ASCOLTI / THIS BRINGS US TO, VOLUME 2
di Henry Threadgill / Pi Recordings, 2010
Il pranzo è servito
di Gennaro Fucile
“Non modifico mai le formazioni per ragioni di marketing, o per il gusto della novità. Sento il bisogno di cambiarle solo quando cambia la mia maniera di comporre. In quel caso, comincio a sentire gli strumenti e l'orchestrazione e devo capire con esattezza che cos'è che mi risuona in testa. Mi capita di sentire quattro, cinque, sei strumenti tutti insieme. Che colori sono quelli che sento? È uno «steelpan» (bidoni sonori,
ndt) o un harmonium? È un pipa (liuto cinese, ndr), o un oud (liuto arabo,
ndr)? Quello che ascolto è un violoncello, oppure sono due? È salsa teriyaki (un condimento giapponese,
ndr) o solo tanto sale? Perché appiccica? C'è del miele, dello sciroppo d'acero, dello zucchero? Insomma, faccio come fanno i cuochi” (Shteamer, 2010).
Il cuoco che parla è Henry Threadgill, la sua ultima ricetta si chiama Zooid, ovvero un organismo cellulare in grado di muoversi indipendentemente all'interno di un altro. Il primo assaggio pubblico della leccornia Zooid avvenne il 15 settembre 2000, quando debuttò ufficialmente alla Knitting Factory di New York. In dieci anni, Threadgill ha modificato più volte la ricetta. La formazione che esordì discograficamente l’anno successivo vedeva, oltre al leader, Liberty Ellman alla chitarra acustica, Tarik Benbrahim all’oud, Jose Devila alla tuba, Dana Leong al violoncello e Dafnis Prieto alla batteria. Nell’ultima uscita discografica, This Brings Us To, Volume 2, invece, le spezie e gli aromi si modificano leggermente, si passa dal sestetto al quintetto proponendo sempre Ellman e Devila (che suona anche il trombone), ma Eliot Humberto Kavee alla batteria e Stomu Takeishi al basso. Fuori quindi, l’oud e il violoncello. A questo punto, però, dopo aver ricordato che il cambio di formazione era già nero su bianco dal 2009, quando la PI Recordings aveva pubblicato This Brings Us To, Volume 1, in pratica dividendo in due tranche la medesima sessione di registrazione del novembre 2008, bisognerà fare qualche passo indietro nella storia di questo cuoco eccellente, tra i massimi artefici della cucina afroamericana post free jazz e chiedersi: chi è Henry Threadgill?
Nato a Chicago il 15 febbraio 1944, Threadgill studia prima il sax contralto, poi il clarinetto e il flauto (in seguito imbraccerà anche il tenore e il baritono), appena diciottenne conosce il pianista Muhal Richard Abrams, vera eminenza grigia della scena chicagoana, un incontro che si rivelerà decisivo. Abrams allestisce la Experimental Band, un collettivo dove bazzicano musicisti eterogenei, i futuri membri degli Earth, Wind and Fire, ma anche Joseph Jarman che poi farà parte dello storico collettivo Art Ensemble of Chicago, vessillo della Black Music emigrato nell’estate del 1969 a Parigi, insieme ai futuri partner dell’AEOC, ad Anthony Braxton e Leo Smith. Tra l’Experimental Band e Threadgill ci si mette però il Vietnam. Quando il musicista torna a casa, Abrams ha intanto creato, nel 1965, l'Association for the Advancement of the Creative Musicians (AACM), che, come si legge nello statuto dell’associazione: “… è stata costituita da un gruppo di musicisti e compositori dell’area di Chicago allo scopo (…) di far conoscere quella musica originale che nelle condizioni attuali non è tenuta nella dovuta considerazione (…) l’AACM si propone di (…) provvedere a che i musicisti creativi abbiano ampie possibilità di lavoro; di costruire un esempio di moralità per i musicisti; di glorificare la tradizione dei grandi musicisti del passato” (cit. in Piras, 1980). I valori della memoria, dell’autogestione e della