LETTURE / L'ENERGIA DEL VUOTO
di Bruno Arpaia / Guanda, Parma, 2011 / pagine 262, € 16,50
Tre caravalle in viaggio
verso l'infinitamente
piccolo
di Roberto Paura
Il 10 settembre 2008 la parte più disinformata del mondo che s’informa attese lo storico avvio dell’attività del nuovo acceleratore di particelle LHC del Cern di Ginevra temendo l’ennesima fine del mondo. Pseudo-fisici in cerca di notorietà avevano diffuso la notizia che le straordinarie energie innescate nell’acceleratore (energie che, a ogni modo, non avrebbero certo raggiunto la potenza massima il primo giorno) avrebbero prodotto uno o più microscopici buchi neri, capaci però di inghiottire l’intero pianeta in un lasso di tempo da pochi giorni a un paio d’anni. Si scomodò come al solito l’abusato Nostradamus con la sua quartina 44, nona centuria: “Fuggite, fuggite da Ginevra tutti / Saturno si cambierà d'oro in ferro / Il contrario RAYPOZ sterminerà tutti / Prima dell'accaduto il cielo farà segni”. Roba abbastanza vaga da calzare a pennello per un qualsiasi evento scelto a caso. Un banale guasto rimandò l’apocalisse di parecchi mesi; ma mentre molti tiravano un sospiro di sollievo, gli scienziati del Cern che avevano atteso per anni quel giorno rimasero delusi. Quando, il 3 novembre 2009, un innocuo uccello fece cadere una grossa briciola di pane nell’impianto elettrico esterno dell’acceleratore, provocando un nuovo ritardo, i più fantasiosi cospirazionisti inventarono un’elaborata teoria, in base alla quale uomini del futuro stavano cercando di sabotare l’esperimento che altrimenti avrebbe provocato la fine del (loro e nostro) mondo.
Nulla di tutto questo, come sempre, si è avverato. Oggi l’acceleratore LHC – acronimo di Large Hadron Collider – funziona a pieno regime e promette di svelare i più profondi segreti dell’universo. Eppure, il grande pubblico lo snobba. La scienza, si sa, non è roba per tutti. Ancora peggio è la fisica quantistica, se è vero che Richard Feynman assicurava che nessuno la capisce, tanto meno gli stessi fisici. Peggio, gli straordinari paradossi della meccanica quantistica rischiano di essere travisati da orde di mistici, fanatici della New Age, campioni della medicina alternativa, che negli ultimi anni hanno venduto e comprato milioni di copie di pseudo-saggi sull’argomento: si va dalla capacità di utilizzare le proprietà quantistiche per curare le malattie con la mente alle più profonde elucubrazioni sul posto dell’uomo nell’universo. Una deriva in realtà alimentata dagli stessi scienziati di frontiera, tra cui nomi illustri quali Paul Davies, John Barrow, Frank Tipler, che nei loro saggi - questi sì, comunque, seri – si sono spinti ad avanzare ipotesi rivoluzionarie, tra cui quella dibattutissima di Tipler su come le proprietà della cosmologia e della fisica quantistica possano spiegare la resurrezione dei morti alla fine dei tempi, e quindi la verità dell’insegnamento cristiano (Tipler, 1994; 2007). L’ansia di divulgare le meraviglie quantistiche al grande pubblico è forte anche in Italia e per la prima volta arriva attraverso l’inedita forma di un romanzo di un autore che con la scienza, finora, non ha avuto niente a che vedere. Bruno Arpaia, nel suo ultimo L’energia del vuoto, cerca di ritagliarsi un proprio spazio nella consolidata tradizione anglosassone di narratori abituati a infarcire i loro romanzi di lunghe spiegazioni scientifiche (si va da Isaac Asimov a Michael Crichton passando per Arthur C. Clarke e persino, a modo suo, Dan Brown).
