a sfrecciare come una locomotiva, inarrestabile, trascinando con sé prima il giovane (allora) trombettista, poi tutta la band in un finale pirotecnico. Termina qui una serata memorabile e si chiude una decade favolosa.
Siamo negli Ottanta, Dean firma anche diversi dischi a suo nome, tra cui il già citato Boundaries (1980) elegante prova in quintetto con Tipper, Moholo, Charig e Marcio Mattos al contrabasso; si ritrova anche in un energico settetto di Tippett (con Charig ed Evans) per un album dal titolo chilometrico: A Loose Kite in a Gentle Wind Floating with Only My Will for an Anchor (1985) e riformula i Sotf Head coinvolgendo il giovane chitarrista Mark Hewins con cui negli anni seguenti si ritroverà in diverse occasioni anche in duo, producendosi in stimolanti confronti.
Negli anni Novanta, Dean si ritrova in un singolare Anglo Italian Quartet, lavora molto con il pianista Howard Riley e partecipa all’inquietante progetto Kaddish (1993) sorta di concept sulla Shoa; non manca le due puntate in ricordo dei musicisti sudafricani firmate dalla Dedication Orchestra, allestisce una propria Unlimited Saxophone Company, fa visita al quartetto Mujician capitanato da Tippett, propone un nonetto che riprende le fila di un discorso interrotto anni addietro: i Newsense. Dei vecchi Ninesense non c’è nessuno, ad esclusione di quel Jim Dvorak che era entrato nel secondo set in quella indimenticabile serata al 100 Club. Altra variazione sul tema saranno i Soft Bounds in compagnia della raffinata pianista Sophie Domancich, frequentata sin dai tempi del primo Equipe Out.
Negli anni Duemila, Dean si produce in brillanti interventi nel combo belga Wrong Objects (in repertorio anche deliziose cover del songbook zappiano), si ritrova nel nuovo progetto orchestrale di Tippett, la Tapestry Orchestra, si adopera con Hopper per dare vita a Soft Machine Legacy, con altri due ex della gloriosa band: Marshall e il chitarrista John Etheridge che ne fece parte nell’ultima stagione, infine, l’8 febbraio 2006, la storia di Elton si interrompe. Ricorda Bergerone: “Il 9 maggio del 2006, con un groppo in gola, tornai al 100 Club per il concerto in memoria di Elton. C’erano tutti i suoi amici: Keith, Evan, Marc, Nick, Hugh, Paul, Louis, Maggie, Lol, Harry e tanti altri. Vidi sua moglie Marino e la strinsi in un grande abbraccio. Un grandissimo musicista ci aveva lasciato troppo presto. Ma soprattutto un uomo dolce, arguto, generoso aveva lasciato il vuoto nel cuore di tanti amici che lo avevano conosciuto. A me manca molto. Penso anche a tanti amici. Al 100 Club non sono più andato. I dischi di Elton li sento ancora”.
Anche noi.
ASCOLTI
— Anglo Italian Quartet, Put It Right Mr. Smoothie, Splasc(h), 1991.
— Centipede, Septober Energy, Disconforme, 2000.
— Dean Elton, Boundaries, Japo, 1980.
— Dean Elton, Two's And Three's, Voiceprint, 1994.
— Dean Elton, Just Us, Cuneiform, 1998.
— Dean Elton, The Vortex Tapes, Slam, 1992.
— Elton Dean's Newsense, Elton Dean's Newsense, Slam, 1998.
— Elton Dean's Ninesense, Live At The BBC, Hux Records, 2003.
— Elton Dean's Ninesense, Happy Daze/Oh! For The Edge, Ogun, 2009.
— Elton Dean & The Wrong Object, The Unbelievable Truth, Moonjune, 2005.
— The Dedication Orchestra, Spirits Rejoice, Ogun, 1992.
— The Dedication Orchestra, Ixesha (Time), Ogun, 1994.
— Driscoll Julie, 1969, Eclectic, 2006.
— Hewins Mark, Dean Elton, Bar Torque, Moonjune 2001.
— Hopper Hugh, Monster Band, Culture Press, 1996.
— Hopper Hugh, Hopper Tunity Box, Cuneiform, 2007.
— Hopper/Dean/Tippett/Gallivan, Mercy Dash, Culture Press, 1985.
— Mujician, Bladik, Cuneiform, 1996.
— Tippett Keith, Dedicated To You But You Weren't Listening, Vertigo, 1970, Repertoire, 1994.
— Tippett Keith, You Are Here... I Am There, Disconforme, 2000.
— Keith Tippett’s Ark, Frames (Music for an imaginary film), Ogun, 1996.
— Keith Tippett’s Septet, A Loose Kite In A Gentle Wind Floating With Only My Will For An Anchor, Ogun, 2010.
— Keith Tippett Tapestry Orchestra, Live At Le Mans, Red Eye, 2010.
— Miller Phil, Cutting Both Ways, Cuneiform, 1987.
— National Health, D.S. Al Coda, Voiceprint, 1995.
— Pip Pyle's Equip'Out, Pip Pyle's Equip'Out, Voiceprint, 1999.
— Soft Head, Rogue Element, Ogun, 1996.
— Soft Heap, Al Dente, Reel Recordings, 2008.
— Soft Heap, Soft Heap, Esoteric, 2009.
— Soft Machine, Third, Columbia, 2007.
— Soft Machine, Fourth, Columbia, 2007.
— Soft Machine, Fifth, Columbia, 2007.
— Soft Machine, Virtually, Cuneiform, 1998.
— Soft Machine, Noisette, Cuneiform, 2000.
— Soft Machine, Backwards, Cuneiform, 2002.
— Soft Machine, Grides, Cuneiform, 2006.
— Soft Machine, Drop, Moonjune, 2008.
— Soft Machine, Live at Henie Onstad Art Centre 1971, Reel Recordings, 2009.
— Steve Miller Trio, Meets Elton Dean, Reel Recordings, 2008.
— Towering Inferno, Kaddish, TI Records 1993.
— Tippetts Julie, Sunset Glow, Disconforme 2000, Air Mail Music, 2006.
— Wyatt Robert, End of an Ear, Esoteric, 2012.
VISIONI
— Dreamtime, Double Trouble, (inlcude dvd con parte dell’Elton Dean Memorial al 100 Club), Reel Recordings, 2010.
— Soft Machine, Alive in Paris 1970, Voiceprint, 2008.