creatività sono dunque le tre dimensioni su cui si costruirà una delle più significative esperienze del jazz contemporaneo. Grazie all’AACM videro la luce i primi lavori di Jarman, Song For e di Roscoe Mitchell (altro futuro membro dell’Art Ensemble of Chicago), l’album Sound. Tornando a Threadgill, fu proprio grazie ad Abrams che entrò per la prima volta in sala di registrazione, che lo volle con sé per il suo secondo album, Young at Heart, Wise in Time. Una stagione in cui si respira aria nuova, si sperimentano insolite combinazioni strumentali, si impiegano strumenti estranei alla tradizione jazzistica (come il clarinetto contrabbasso e il flauto contralto), dove l’aleatorità è sottesa, diffuso è il polistrumentismo e sistematica la rotazione degli strumenti che entrano in scena. È in quella fine decennio, respirando il cambiamento ovunque nell’aria, che Threadgill mette a punto il suo primo menu: il progetto Air. Lo realizza insieme al contrabassista Fred Hopkins e al batterista Steve McCall. L’anno è il 1971, a Threadgill viene commissionato un adattamento delle musiche di Scott Joplin e l’esiguo budget non gli consente di arruolare più di due musicisti, così la scelta cade su un assetto ereditato dai trii senza pianoforte di Sonny Rollins. Per la verità, all’epoca il trio si chiamava Reflection e non incise nulla fino al settembre del 1975, quando registrò Air Song per l’etichetta giapponese Whynot (si veda https://www.quadernidaltritempi.eu/rivista/numero23/05ascolti/q23_ascolti01.htm). Negli Usa uscirà solo sette anni dopo grazie all’etichetta chicagoana Nessa. Basterebbe questo dettaglio per rendere chiaro il perché dell’esigenza di autonomia che portò alla nascita dell’AACM. Il trio Air condivideva in parte utopie e stilemi dell’intera scena chicagoana, ma apparve da subito dotato di propria indiscussa personalità: “Non c'era più uno strumento protagonista ma un lavoro collettivo a forte integrazione reciproca, in equilibrio tra stilemi tradizionali, libera improvvisazione e meticolosa cura della forma. Un jazz variopinto e inventivo, in grado di passare da quadri di limpida o astratta classicità ad altri contrassegnati da forte urgenza espressiva. Il tutto senza alterare la propria identità di musica liberamente improvvisata, cromaticamente duttile, a suo agio con tempi irregolari e strutture ritmico-melodiche complesse, in continuo svolgimento” (Angelo Leonardi, 2008). L’anno successivo, gli Air si ritrovano a New York per il festival Wildflowers tenutosi allo studio Rivbea, in pratica il loft del polistrumentista Sam Rivers (si veda https://www.quadernidaltritempi.eu/rivista/numero6/jazznewyork.htm). Due le tracce catturate in quell’occasione e inserite nei cinque dischi che antologizzarono l’evento. Nello stesso anno esce il secondo disco del trio, Air Raid e nella cucina di Threadgill ha già trovato spazio anche uno strumento (un oggetto percussivo) autocostruito con borchie d'automobile: l'hubkaphone, che viene impiegato nella terza traccia dell’album, Release. Nel corso degli anni Settanta usciranno ancora due album a nome Air, Air Time e l’ambizioso Open Air Suit. Il decennio si conclude con una serie di collaborazioni. Partecipa al croccante Morning Prayer di Chico Freeman, al molecolare Nonaah di Roscoe Mitchell, al denso For Trio di Braxton e all’agrodolce 1-OQA+19 di Muhal Richard Abrams. Infine, nel 1979, vede la luce il quinto disco del trio, Air Lore, dove finalmente si ascolta Scott Joplin secondo gli Air. L’album include anche musiche di Jelly Roll Morton, costituendo nell’insieme un gioioso inno alla tradizione, come solo i grandi chef sanno fare. Infine, Threadgill incide il primo