ASCOLTI / CANZONI PER I NATALI DEL FUTURO
VOL. 3
di Aa.Vv. / Cervello Meccanico Records, 2011
Il Deus ex Machina
è nato di nuovo
di Clara Ciccioni
“Dio nasce, le potenze tremano di paura…” Bóg się rodzi, il più celebre canto natalizio polacco, considerato in patria alla stregua di inno nazionale, uno dei preferiti di Karol Wojtyla, intonato dai prigionieri polacchi nel campo di concentramento di Auschwitz, fu composto nel 1792 da Franciszek Karpiński, uno dei maggiori poeti polacchi del periodo illuminista. Il tema musicale, invece, fu apparentemente composto nel XVI secolo, in occasione dell’incoronazione di Stéphen Bathory, Stefano I di Polonia, il voivoda di Transilvania ricordato nella storia polacca come il re della Controriforma. Stille Nachte, per fare un altro esempio, forse il canto natalizio più tradotto in altre lingue, vide la luce nel 1818 in Austria, durante il regno di Francesco I, e divenne Astro del Ciel, con un nuovo testo in italiano che non traduceva l’originale, solo nel 1937 per mano di un prete bergamasco. Tu scendi dalle stelle, forse la più longeva delle canzoni natalizie nella tradizione italiana, risale alla seconda metà del Settecento, e fu scritta da sant’Alfonso Maria de’ Liguori, rampollo di una famiglia dell’aristocrazia napoletana che rinunciò alla vita agiata e al titolo nobiliare affascinato dalla povertà che volle celebrare con quelle strofe. Jingle Bells, infine, forse il più famoso canto natalizio del mondo, fu scritto nel 1857 a Medford, nel Massachusetts, dove a inizio secolo imperversavano le gare di slitte.
Alla luce di tale radicamento delle canzoni natalizie più celebri in un periodo storico non troppo remoto (cfr. anche Quaderni d'Altri Tempi n. 29), non hanno torto gli animatori della Cervello Meccanico Records a considerare i canti di Natale che conosciamo superati e obsoleti. E paradossalmente non perché siano troppo longevi, ma al contrario perché sono troppo giovani, perché sono nati in luoghi storici troppo vicini a noi per considerarli originari di un’antica tradizione di celebrazione della Natività ma allo stesso tempo così lontani da non condividere ormai più nulla con l’atmosfera natalizia del presente che viviamo.
Il terzo volume di Canzoni per i Natali del futuro è dunque un album di pubblica utilità, destinato nelle intenzioni degli autori a sostituire i canti “tradizionali” con questi brani di elettronica melodica evidentemente figli del presente e in qualche modo anche del futuro. L’ispirazione non è religiosa, ma attinge all’atmosfera e ai simboli culturali delle feste natalizie, i valori della bontà, della tolleranza, i rituali della riunione e del caminetto, la neve. Ma anche al Sol Invictus dei romani, il culto del trionfo della luce sulle tenebre celebrato da Eliogabalo e Aureliano il 25 dicembre, quando le ore di sole delle giornate ricominciavano inesorabilmente ad aumentare. L’ispirazione tende quindi a un ritorno alle antiche origini del Natale concepito per adattarsi alle riunioni sotto l’albero, con la libertà di intonare melodie non corredate da testi ispirati dalla grazia divina a monaci e poeti della modernità. Cervello Meccanico Records è del resto una creatura partorita da un manipolo di talenti cresciuti in quell’esaltante momento in cui il Natale era un’ottima occasione per farsi regalare un Amiga 500, un Atari, un Commodore Vic-20 e dopo un 64, per poi intrattenersi nel sano passatempo del videogame mentre gli adulti (quelli troppo adulti, al punto di non subire il fascino di quelle macchine magiche) si abbandonavano come di consueto all’ebbrezza del gioco d’azzardo santificato dalle feste. E ancor più interessanti della produzione musicale in sé, che costituisce comunque una deriva emozionante dell’elettronica indipendente e autoprodotta, sono la storia di questa etichetta e la (sub)cultura in cui affonda le radici l’idea originaria e tuttora perseguita dai suoi membri di essere comandati da un cervello meccanico vero, un software intelligente che, stimolato da input concettuali, fornisca ai musicisti istruzioni random per comporre brani.