Vedere un intellettuale italiano alle prese con la meccanica quantistica fa perlomeno sorridere. Paese in cui la cultura è sempre stata solo umanistica, l’Italia ha raramente regalato ai suoi lettori qualche opera in cui scienza e lettere andassero d’accordo, almeno dai tempi di Galileo. C’era riuscito a suo modo Primo Levi, non a caso citato dall’autore in apertura al romanzo. Ma ora qualcosa è cambiato. Per dirla con Arpaia, in una presentazione del suo libro a Napoli: “Ha più fantasia oggi un fisico teorico di qualsiasi romanziere”. È successo che la fisica quantistica ha rivoluzionato completamente il modo di concepire il mondo, ha messo in crisi il determinismo, le leggi invincibili di Newton e di Einstein, il positivismo tanto aborrito da filosofi e letterati. Il nuovo mondo della fisica quantistica è indeterminato, caotico, incomprensibile. Negli ultimi anni la scienza si è fatta più misteriosa. È diventata così materiale da fiction, soggetto perfetto per un thriller. Dopo tutto, non è un intricato romanzo giallo quello che si dipana tra i corridoi del Cern di Ginevra? Gli scienziati hanno già un sospettato numero uno, il bosone di Higgs; il grande acceleratore LHC non è altro che una gigantesca macchina della verità il cui obiettivo è incastrare o scagionare il sospettato numero uno.
L’energia del vuoto è in effetti un thriller nel thriller, un giallo nel giallo. Dalla prima pagina, il lettore cerca di scoprire da chi fuggono Pietro e il suo figlio adolescente Nico, perché non possono contattare Emilia, la moglie di Pietro e madre di Nico, e cosa c’entri questo con le ricerche di Emilia all’acceleratore del Cern. Ma in realtà il vero giallo è un altro, e sembra sciogliersi pagina dopo pagina attraverso le domande di Nuria, giornalista madrilena che lavora a un reportage sugli esperimenti dell’LHC: attraverso le risposte di Emilia e dei suoi colleghi, Nuria scopre un mondo fatto di energia oscura, di quanti e antimateria, di forze invisibili che regolano il nostro mondo, di incredibili paradossi che mettono in crisi il concetto stesso di realtà. Ma le due cose sono collegate, le due trame s’intrecciano, il microscopico e il macroscopico si fondono. Arpaia riesce così sottilmente a fare del suo romanzo, un po’ banale nella trama mainstream, un’intelligente allegoria del mondo che la fisica quantistica sta scoprendo. Come ha scritto l’eminente fisico Paul Davies, “il mondo non è un insieme di cose separate ma collegate tra di loro: è invece una rete di relazioni” (Davies, 1994), citando quindi Heisenberg (1982): “La normale separazione del mondo tra soggetto e oggetto, tra mondo interno e mondo esterno, tra corpo e anima, non è più adeguata”. Il lato originale di L’energia del vuoto sta proprio nella sua capacità di veicolare le nuove teorie fisiche su cui lavora il Cern attraverso due diversi piani: quello esplicito, che prende la forma della pura divulgazione narrativa per voce degli scienziati intervistati da Nuria, prima per esigenze professionali e poi per pura curiosità, che l’accompagnano nella valle incantata dei quanti, facendo di Nuria l’escamotage letterario per rompere la barriera tra il lettore a digiuno di fisica e l’apparentemente inviolabile dell’infinitamente piccolo; quello implicito, che invece si percepisce solo nell’ultima riga, e che utilizza lo stile del romanzo e la struttura della trama per proporre al lettore un intrigante paradosso. È lo stesso meccanismo che, a suo tempo, valse a Douglas Hofstadter il premio Pulitzer per un saggio diventato di culto, Gödel, Escher, Bach. Un’eterna ghirlanda brillante (1984): in quel complesso e affascinante volume su cui si sono lambiccato il cervello milioni di lettori, Hofstadter spiegava le sue teorie sulla coscienza umana e i suoi infiniti paradossi strutturando però i vari capitoli come metafore di quegli stessi paradossi. I capitoli seguivano così la struttura di un canone ricorsivo di Bach, o di un quadro illogico di Escher, o di una delle complesse intuizioni teoriche di Gödel, e solo al termine il lettore si rendeva conto che ciò che quel capitolo spiegava al suo interno era stato spiegato in pratica applicandolo al suo esterno; veniva così a cadere la barriera tra messaggio e medium, così come accade in piccolo nel romanzo di Arpaia (una piccola chiesa romanica di campagna rispetto alla cattedrale gotica di Hofstadter) e come avviene nel mondo della fisica quantistica. Lì, infatti, viene a cadere quella barriera tra osservatore e osservato che è stata a fondamento della scienza empirica per tutti i secoli precedenti.