album a suo nome, X-75 Volume 1, operando una vera e propria rivoluzione in cucina: quattro flauti, quattro contrabbassi, e una voce femminile (Amina Myers). I nuovi aromi si apprezzano particolarmente proprio nella nuova versione di Air Song, la title track del primo album del trio. Il volume 2 non vedrà mai luce. Bisognerà attendere oltre trent’anni per ascoltarlo, il 2010, quando l’etichetta Mosaic ristamperà in edizione limitata (5.000 copie) come è nel suo costume, un box contenente tutte le registrazione di Threadgill per la Nessa e l’Arista/Novus. Un cofanetto di otto cd contenente anche l’inedito X-75 Volume 2 insieme ad altri dieci album, tra cui Air Lore. Il 2010 ha visto anche un’altra operazione di recupero delle registrazioni di Threadgill, questa volta disponibile ai più, anche per il prezzo decisamente accessibile. Operazione editoriale antitetica alla Mosaic, che si deve all’italiana Cam che ha iniziato una lodevole azione di recupero del bel catalogo delle etichette Black Saint e Soul Note (che ha rilevato), per le quali lo chef di Chicago incise ben sette album. A questo recupero dell’opera threadgilliana vanno aggiunte anche le ristampe dei primi due dischi degli Air proprio grazie alla rinata Whynot (ora marchio della Blue Note). Venti album, il corpus maggiore di una carriera, registrati nell’arco di un ventennio dal 1975 al 1996 tornati in qualche misura disponibili. Tornando al suo ricettario, gli anni Ottanta si aprono con la fuoruscita dagli Air di McCall (nel 1983) che verrà sostituito da Pheeroan AkLaff. Si ribattezzano semplicemente New Air pubblicando un paio di dischi e si fa a tempo a gustare il trio insaporito dalla voce di Cassandra Wilson in Air Show No.1, pubblicato proprio dalla milanese Black Saint.
Altra è la ricetta che Threadgill aveva messo a punto nel frattempo. Si chiamava Sextett, non per il numero di musicisti coinvolti nei singoli pezzi, ma per le parti strumentali richieste nelle composizioni. L’ensemble comprendeva: i trombettisti Olu Dara, Rasul Siddik e Ted Daniels, i trombonisti Craig Harris, Ray Anderson, Frank Lacy e Bill Lowe, la violoncellista Deidre Murray, il contrabbassista Fred Hopkins ed i batteristi John Betsch, Pheeroan AkLaff e Reggie Nicholson. Pasticci, stufati, sfoglie delicate, insaccati, zuppe, manicaretti conditi con sobrietà, ce n’è per tutti i gusti, una musica “… dove si rincorrono i materiali più diversi: blues, fanfare, gospel, ragtime, rhythm & blues, il fuoco di Charles Mingus, il mood ellingtoniano, il grido di Albert Ayler, riferimenti accademici ed altro ancora. (…) Una musica spesso drammatica, caratterizzata da un marcato e asimmetrico dinamismo ritmico, che si lega alle lunghe e complesse esposizioni tematiche dei fiati” (Leonardi, 2008). Per amore di simmetria il Sextett pubblicherà in totale sei dischi (dal 1982 al 1988), tutti pregevoli saggi che evidenziano la sensibilità del compositore, capace di valorizzare ogni singola sfumatura di colore e di valorizzare l’abilità strumentale di ciascun musicista.
Nuovo decennio, nuovo menu. Threadgill chiude con il Sextett e inaugura i Novanta con il gruppo Very Very Circus, un settetto comprendente due fiati (il leader e Curtis Fowlkes al trombone), due chitarre elettriche (Brandon Ross e Masujaa), due tube (Edwin Rodriguez e Marcus Rojas) e una batteria (Gene Lake). Razione doppia di tutto, in pratica, e anche qui il nome del gruppo porta in sé l’idea che vi sottostà, come si può leggere nelle note stilate dallo stesso Threadgill: “Questa band è come un circo ma non nel senso che suona musica circense. È come un circo a tre piste dove si svolgono differenti cose contemporaneamente”.
