AvramovspazioBaku FuturismoscenaVertov

ascolti /
di Gennaro Fucile
La Sinfonia delle sirene,
o ciò che resta di un'utopia

Uno strano concerto si tenne a Baku, Azerbaigian, la mattina del 7 novembre 1922. Si festeggiava il quinto anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, un avvenimento grandioso che meritava un compleanno sontuoso e così fu. Masse di lavoratori e di soldati, l’intera flotta del Caspio, batterie di cannoni, idroplani, venticinque locomotive a vapore e tutte le sirene delle fabbriche della città vennero chiamate ad eseguire una composizione radicalmente rivoluzionaria: la Sinfonia delle sirene. Un’opera composta da Arsenij Avraamov, pseudonimo di Arsenij Michajlovič Krasnokutskij, compositore, teorico musicale, performer provocatorio e commissario del Narkompros (il commissariato popolare per l'istruzione sovietico), struttura costituita subito dopo la rivoluzione e al cui vertice vi fu per anni Anatolij Lunačarskij.

Avraamov contribuì alla creazione del Proletkult, del filosofo Aleksandr Malinovskij, noto con lo pseudonimo di Bogdanov. Avraamov avanzò anche la richiesta a Lunačarskij di bruciare tutti i pianoforti, in quanto rappresentanti del sistema temperato e dunque strumento simbolo dell’esclusione del proletariato da tutte le arti e soprattutto dalla musica.

Avraamov era un sovvertitore genuino, ingenuo, colto e passionale, un vero rivoluzionario. La sua Sinfonia delle sirene, in realtà, era un ciclo di esecuzioni progettate e realizzate dal 1919 al 1923, ideate per festeggiare i dieci giorni che sconvolsero il mondo. Le precedenti esecuzioni, tenutesi a Nižnij Novgorod (1919) e a Rostov (1921), vengono ricordate più che altro come prove d’orchestra, mentre l’ultima, a Mosca, si trasformò in un mezzo insuccesso, poiché le grandi distanze tra gli esecutori (uomini e macchine) produsse più che altro una gran confusione. Insomma, tutto terminò con un botto finale e di lì a poco Vladimir Il'ič Ul'janov, ovvero Lenin, morì.

Non esiste un documento sonoro, una registrazione della Sinfonia delle sirene, ma due studiosi, Miguel Molina Alarcòn e Leopoldo Amigo, hanno osato riprodurla, ricreandola elettronicamente, basandosi sulle istruzioni estremamente dettagliate che lo stesso Avraamov aveva steso per poi affidarle agli esecutori, da lui diretti dall’alto di una torre, ricorrendo a banderuole segnaletiche e colpi di pistola per ottenere l’avvicendamento degli strumenti e delle voci dei proletari chiamati ad eseguire l’Internazionale e la Marsigliese. Un lavoro di ricostruzione che non si limita al sinfonismo industriale di Avraamov, ma che si è esteso fino alla creazione di un progetto ambizioso, quello di documentare le voci, i suoni, i rumori e gli umori di tutti i movimenti rivoluzionari che attraversarono la Russia negli anni precendenti la Rivoluzione d’Ottobre e quelli successivi progressivamente dissolti dal socialismo reale. Il risultato è il box di due cd con libretto Baku: Symphony of Sirens, sotto intitolato magniloquentemente: Sound Experiments in the Soviet AvantGarde: Original Documents and Reconstructions of 72 Key Works of Music, Poetry and Agitprop from the Russian Avantgardes (1910-1942). È prodotto da ReR Megacorp, l’etichetta discografica di Chris Cutler, ex membro di quell’utopia musicale, più recente, chiamata Henry Cow (vedi Quaderni d’Altri Tempi n. 20) e dallo scorso autunno regolarmente distribuito anche in Italia (da Goodfellas). Apre le danze proprio la ricostruzione della Sinfonia delle sirene, lasciando intuire quanto il titanico progetto di Avraamov anticipasse rumorismi e concettualismi di ogni tipo. Lo si capisce subito dall’iniziale BUUM! Con un colpo di cannone si aprono le danze, perché allora la rivoluzione non era un pranzo di gala.