Il software non è ancora completato, ma l’etichetta produce e diffonde musica elettronica dal 1998, e la distribuisce gratis via internet. Alla fine degli anni Novanta Pira666, Larva e Spot decidono di condividere in rete sul sito www.cervellomeccanico.com le produzioni musicali che fino a quel momento avevano composto per piacere personale. Peer-to-peer e file sharing erano ancora realtà embrionali custodite da sviluppatori solitari, ma c’erano già i masterizzatori, i tracker, e la Rete stava evolvendo nella direzione dell’ubiquità preconizzata da Paul Valéry a inizio secolo. Negli anni Ottanta, con l’esplosione dell’industria del videogaming e del personal computer, si era diffusa la pratica di produrre musica combinando hardware e software in maniera artigianale, mentre la trasformazione di quell’approccio di natura ludica, professionale – in alcuni casi entrambe – in subcultura vera e propria avvenne più tardi, con lo sviluppo della scena cracking e demo. Alla fine del decennio, la pratica di “crackare”, ovvero violare la protezione commerciale di software e giochi per crearne altre copie e distribuirle gratuitamente, evolve in una cultura globale con i propri codici di condotta, le proprie rivalità interne e reti di comunicazione. Evolve, in sintesi, nella scena demo. Sono naturalmente i BBS (Bullettin Board System) i primi canali di comunicazione dei gruppi di cracker, ma il fenomeno impenna con l’avvento del floppy disk alla fine degli anni Ottanta. I violatori di software iniziano così a adottare sistemi di riconoscimento che li rendano identificabili all’interno di un ambiente ludico e competitivo in cui la competizione è interamente incentrata sulla pratica di apporre la propria firma alla copia piratata. Prima dell’avvio del videogioco, il singolo o il gruppo di cracker informano della propria identità il giocatore, cimentandosi in imprese multimediali costrette in spazi di memoria oggi a malapena concepibili (sul formato 4k si parla di byte), ed evolvendo dal formato testo alle cosiddette intro o demo, animazioni complesse che sfidavano i limiti del software e dell’hardware oltre le capacità a prima vista immaginabili. “Un demo è un programma che genera uno show di suoni, musica, e luci, di solito in 3D. I demo sono molto divertenti da guardare perché fanno cose apparentemente impossibili per le macchine sulle quali sono stati programmati”. Questa è la descrizione del demo che fornisce Trixter di Hornet Archive, uno dei siti di riferimento della scena, cristallizzando i caratteri di una subcultura incentrata sull’approccio edonistico all’hacking e sulla competizione nella sfida delle potenzialità delle macchine.
La intro acquista rapidamente valore, importanza e soprattutto un pubblico di fan in quanto opera multimediale separata dal gioco per cui è stata creata. Il passaggio dal termine intro(duction) al termine demo(nstration) esprime in un certo senso anche questa evoluzione. L’appendice, l’introduzione a qualcosa, diventa dimostrazione, manifestazione delle capacità del cracker.