C’è qualcosa di pirotecnico in tutto ciò, di concettuale e al tempo stesso di remoto, di ancestrale, come spiegò perfettamente Stefano Zenni: “Con il Very Very Circus, Threadgill abbandona le forme più estese di Rag, Bush and All: non muove più in senso orizzontale (un tema dopo l'altro, un episodio dopo l'altro) ma in senso verticale, un motivo o riff sopra l'altro. In ogni brano erige un modello ritmico-melodico, articolato ai diversi livelli degli strumenti (batteria, tube, chitarre) che gira su se stesso e su cui i fiati o una chitarra solista dipanano i loro assoli. Questo principio architettonico è fondamentalmente africano, in particolare della musica per tamburi dell'Africa Occidentale” (Zenni, 1994). Il Circus sforna cinque album tra cui spicca Too Much Sugar for a Dime, che in due brani propone una formazione ampliata, presentando due voci femminili, tre violini, una seconda batteria, una tuba e due percussioni venezuelane. Nella musica di Threadgill convivono mondi differenti e ad ogni giro questa confluenza, formalmente complessa, si esprime con sconvolgente immediatezza. Una genuina espressione della creatività tardo moderna, quindi, il cui spirito profondo risiede proprio nel non privilegiare alcuna direzione. Un universo sonoro arricchito nel tempo anche grazie a collaborazioni senza confini. Vale la pena di ricordare le partecipazioni a diversi album del sassofonista David Murray negli anni Ottanta e nel decennio successivo con la cantante Liu Sola, con il violinista Billy Bang e con Kip Hanrahan. A questi incursioni nelle cucine altrui, vanno anche aggiunte almeno quelle in casa dei Material di Bill Laswell (nel 1981 e nel 1991). Un vero gioiello, poi, arriva nel 1993: Song Out of My Trees, uscito a suo nome. Tre brani in particolare presentano un impasto pregiato come pochi, finemente lavorato. Il primo è Over the River Club, dove confabulano un quartetto di chitarre acustiche e un pianoforte. Un intenso lavoro che sforna una sorta di gospel allucinato. Il secondo è Grief, rosolato con inesorabile lentezza dalla voce e dal clavicembalo di Amina Myers con l’accompagnamento di una fisarmonica, due violoncelli e il contralto di Threadgill. Il terzo, infine, Crea, dove ritornano le quattro chitarre ma farcite con un corno da caccia e il risultato è un gioco di sapori contrastanti, ma talvolta di analogo retrogusto.
A metà degli anni Novanta, un'altra svolta, nuovi ingredienti rendono ancora più appetitoso il repertorio del chicagoano. Nasce Make a Move, un quintetto comprendente Tony Cedras alla fisarmonica e armonium, Brandon Ross alla chitarra elettrica, Stomu Takeishi al basso elettrico e J.T. Lewis alla batteria. In totale daranno alle stampe due dischi: Where's Your Cup e Everybody's Mouth's a Book. In mezzo quattro anni di silenzio, ma la nouvelle cuisine di Threadgill sforna anche un quartetto di flauti (con James Newton, Pedro Eustache e Melecio Magdaluyo), i Flute Force Four, che sembra rinverdire i fasti di quell’arcadia nera che fu a tratti propria degli Air. Si intitola programmaticamente Flutistry ed è anche ultima registrazione per la Black Saint. Gli anni Zero si aprono con un doppia uscita, un cambio di testimone. Esce Everybody's Mouth's a Book a nome Make a Move, ed è l’ultimo atto del quintetto che nel frattempo ha escluso dagli ingredienti fisarmonica e harmonium e inserito vibrafono e marimba. L’impasto è consistente, spiazzante, si assaporano atmosfere cameristiche, si sgranocchia blues elettrico, sia gli unisono sia gli interventi solistici sono affascinanti, dal gusto pieno. Viene pubblicato anche Up Popped the Two Lips, l’esordio discografico di Zooid, antipasto a base di violoncello, tuba e chitarra acustica, con la novità del gusto tutto mediterraneo apportato dall’oud. È un altro decennio costellato anche di altre sperimentazioni, formazioni allargate di Zooid in concerto, un’altra formazione, On Walcott, dove si rivede un altro nome storico della Black Music, il violinista Leroy Jenkins. Un rompidigiuno Zooid arriva nel 2005, un disco uscito su vinile in sole 1.000 copie, Pop Start the Tape, Stop, e infine This Brings Us To, Volume 1 e 2.