Diciamolo, prima di Lou Reed, dei Throbbing Gristle, degli Einstürzende Neubauten, di legioni di elettrorumoristi in azione da tre decadi a questa parte, Merzbow in testa, prima delle sperimentazioni accademiche, colte, dal laboratorio di Darmstadt alle performance di Fluxus, passando per Pierre Schaeffer e Pierre Henry, anticipando concretismi sonori vari e assortiti partoriti dallo studio di Radio Colonia, o lo studio di Fonologia Musicale della RAI di Milano, oppure ancora dal Columbia–Princeton Electronic Music Center, prima di tutti, di ognuno di questi coraggiosi esploratori del suono, in anticipo sull’Helikopter-Streichquartett di Karlheinz Stockhausen (Disques Montaigne, 1999) e sui motori d’aereo registrati e trattati da Vivenza nel suo Aérobruitisme Dynamique, Electro Institut, 1994), coetanea dei marchingegni sonori di Luigi Russolo, ma con la forza del coinvolgimento di massa, c’era lei, la Sinfonia delle sirene. Avraamov non spuntava dal nulla, era figlio del suo tempo, un’epoca tellurica. Anni di effervescenza permanente, tempi di visioni svanite e di opere lungimiranti, come la Sinfonia delle sirene, dove risuonava una folgorante doppia intuizione: indicando nelle macchine i nuovi attori della scena musicale – fiumi di suoni macchinici lo comproveranno poi – ed eleggendo la musica ad arte socializzante per eccellenza, come testimoniano innumerevoli concerti dalla Bay Area al Parco Lambro, da Hyde Park al Muro di Berlino, dalle adunate negli stadi ai rave party.

Avraamov era figlio di una baraonda di avvenimenti. Poesia, arti visive, musica, i tempi rivoluzionari videro un’orgia d’intemperanze, borbottii, urla, provocazioni, sberleffi, profezie, imprese corali ed epiche, voli solitari, risa, dispetti, invidie, suicidi, incomprensioni, una litigiosità diffusa, un furore tonante, una fratellanza sincera, passioni in marcia, un ribollire di fonemi, di pagine graffite, incise, decorate, numerologia e altre arti magiche, una rivoluzione lessicale e sintattica, caratteri tipografici in libertà, formati inconsueti e impaginazioni fuori dagli schemi, una gran bolgia. La Russia negli anni a cavallo della Rivoluzione d’Ottobre fu teatro di funambolismi, di pirotecnie, vide all’opera acrobati della parola, ribelli, anime insofferenti, insolenti e sofferenti e vide fiorire scuole e partitini della poesia, frazioni dissidenti, versificatori bellicosi, ovunque incendi, tradizioni in macerie, ma anche un ritorno dell’antico, dell’anima slava. I quattro punti cardinali si chiamavano Egofuturismo, Mezzanino della poesia, Centrifuga, Cubofuturismo. Gli egofuturisti ebbero in Igor Severjanin il loro vate, il Mezzanino della poesia ruotava intorno a Vadim Sersenevic, mentre Centrifuga fu movimento minore, ma arruolò un giovanissimo Boris Pasternak. La forza principale dell’intero fronte furono i cubo futuristi, evoluzione della primigenia Gileja, collettivo che pubblicò il primo numero dell’almanacco (miscellanee letterarie non periodiche) intitolato Sadok Sudej (letteralmente: il vivaio dei giudici). È l’aprile del 1910 e sono già della partita Velimir Chlebnikov – genio assoluto che tutte le declinazioni del futurismo rivendicavano come proprio gioiello –, Vasilij Kamenskij, David Burljuk,Vladimir Majakovskij – l’unico all’altezza di Chlebnikov – ed Elena Guro. Il futurismo è elogio della velocità e Filippo Tommaso Marinetti li bruciò sul tempo, i russi non la mandarono mai giù e ipotizzarono, prima dei politici, qualcosa definibile come il futurismo in un solo paese, rivendicando autonomia e primato.

