LETTURE / SILENZIO


di John Cage / Shake Edizioni Milano 2010 / pagine 320, € 19,90


Il silenzio
come prospettiva per il suono

di Alfredo Arfeni, Filippo Morelli


Certo è stato strano il ventesimo secolo. Nei secoli precedenti gli artisti sono stati ricordati per le loro opere maggiori; invece, tutto al rovescio, nel ventesimo secolo, non solo gli artisti si sono dati da fare per diventare criptici in un ottica di alternativa a tutti i costi, ma anche il pubblico e la critica sono corsi ai ripari e, comportandosi da uomini del secolo scorso, si sono affaticati a cercare la sintesi della sintesi dei veri valori della nuova arte. A questo punto, con tanto da farsi, “gli appassionati” si sono trovati a far parte di un selezionatissimo gruppo che forse chiamare ghetto è eccessivo ed antistorico, ma che comunque sono stati additati dal resto del mondo come esseri incomprensibili. Il “mondo” a questo punto ha trovato facile ricordare i maestri del Novecento per opere, di volta in volta, da additare o per cui ridere. Per cui ricordiamo di Marcel Duchamp un orinatoio, citato perfino da illustri registi mediterranei, ricordiamo Pablo Picasso perché non sapeva “dipingere”, ricordiamo Lucio Fontana perché, ahinoi, tagliava le tele.

Ricordiamo John Cage per il contrario di ciò che ha fatto. Ricordiamo Cage per il Silenzio, e non solo uno, ma ben due. E giù a divertirsi a scherzare sull'assenza e irridere sul vuoto. Il “silenzio” del suo quartetto è già di per sé pieno di suono, nel senso che venne eseguito la prima volta in un auditorium con porte e finestre aperte. In tal modo il pubblico fu portato ad ascoltare i rumori dell'esterno, che divenivano anch’essi musica che si componeva istantaneamente con quella scritta e in esecuzione. Il secondo silenzio, il libro intendiamo, è zeppo di suoni raccontati, idee, interviste, chiarimenti, informazioni. È un fiume in piena che nasce da un uomo che probabilmente è stato la guida artistica del Novecento e che ha lavorato per tutta la vita per non stare in silenzio e trasmettere le sue idee. Allora, oggi, in un progressivo vuoto culturale in cui abbiamo bisogno di qualcosa per cui appassionarci, andiamo a scoprire cosa maestri come Cage, hanno fatto, detto, costruito. Andiamo ad approfondire tutta la produzione dei grandi artisti, dagli inizi, seguendo il loro percorso, le loro scelte, i risultati che man mano ne sono venuti fuori, non poniamoci come visitatori acritici di musei, a caccia delle poche opere definite capolavori, per meravigliarci del loro valore e poi tornare a casa, contenti del poco voluto e poco ricevuto. Scopriremo le vere ragioni degli artisti del ventesimo secolo e ci renderemo conto che quel che conosciamo probabilmente è solo la facciata “scandalistica” degli “artisti” e che invece nel Novecento, più che in altri secoli, i creatori di arte si sono resi portatori di idee e concetti, nonché hanno prodotto opere di grande spessore culturale ed indubbio valore estetico. È questo sicuramente il caso di John Cage.

La Shake pubblica in Italia per la prima volta Silenzio di Cage in edizione integrale. Parti di Silenzio unite a A Year From Monday, erano state pubblicate da Feltrinelli nel lontano 1971. La prima pubblicazione risale addirittura al 1961. Ed è veramente singolare che un testo giustamente considerato tra quelli fondamentali della musica contemporanea abbia dovuto aspettar tanto ad avere un’edizione completa, in Italia. L’influenza che ha avuto John Cage sul nostro modo di udire la musica nel corso di questi cinquanta anni non possiamo che definirla enorme. In John Cage ritroviamo l’ottimismo sui cambiamenti futuri che in quel momento caratterizzavano il clima culturale del periodo, ma vi era qualcosa di diverso rispetto ai musicisti suoi contemporanei, cioè non vi era l’idea che bisognava trovare un nuovo sistema armonico compositivo per caratterizzare compiutamente la musica contemporanea. John Cage aveva una posizione diversa dalla cosiddetta scuola di Darmstadt, che pure riuniva alcune tra le migliori menti musicali presenti in quel momento. Probabilmente Cage aveva già intuito ciò che la storia poi ha dovuto spiegarci nei successivi cinquanta anni e cioè che la serietà e la validità di una composizione musicale non è qualcosa che si decide a tavolino. La stessa visione adorniana che all’epoca regnava in merito all’ascoltatore di musica colta, quella classica-contemporanea, come l’unico da prendere in considerazione come “serio” intenditore di musica, oggi non può che farci sorridere. Ciò che sfuggiva all’epoca, in cui il mondo occidentale era preso da una visione tutta deterministica ed evoluzionista della storia, era proprio la vita breve che hanno visioni così ottimistiche e nello stesso tempo così chiuse. La volontà di molti compositori di scuola classica contemporanea, di voler portare quasi a compimento la storia dell’evoluzione musicale attraverso un suo sviluppo interno ad un unico sistema armonico compositivo univoco, si è rivelata nel corso del tempo una scelta troppo chiusa e limitata. Al contrario, ciò che di più significativo è avvenuto nella musica degli ultimi cinquanta anni, proprio da un punto di vista concettuale deve qualcosa a Cage.