Zooid, come si è detto, indica un organismo cellulare in grado di muoversi indipendentemente all'interno di un altro e ancora una volta, non è un nome scelto a caso: è un suggerimento, una chiave di lettura per una formazione estremamente flessibile, capace di trascendere ormai qualsiasi riferimento, qualsivoglia genere, mantenendo inalterato il gusto di Threadgill per l’intreccio insolito, per gli inauditi paesaggi timbrici, per la tela astratta che compone e per i colori essenziali che vi rilucono. Tutto nel lavoro dell’artista chicagoano sembra ancora mantenere viva la dimensione utopica, liberatoria che caratterizzava il paesaggio sonoro che frequentò in gioventù. Al tempo stesso, tutto sembra, come si è detto, frutto autentico e nobile della sensibilità (extra)musicale postmoderna. Un percorso musicale che ne ha conservato intatta l’energia, l’inquietudine e la progettualità proprio attraverso il suo incessante mutamento. Suoni cangianti, perché Threadgill è un alchimista di razza, sapiente nei dosaggi, abile nel maneggiare qualsivoglia materiale, nel destreggiarsi tra il duro e il morbido, abile nell’accostare il nobile e il vulgare. Attenzione, però, sui fornelli non ci sono alambicchi, ma tegami, semmai. In fondo, se liberate l’alchimista dalla dimensione gnostica, chi vi ritrovate di fronte? Un cuoco, naturalmente.
LETTURE
× Angelo Leonardi A., La vita e la musica di Henry Threadgill - prima parte, 2008, http://italia.allaboutjazz.com/php/article.php?id=2816
× Piras M., L'avanguardia americana, in Il Jazz degli anni '70, di Luca Cerchiari, Gianni Gualberto, Massimo Piacentino, Marcello Piras, Gammalibri, Milano, 1980.
× Shteamer H., Interviews with Henry Threadgill, booklet Novus & Columbia Recordings of Henry Threadgill & Air, Mosaic Records, 2010 (la traduzione dell'estratto è di Marco Bertoli).
× Zenni S., Henry Threadgill - Il circo contemporaneo, Musica Jazz, agosto/settembre 1994.
ASCOLTI
× Air, Air Song, Whynot, 1975, ristampa cd Whynot, 2009.
× Air, Air Raid, Whynot, 1976, ristampa cd Whynot, 2010.
× Henry Threadgill, Too Much Sugar for a Dime Axiom, 1993.
× Henry Threadgill Zooid, This Brings Us To, Volume 1, Pi Recordings 2009.
× Henry Threadgill & Make A Move, Everybody's Mouth's a Book, Pi Recordings, 2001.
× Henry Threadgill’s Zooid, Up Popped the Two Lips, Pi Recordings, 2001.
× Henry Threadgill, Henry Threadgill Box Set, Cam Jazz, 2010. Comprende:
× Air, Air Mail, Black Saint, 1980.
× New Air, Live Air, Black Saint, 1980.
× New Air, Live At Montreal International Jazz Festival, Black Saint, 1983.
× New Air, Air Show No. 1, Black Saint, 1986.
× Flute Force Four, Flutistry, Black Saint, 1990.
× Henry Threadgill, Spirit Of Nuff…Nuff, Black Saint, 1990.
× Henry Threadgill, Song Out Of My Trees, Black Saint, 1993.
Henry Threadgill, Novus & Columbia Recordings of Henry Threadgill & Air, Mosaic Records, 2010. Comprende:
× Air, Open Air Suit, Arista/Novus, 1978.
× Air, Montreux Suisse Air, Arista/Novus, 1978.
× Air, Air Lore, Arista/Novus, 1979.
× Henry Threadgill, X-75, Volume 1 Arista/Novus, 1979.
× Henry Threadgill, X-75, Volume 2 inedito, 1979.
× Henry Threadgill Sextett, You Know The Number, Rca/Novus, 1986.
× Henry Threadgill Sextett, Easily Slip Into Another World, RCA/Novus, 1987.
× Henry Threadgill Sextett, Rag, Bush And All, Rca/Novus, 1988.
× Henry Threadgill, Carry The Day, Columbia, 1995.
× Henry Threadgill, Makin’ A Move, Columbia, 1995.
× Henry Threadgill & Make A Move, Where’s Your Cup, Columbia, 1996