Bruno Arpaia va anche oltre, proponendoci una nuova immagine di scienziato, un’immagine umana che rende quella fortezza incomprensibile e impenetrabile del Cern un po’ più simile al nostro cortile di casa. Sì, i fisici sono creature strane, ma anche loro mangiano e dormono. Lo fa persino Emilia, così presa dalle ricerche da trascurare la famiglia e il sonno, finché non sarà troppo tardi. O il professor Milanesi, la cui aura di fisico eminente s’incrina di fronte al desiderio per Nuria, la bellissima giornalista spagnola, che gli fa rimpiangere i sessant’anni ormai compiuti. O ancora George Murray, lo scienziato americano ossessionato dal trovare conferme alla sua teoria, pronto a tutto pur di vincere la competizione. Questa galassia di personaggi pieni di pregi e debolezze getta luce su un mondo apparentemente guidato da logiche di mutua collaborazione, dove non esistono barriere di nazionalità, di razza, o di religione, ma in cui in realtà non manca una forte dose di competizione individuale, dove le relazioni sono spesso molto più conflittuali di quanto sembra. Al Cern più che altrove; dopotutto, il regolamento del premio Nobel parla chiaro: il premio (salvo che nella categoria per la Pace) non può essere attribuito a organizzazioni, ma solo a singole persone fisiche. E se l’LHC realizzasse scoperte sorprendenti, a chi andrebbe il Nobel? A quale singolo scienziato? Sarà anche per questo che nelle pubblicazioni sulle riviste scientifiche il numero di autori per ogni articolo aumenta sempre di più, così da non lasciare fuori nessuno nell’eventuale spartizione dei meriti. Ma è anche vero che l’articolo si ricorda solo per il primo firmatario, mentre i successivi vengono ridimensionati al semplice et alii, per cui il Nobel non andrà certo all’ultimo dottorando fresco di borsa.
Il modello relazionale che Arpaia ci presenta rientra, anche questo, quindi, nella logica del romanzo. Quel mondo scientifico, razionale, distaccato, dei tempi di Einstein, è ormai lontano: anche gli scienziati, come le invisibili particelle quantiche, agiscono irrazionalmente, imprevedibilmente, dominate da dinamiche caotiche che in qualche modo ci fanno sentire questo lontano e incomprensibile mondo dell’infinitamente piccolo più vicino – e più simile – a noi, grossi esseri umani fatti di miliardi di minuscole particelle. E la fisica odierna ci appare molto più simile all’impresa pazza e disperata di Cristoforo Colombo, che con le sue tre caravelle si avventurò nelle oscurità ignote dell’Atlantico. Cercava le Indie, il bosone di Higgs, il santo Graal della scienza moderna; e mentre gli altri, gli ignoranti, il popolino, temevano di trovare solo l’orlo del mondo e di cascarci giù, Colombo scoprì qualcosa che non si aspettava e che non prevedeva di trovare, dall’altra parte dell’Oceano.
LETTURE
× Davies, P., God and the New Phisics, 1983; trad. it. Dio e la nuova fisica, Mondadori, Milano, 1994.
× Heisenberg, W., Physik und Philosophie, 1959; trad. it. Fisica e filosofia, Il Saggiatore, Milano, 1982.
× Hofstadter, D. R., Gödel, Escher, Bach: an Eternal Golden Braid, 1979; trad. it. Gödel, Escher, Bach: Un’eterna ghirlanda brillante, Adelphi, Milano, 1984.
× Tipler, F.J., The Physics of Immortality: Modern Cosmology, God and the Resurrection of the Dead, 1994; trad. it. La fisica dell’immortalità: Dio, la cosmologia, la resurrezione dei morti, Mondadori, Milano, 1995.
× Tipler, F. J., The Physics of Christianity, 2007; trad. it. La fisica del Cristianesimo. Dio, i misteri della fede e le leggi scientifiche, Mondadori, Milano, 2008.