Intorno a Scene.org, Hornet Archive e altri siti internet, si sviluppa una sorta di comunità virtuali prevalentemente collocate in Nord Europa e negli Stati Uniti, che sfruttano gli spazi di condivisione e gli strumenti di comunicazione messi a disposizione dai siti ampliando gradualmente le concezioni e moltiplicando le pratiche, finché la musica elettronica non diverrà una componente fondamentale e una fetta consistente della produzione mediale della scena. Da ricordare, particolare non da poco, che nel 1987 Karsten Obarski aveva creato The Ultimate Soundtracker, un software per Amiga 500 che lo aiutasse a comporre le colonne sonore dei giochi della Rainbow Arts. Si può comprendere la portata rivoluzionaria di Soundtracker nell’evoluzione della scena demo se si pensa che mentre fino alla sua comparsa si poteva produrre musica con un pc solo se si era in grado di interagire con la macchina attraverso i linguaggi di programmazione, quel software introduceva un’interfaccia grafica modellata sulla metafora del rullo per pianoforte, che rappresentava i quattro canali di cui in genere si costituiva il suono nei chip delle macchine Amiga, melodia, accompagnamento, basso, percussioni. A rinfoltire la comunità di geek e cracker della prima ora, allora, si aggiunse un gran numero di fan non programmatori, profani dei linguaggi informatici che utilizzavano i tracker per comporre musica.
Il filone musicale che ne è derivato raccoglie migliaia di produzioni inclassificabili, del tutto aliene a obiettivi di commercializzazione e concepite più spesso come sperimentazioni personali a scopo puramente edonistico. I generi, d’altro canto, non hanno tardato ad autogenerarsi, e 8-bit music, chiptune, micromusic sono termini tra i quali ancora adesso si fatica a tracciare i confini. Al di fuori di queste etichette si colloca ad ogni modo questa elettronica melodica prodotta con un approccio artigianale e sperimentale da autori che non si impongono dogmi di genere o limiti di strumentazione e che per certi versi, come nel caso delle Canzoni per i Natali del futuro e in generale delle ultime produzioni di Cervello Meccanico, sembra più figlia della space music di Brian Eno e Michael Stearns che dei frutti delle competizioni ludiche di sviluppatori, hacker e fan del videogame. Ma che probabilmente non lo è.
Le Canzoni di Natale di Cervello Meccanico, tre compilation pubblicate tra il 2009 e il 2011, fanno parte di un filone “utilitaristico” inaugurato nel 2005 con Musica per astronauti, una compilation di brani composti “per adattarsi ai lunghi viaggi nello spazio, all’esperienza di guardare fuori dalla finestra del satellite e vedere il pianeta che ti ha dato i natali diventare sempre più piccolo” e proseguito con Addio alla Terra. Musica per astronauti vol. 2 (2011), un album per quegli astronauti che “vedono il pianeta Terra nient’altro che come una culla e una volta cresciuti abbastanza per andare nello Spazio decidono orgogliosamente di non tornare più indietro”, “fatto per accompagnare l’immagine del nostro pianeta mentre scompare nell’oscurità e prepararci a una morte pacifica in assenza di gravità”. Otto brani di elettronica melodica che azzerano il tempo e dilatano lo spazio, che restituiscono al Natale i rituali e le atmosfere di un futuro che all’ascolto appare come un’eterna alba della civiltà, un eterno ritorno al principio che insegue la fine cavalcando sul nuovo paradosso cosmogonico che porta a chiedersi se sia nato prima l’uomo o la macchina.
LETTURE
— Valéry Paul, La conquista dell’ubiquità, in Scritti sull’arte, Guanda, Parma, 1993.
— Katz Mark, Capturing sound. How technology has changed music, University of California Press, Berkeley, 2004.
— Taylor Timothy D., Strange Sounds: Music, Technology and Culture, Routledge, Vancouver, 2001.
ASCOLTI
— AA. VV., Addio alla Terra. Musica per astronauti vol. 2, Cervello Meccanico Records, 2001.
— AA. VV., Musica per Astronauti, Cervello Meccanico Records, 2005.
— AA. VV., Canzoni per i Natali del futuro, Cervello Meccanico Records, 2009.
— AA. VV., Canzoni per i Natali del futuro vol. 2, Cervello Meccanico Records, 2010.
— Eno Brian, Apollo. Atmospheres & Soundtracks, Polydor, 1983.
— Sterns Michael, Chronos, Sonic Atmospheres, 1985.