LETTURE / LIBRO DEL CIELO E DELL'INFERNO


di Jorge Luis Borges e Adolfo Bioy Casares / Adelphi, Milano, 2011 / pagine 293, € 15,00


È compito di ogni singolo uomo
scegliersi un qualsiasi Aldilà

di Livio Santoro


In Tlön, un influente gruppo di teologi ritiene che la metafisica non sia altro che un ramo della letteratura fantastica (Borges, 2003, p. 23); dello stesso avviso è Eudoro Acevedo, uomo stanco alle prese con la sua stessa utopia, quando ci informa che la Summa Theologica e I Viaggi di Gulliver appartengono entrambi alla narrazione fantastica (Borges, 2004, p. 76). Inoltre a ben vedere, leggendo quanto sostengono, esperiscono e simboleggiano quasi tutti gli altri personaggi del caotico mondo borgesiano, questa identità di genere tra la letteratura metafisica e quella fantastica è un sentire comune, tratto tacito e autoevidente di una realtà disgraziatamente testarda con la quale gli uomini, giorno dopo giorno, hanno continuamente a che fare. Sicché, a pensarla come Acevedo e come i metafisici di Tlön, nulla vieterebbe di inserire nella stessa antologia, nella stessa raccolta di sogni escatologici e di speculazioni salvifiche, un brano tratto dall’Apocalisse (UCEI, 1975) e un altro da Le Mille e una notte (AA. VV., 2006); e allo stesso modo nulla vieterebbe di far dialogare Palmer Eldritch (Dick, 1999) con un qualsiasi Bodhisattva. D’altronde, se tra i maggiori criteri attraverso cui si costituisce il fantastico come genere letterario ci sono l’esitazione e l’ambiguità (Todorov, 2000, p. 171) non è forse vero che ritroviamo entrambi questi criteri, immutati, anche nello sguardo dell’uomo che anela il cielo e vagheggia del suo destino oltremondano?

È senza dubbio questo il binario sul quale Jorge Luis Borges e Adolfo Bioy Casares si sono mossi tracciando la prospettiva di una delle loro più bizzarre e affascinanti antologie: Libro del cielo e dell’inferno, ennesimo capitolo di un ubertoso sodalizio letterario che sovverte internamente le regole dell’adeguatezza nell’enumerazione. Qui compaiono centotrentacinque (e passa) versioni dell’Aldilà (del cielo, dell’inferno) scritte a firma di una vasta ed eterogenea galleria di narratori: il visionario Emanuel Swedenborg, il lacerato Franz Kafka, l’ispettore Bertrand Russell, l’eidetico Platone, San Giovanni l’apostolo escatologico, il rivoluzionario Voltaire con le sue dissacrazioni e altri anonimi o apocrifi inventori del sacro. Questi sono solo alcuni degli autori che i due amici di Buenos Aires raggruppano sotto lo stesso titolo: autori che fanno i conti con la loro stessa esitazione e con quella dell’uomo in generale. Soggetti di quelle finzioni letterarie che il tempo degli esseri umani ha scritto e riscritto, incessante, insoluto e testardo come il fiume di Eraclito. Tanto soggetti all’esitazione da avervi trovato un’ontologica soluzione definitiva in una certezza di parvenza, in una fede, cioè nella fissazione di un ritratto che nega il tempo stesso, che si adatta alle differite traiettorie di quella cosa che noi uomini, quaggiù, abbiamo imparato a chiamare con il nome di eternità: quel mondo del dopo, talvolta fatto di celesti astri abbacinanti e talaltra di magmatici visceri rutilanti, che traduce l’esistenza dell’individuo e della sua stessa realtà nell’assenza dell’istante.

Paradisi corporei dove si festeggia di idromele e si ruggisce di battaglia o dove si contempla l’assoluto nella quiete degli arti; inferni organici di fiamme eterne e totali, dove in ogni attimo si infliggono costantemente terribili punizioni agli ingiusti della storia; cieli inconsistenti come la forma sferica del chiarore, o fatti della sola materia della coscienza; oltremondi costituiti esclusivamente dai successivi gradi di espressione e perfezionamento dall’anima; luoghi inesistenti dove non c’è alcun dio né alcuna altra presenza.

Ad ognuno il suo Aldilà, dunque, ad ognuno la sua finzione, in quella gratificante disposizione che concretizza le linee dell’immaginazione o dell’intuizione umana, spettacolarizzando il senso di colpa, eternando la battaglia o dissolvendo i corpi, nobilitando la povertà terrena o giustificando l’empietà dei reprobi.