La stessa scuola minimalistica da Terry Riley a La Monte Young, a Steve Reich, o a Philip Glass, sarebbe impensabile senza la riconsiderazione della musica orientale che Cage ipotizza spesso nelle sue composizioni musicali e concettuali. Ma andiamo con ordine. Ciò che differenzia Cage, ma si può dire lo stesso anche di Karlheinz Stockhausen, dal resto dei musicisti a loro contemporanei, è una prospettiva del suono non più inteso come costruzione interna al “sistema temperato” di bachiana memoria, ma un suo utilizzo inteso in maniera più ampia e libera. In una prospettiva che accomuna Cage ad una linea che parte da Erik Satie e passa per l’impressionismo musicale, il suono riacquista una capacità antica che è quella di misurarsi con il flusso delle cose. Tale linea, che passa anche per gli studi filosofici di Cage, come, ad esempio, Henry David Thoreau e la sua Vita nei boschi, lo porterà a formulare consciamente o inconsciamente una proposta musicale che per certi versi è esattamente l’opposto di ciò che l’evolutissima cultura europea proponeva in quegli anni. Pensiamo a composizioni come In a Landscape (1948), dove la linea impressionistica assume una vaghezza più assoluta per divenire, infine, di una astrazione arcaica. In realtà molti musicisti europei colti, proponevano una espressione musicale consapevole della nuova complessità socio culturale attraverso la costruzione di un linguaggio musicale molto macchinoso di derivazione post-weberniana che ha ottenuto risultati notevolissimi nelle opere di molti musicisti contemporanei eccelsi come Luigi Nono, Krzysztof Penderecki, György Ligeti, Iannis Xenakis e altri. John Cage esprime la nuova realtà attraverso il libero utilizzo di una serie più vasta e ampia di linguaggi, costruendo opere di derivazione orientale, ed altre di derivazione europea, o americana, con una libertà forse impossibile per un musicista europeo, all’epoca. Annota in Silenzio: “Quando mi trasferii in campagna andai a stare con David Tudor, M.C. Richards e i Weinrib nella stessa minuscola casa colonica, così per avere un minimo di privacy iniziai ad andare per boschi. Era agosto. Cominciai a raccogliere i funghi che crescevano un po’ dappertutto, poi comprai qualche libro e cercai di imparare a riconoscerli”. È memorabile tra l’altro, l’incredibile partecipazione di John Cage al programma della tv italiana “lascia o raddoppia” presentato da Mike Bongiorno, come esperto in funghi… Da tutto ciò forse scaturisce la considerazione di Arnold Schönberg nei confronti di Cage: “non è un compositore!

“Cinque anni dopo – ricorda in Silenzio –, quando Schönberg mi chiese se avrei dedicato la vita alla musica risposi: «Certo». Studiavo con lui da due anni quando Schönberg disse: «Per comporre devi possedere il senso dell’armonia». Io allora gli spiegai che non c’è l’avevo affatto. Al che lui disse che avrei sempre incontrato qualche ostacolo, che sarebbe stato come andare a sbattere contro un muro impenetrabile. E io: «In questo caso dedicherò l’esistenza a sbattere la testa contro quel muro»”. Ma, a distanza di più di cinquant’anni, da quel gran crogiuolo di idee che fiorivano in quel momento ricco di creatività e vitalità culturale, oggi ci sembra di poter affermare che John Cage più di altri aveva ben lanciato lo sguardo oltre il Novecento. La stessa “ambient music”, di cui un musicista artista come Brian Eno è un po’ il padre, deve a Cage buona parte della sua ispirazione mentale e musicale. La ricchezza di idee sparse e nello stesso tempo estremamente coerenti di John Cage danno oggi un quadro di un compositore estremamente moderno, ma saldamente ancorato all’eternità del suono. Da qui la vera poesia e grandezza di John Cage. Il suo immaginare il suono come qualcosa che fluttui nello spazio, ci riferiamo alle sue composizioni che hanno mappe stellari come grande spartito di riferimento (ad esempio: Atlas Eclipticalis, 1962), ma anche più semplicemente nella natura, come ad esempio le sue composizioni per “piano preparato”. John Cage è oggi, più che in passato, un grande punto di riferimento per chiunque operi nel campo musicale. Il suo intendere la musica senza confini, senza luoghi definitivi, come qualcosa che appartiene all’uomo semplicemente, riappare in un libro come Silenzio, che può giustamente essere considerato un manuale per iniziare a penetrare il pensiero di questo genio della musica e del suono.