LETTURE / MATRIMONIUM – BREVE TRATTATO DI ECOSOFIA
di Michel Maffesoli / Bevivino Editore / pp. 100, € 10,00
La natura delle cose
Dialogo con Michel Maffesoli
di Fabio La Rocca
D’antique mémoire, éros et thanatos
sont structurellement liés.
La vie n’existe que parce que la mort y a sa part.
C’est bien cela la présence
apaisante de la sauvage nature.
C’est bien cela que l’on peut appeler
l’invagination du sens.
Da anni Michel Maffesoli si
adopera per distinguere i tratti essenziali del tempo presente, con uno
sguardo acuto e una sensibilità particolare nei confronti
dell’attuale fase postmoderna.
Nel suo ultimo saggio, Matrimonium,
Breve trattato di ecosofia, il tema della riflessione
è la diversa postura intellettuale che sembra delinearsi
rispetto alla natura e all’ecologia. Alla tradizionale
opposizione e dicotomia “natura vs uomo” sembra ora
sovrapporsi una dimensione unitaria, un ritorno alla “natura
essenziale delle cose” fatta di interdipendenza e
corrispondenza. Non si tratta dunque dell’ecologia propria
delle rivendicazioni politiche, ma di una tendenza, di un modo
d’essere, una maniera di relazionarsi al mondo e alla vita
quotidiana.
“Lasciar essere senza essere passivi.
Sentire il mondo attraverso un’esperienza sinestetica, senza
dominarlo e violentarlo”. Quali sono le ragioni di una tale
inversione di prospettiva?
Il primo e fondamentale
cambiamento prospettico riguarda la concezione della verità,
da cui discendono una serie di conseguenze. Ogni epoca possiede una
logica della verità, ovvero un modo di costruire il proprio
rapporto col mondo. Se la modernità era caratterizzata da
una tensione costante verso l’alto, da una concezione paranoica,
la postmodernità al contrario si presenta come una
compresenza di molteplici verità, che vengono dal basso,
delle “verità approssimative” come
direbbe Edgar Morin. Mentre all’interno della tradizione
giudaico-cristiana e illuminista ha prevalso la
“storia” come processo di controllo, oggi si
assiste ad un ritorno potente del “destino”, di un
modo d’essere che considera l’esistenza nella sua
interezza: la parte d’ombra, il chiaro-oscuro.
Siamo
di fronte ad una mutazione antropologica. Il disprezzo della Terra e la
distruzione del mondo sono il risultato della modernità, di
una mobilitazione individuale e collettiva verso un paradiso celeste o
un paradiso terrestre. “Prendersi cura della Terra
Madre”, questa è l’inversione principale
di cui si fa carico oggi la sensibilità ecologica. Contro il
razionalismo scientifico richiamo la necessità di una
“ragione sensibile”, contro il contratto sociale un
patto emozionale, contro il catastrofismo tipico delle élite
un’esaltazione della vita e della quotidianità.
Nella socialità postmoderna, al processo di dominio succede
l’ajustement, ovvero
un’accettazione dell’alterità, del
presente e delle diverse circostanze vissute. Emerge con forza un
sapere delle origini, una relazione stretta con ciò che
è essenziale.
In questo processo di ajustement,
quale particolare relazione alla natura sembra prendere il sopravvento?
La
terra è un costante richiamo del ciclo della morte e della
vita, una metamorfosi continua che favorisce la crescita organica di un
popolo e incarna l’idea che una comunità ha di se
stessa. È il fondo sul quale una comunità
può crescere, la base che le consente di essere
ciò che è. Lo spettacolo della natura ci offre
innumerevoli esempi di violenze climatiche, come terremoti,
inondazioni, siccità, oltre a quelle animali. Questa
è la tragedia della vita organica, quella della natura. Ma
ne costituisce anche la bellezza che l’umano percepisce in
maniera inconsapevole e incontrollabile. Una sorta di archè,
un fondamento antropologico, che scava sotterraneamente in ognuno di
noi e nell’intero corpo sociale.
Propongo
di recuperare una saggezza dionisiaca. Una forma di sapere alternativo,
capace di integrare l’alterità, anche quella
dell’eccesso, della violenza, del dispendio. La
crudeltà ha il suo posto nella socialità
postmoderna. Tale tipo di sensibilità per l’altro
conduce a una concezione allargata della realtà. Una
realtà plurale e polisemica, quella
dell’esperienza quotidiana e del vissuto collettivo.
Esperienza e vissuto che non si limitano alla realizzazione di un
ideale lontano, di una società perfetta, ma che al contrario
tessono, in un intreccio senza fine, tutti gli affetti, le emozioni, le
passioni costitutive della vita di tutti i giorni, per arrivare a
costituire la fitta trama sociale e naturale che mette in comune gli
esseri viventi.
Siamo al cuore di una solidarietà
organica, di una nuova sensibilità ecologica?
Lo
spirito del tempo è caratterizzato da un’atmosfera
“emozionale” in cui gli individui si legano al
territorio e alla terra in una ambiance dominata
dal pathos. Questo genera il passaggio da una
solidarietà meccanica ad una organica, dove
l’ordine simbolico è dato dalla rinascita di
molteplici tribù postmoderne, da una partecipazione magica
agli oggetti quotidiani e alla natura. Mentre il pensiero meccanico ragiona,
quello organico risuona, conferisce senso
all’unificazione e all’appartenenza reciproca. Al
di là delle analisi che usano termini privi di senso,
l’organicità è una parola atta a
riunire la vita in ciò che essa ha di olistico.
Nell’autenticità della sensibilità
ecologica c’è la volontà di riconoscere
l’accettazione della finitudine.
In questo
senso la saggezza “ecosofica” è vissuta
nei diversi momenti dell’abitare, nel nutrirsi e
nell’abbigliarsi, in tutti quegli elementi che formano la
vera cultura e in cui il modello dominante non è
più la ragione universale, ma al contrario la congiunzione
che si capillarizza nelle pratiche quotidiane. È proprio
nella vita quotidiana che riscontriamo la massima espressione della
sensibilità ecologica: una sensibilità che,
ripeto, si lega alla presenza delle cose e alla presenza alle cose
della vita. Questo spiega anche l’importanza dello spazio,
degli elementi primordiali che compongono la natura e del legame che ci
unisce. Si pensi ad esempio al termine “casa”: sia
nell’accezione latina di domus che in
quella greca di oikos, esso rinvia
al rifugio comune, all’ambiente dove trovare sicurezza e
protezione. Si tratta in sintesi di un ritorno al semplice, alla vita.
In che modo?
Siamo sempre stati
abituati a rappresentare il mondo, a mettere l’accento sul
“dover essere” che maschera e opprime
“ciò che è”. Se invece
vogliamo comprendere il presente, gli avvenimenti sociali e quelli, in
particolare, legati ai rapporti con la Terra Madre, allora
c’è bisogno di inaugurare una nuova prospettiva,
una visione che sappia interrogarsi sullo stato delle cose. Per questo
propongo una “geosociologia”, o un
“sociologia delle profondità”, capace di
riconoscere il legame sociale profondo e radicato, in cui ognuno
diventa un esploratore della natura delle cose.