In ogni caso, prima e dopo la roboante esibizione di Baku, la Russia, quella zarista e la successiva sovietica dopo, venne agitata da poeti, visionari, artisti della parola sonica, incredibili sperimentatori della singola sillaba, i futurismi russi si moltiplicavano, nascevano, morivano, si scindevano, si rinnovavano, un fiorire di follie, di esagerazioni, d’invidia, di miserie umane, di meschinità, di terremoti verbali, di versi tellurici, di autoproduzioni, di visioni e re-visioni della grande Madre Russia, frullando panslavismo e operaismo. Ancora, generando il transmentalismo di Aleksej Kručenych, lo Zaum’, la libera associazioni di suoni, una nuova lingua, e chissà quanto di questa alienità sia precipitata nello Zeuhl, il termine adoperato da Christian Vander per indicare la musica dei Magma, il gruppo da lui fondato e diretto (vedi Quaderni d’Altri Tempi n. 7) per narrare del pianeta Kobaia. Zeuhl è un termine kobaiano, lingua inventata dallo stesso Vander. Il gioco dei rimandi è virtualmente infinito, basta pescare dai documenti antologizzati nel box della ReR. Echi, finzioni e documenti originali si ritrovano in questo scrigno, voci autentiche, vagamente spettrali, frammenti di discorsi di Lenin, Roman Jakobson, Majakovskij, Chlebnikov, Lili Brik, David Burliuk, Sergej Esenin, Lev Trockij, Lunačarskij, Aleksandra Kollontaj, Pasternak, Anna Achmatova, Osip Mandel'štam, Il’ja Erenburg, Aleksej Kručenych, oppure versi che rivivono nelle voci di attori, anche se mai vertiginose come quella di Carmelo Bene. Vibrante, istrionico, spavaldo, vertiginoso, Bene, in due serate sorprendenti, ravvivò gli antichi fasti di quei roghi: Quattro modi di morire in versi. Un lavoro televisivo con musiche di Vittorio Gelmetti, in due puntate, che andarono in onda il 27 e 28 gennaio 1977 su Rai 2, ridiede letteralmente voce ai quattro poeti russi e suicidi, Majakovskij, Esenin, Aleksandr Blok e Boris Pasternak. Una tempesta di suoni che si ritrova anche nella sonorizzazione di Simfonia Donbassa/Entuziazm, film datato 1930, girato da Dziga Vertov, l’uomo rivoluzionario con la macchina da presa, qui al suo primo film sonoro. Opera dedicata alla celebrazione del lavoro dei minatori e degli operai metallurgici e ai risultati del primo piano quinquennale. Musica industriale ante litteram, l’autentico suono della fabbrica. È la porzione di utopia che apre il secondo cd del cofanetto. Di ciò che resta del fuoco, per dirla con Jacques Derrida, è difficile a dirsi, esercizio vano e irragionevole. Forse nulla oppure il fuoco ha diversa intensità, o brucia invisibile, ma questa è un’altra storia.

Qui si ragiona su un documento sonoro senza precedenti, figlio a sua volta del nostro tempo, una sorta di simulacro audio della rivoluzione, ma anche frammento di realtà, fossile illuminante. Su tutto brilla la Sinfonia delle sirene che emerse da quel fremito incessante e lo coagulò. Fu il punto di sintesi tra le tante anime sobillatrici pre-sovietiche e la rivoluzione istituzionalizzata che si incarnò nell’Urss. Quasi un attimo fuggente, un boato utopico, poi svanito come è nella natura dell’utopia e questo è ciò che resta. BUUM!

 


 

:: letture ::

— Markov V., Storia del futurismo russo, Einaudi, Torino, 1973.

 

:: ascolti ::

— Autori vari, Baku: Symphony of Sirens. Sound Experiments in the Soviet AvantGarde:
Original Documents and Reconstructions of 72 Key Works of Music, Poetry and Agitprop
from the Russian Avantgardes (1910-1942)
, ReR Megacorp, 2008.

 

:: visioni ::

— Bene C., Quattro modi di morire in versi, RAI2, 1977.