D’altronde, se ogni autore ha già il suo mondo, e vive in esso al pari dei suoi stessi personaggi, perché non dire che la letteratura prende ad essere in ogni singolo caso l’unico modo per giudicare la realtà, per definirne gli angoli e i recessi? Di nuovo insieme, allora, le finzioni della metafisica a far parte unica con quelle della letteratura fantastica, a dimostrarsi proposte soggettive nell’irrisolta tensione che ci vuole solutori del caos della realtà. Tutto a provenire dall’esitazione del soggetto che, dopo essersi chiesto: che ci sto a fare io, qui? si chiederà con sempre maggior timore: soprattutto, cosa farò, dopo?

Ad ognuno il suo dopo, ad ognuno la sua risposta singolare, in quell’opera di incessante scrittura (e riscrittura) dello stesso libro composto da innumerevoli pagine di innumerevoli altri libri. Una scrittura tanto incessante da rendere l’uomo personaggio della sua stessa letteratura: sia essa fantastica o sia metafisica non importa più. D’altronde, se con Blas Matamoro diciamo che l’espressione letteratura fantastica non è altro che un pleonasmo tranquillamente equiparabile all’espressione letteratura letteraria (Matamoro, 2011), ci sarebbe facile tradurre nella stessa natura pleonastica anche la letteratura metafisica, con le sue invenzioni di cieli e di inferni, con tutto il suo tripudio di anime e il suo strazio di corpi, con tutte le sue beatitudini e le sue dannazioni. In sostanza, con tutte le finzioni che le appartengono. Tra l’altro lo stesso Borges, in una delle sue numerosissime conferenze ebbe a sostenere: “I generi letterari dipendono, forse, meno dai testi che dal modo in cui i testi vengono letti” (Borges, 1981, pp. 49-50). I generi letterari, detto brutalmente, si connotano spesso, secondo i nostri autori, per la loro natura convenzionale e dunque intimamente congetturale.

Allora, dati questi presupposti, se a quella domanda – cosa farò, dopo? – l’uomo è in grado di offrire una soluzione volta per volta, contesto per contesto, cultura per cultura, anno per anno, soggetto per soggetto, ciò vuol dire che le ragioni di questa soluzione vanno trovate nel singolo autore (e specularmente nel singolo lettore) di ognuna di queste storie metafisiche, e lì circoscritte; non altrove, cioè non nella metafisica. Perché ciò che accade all’uomo, in ogni suo atto così come in ogni sua riflessione, non è altro che letteratura: emanazione di finzioni, costruzione di trame e di sceneggiature. Tanto che la realtà, a voler essere sinceri, appare essa stessa come fosse finzione: forse perché lo è, o forse perché è la finzione ad essere realtà, in un rapporto inverso. Ma entrambe, possiamo starne certi, sono letteratura. Noi stessi lo siamo. E la tendenza che come uomini (singoli o appartenenti ad una qualsiasi società) abbiamo sempre avuto, che abbiamo adesso e che certamente avremo poi nel creare un Aldilà fatto di cieli e di inferni, o anche solo nel fissare l’eternità dell’attimo della morte nell’ultimo delicato istante terreno (al proposito si legga il frammento di Charles Lamb riportato nell’antologia di Borges e Bioy Casares), ci dimostra che, in quanto autori della nostra medesima storia, non siamo stati, non siamo e non saremo mai paghi e soddisfatti della nostra narrazione. Eternamente incapaci di scriverne un ultimo, definitivo epilogo.

 


LETTURE

× AA. VV., Le mille e una notte, a cura di F. Gabrieli, Torino, Einaudi, 2006.

× Borges J.L., Borges oral, 1979, trad. it. Oral, Roma, Editori Riuniti, 1981.

× Borges J.L., El libro de arena, 1975, trad. it. Il libro di sabbia, Milano, Adelphi, 2004.

× Borges J.L., Ficciones, 1956, trad. it. Finzioni, Milano, Adelphi, 2003.

× Dick P.K., The Three Stigmata of Palmer Eldritch, 1965, trad. it. Le tre stimmate di Palmer Eldritch, Palermo, Sellerio, 1999

× Matamoro B., ¿Qué es la literatura fantástica?, in Cine y Letras, 13 aprile 2011 – all’URL http://www.cineyletras.es/index.php/Escritores/ique-es-la-literatura-fantastica.html

× Todorov T., Introduction à la littérature fantastique, 1970, trad. it. La letteratura fantastica, Milano, Garzanti, 2000.

× Unione Editori Cattolici Italiani – UCEI (a cura di), La Sacra Bibbia, edizione approvata dalla CEI, Roma, UCEI, 1974.