
Tale
titolo si spinge
oltre i limiti usualmente imposti dai videogiochi di ruolo tramite un
sistema di interazione con gli oggetti e PNG totalmente innovativo:
ogni azione del giocatore sembra avere ripercussioni con le successive
interazioni, tanto direttamente quanto indirettamente: se, volutamente
o per sbaglio, entrassimo nel bagno delle signore (il nostro avatar
è
forzatamente uomo) sul luogo di lavoro, non solo verremmo cacciati ed
insultati dalle signore che potremmo trovare all’interno di
essi
(conseguenza diretta), ma saremo sgridati e invitati a non ripetere il
gesto anche dal nostro capo del dipartimento, durante il seguente
briefing di missione (conseguenza indiretta). Inoltre
l’esperienza di
gioco è arricchita dalla necessità di doversi
immedesimare nell’avatar
per poter scegliere che strategia adottare per portare a termine le
missioni attraverso tattiche di gioco e sistemi di potenziamento del
personaggio, sia corporei che dell’equipaggiamento. Allo
stesso modo, Bioshock (2007,
2k Games), rappresenta un felice esempio di ibridazione del genere
sparatutto con una solida base ruolistica, reso capolavoro grazie al gameplay
sci-fi horror
frenetico ed immediato e dalla sua sceneggiatura che chiama in causa
problematiche etiche quali la folle utopia di una
società che crede
nella ricerca e nella sperimentazione bio-genetica sugli esseri
viventi, in particolare sugli esseri umani, con le conseguenti
aberrazioni che essa produce. Nel 2004 si assiste ad
un sostanziale
cambiamento nel panorama dei giochi di ruolo: “se non
è online non è”
recitavano molte testate del settore videoludico. In
quell’anno infatti
vedeva i natali il quanto mai blasonato World of Warcraft (Blizzard),
MMORPG (Massive Multiplayer Online Role Playing Game) che surclassa il
successo dei suoi predecessori – Ultima Online
e Dark age of Camelot su
tutti – proponendo un sistema di gioco a cavallo tra il gioco
di ruolo,
la strategia e l’azione. Ma ciò che ha fatto di
World of Warcraft un
successo planetario forse non è né
l’interfaccia, né la componente
ruolistica di customizzazione del proprio personaggio, ma la sua
community che, nel 2008, contava ben oltre le 11 milioni di iscrizioni
attive. |
Second
Life (2003,
Linden lab), enfatizzando la componente “real” in
un mondo virtuale:
dal mondo di gioco è possibile acquistare, attraverso le
giuste
conoscenze e la giusta “reputazione”, oggetti del
mondo reale come una
chitarra o un I-pod, semplicemente recandosi nel virtual store
appropriato. Insomma, definire cosa è o non è un
gioco di ruolo oggi è
arduo, poiché i confini diventano mobili. Così
come per la tv, per la
quale non è più necessario redigere semplicemente
i testi da mandare su
schermo, per i videogames si prospetta la medesima situazione: il
lavoro più importante non riguarda la costruzione di un format
di gioco che rientri nei canoni di categorizzazione vigenti,
bensì la costruzione di una trama avvincente, di un gameplay
che risulti conseguentemente valido ed appagante, per poter garantire
un’esperienza di gioco che sia vieppiù
entusiasmante e in grado di
essere ripetuta. Ciò che i designer devono saper prevedere
in anticipo
è la meccanica di gioco, cioè
l’organizzazione degli eventi e dei
dialoghi, mentre il resto accade “in game”, per
mezzo del giocatore,
sulla base di una competenza intertestuale presupposta e condivisa da
entrambi. Molti giochi sono pubblicizzati come forniti di
“elementi di
gioco di ruolo”, talvolta essi sono completamente lineari e
non offrono
opportunità di gioco di ruolo maggiori di quelle possedute
guardando un
film o leggendo un libro, anche se ciò non è
generalizzabile all’intero
panorama dei video-GDR.
Anche se ovvie limitazioni tecniche e pratiche
confermano che un videogioco di ruolo non possa essere aperto e libero
come i giochi di ruolo “carta e penna” stile
D&D - dove l’unica
limitazione reale agli eventi che si svolgono è
l’immaginazione dei
partecipanti - è opportuno ribadire che diversi giochi
permettono una
considerevole varietà nel modo in cui raccontano la loro
storia, a
seconda delle decisioni del giocatore e della
“personalità” del suo
avatar, che siano essi picchiaduro, sparatutto, adventure, strategici o
giochi online. Dal punto di vista sociologico, talune scelte di design,
in un contesto commerciale consumistico come il nostro, riguardano
soprattutto la creazione di strumenti che attivano la componente
ruolistica messi a punto dai programmatori e gestita dai giocatori, che
sono in grado di estendere la vita del gioco anche quando esso
è stato
completato al 100%: più a lungo la gente gioca e ri-gioca un
GDR, più a
lungo ne parla diventando essi stessi veicoli e strumenti preziosi di
marketing. Will Wright, autore della serie Sim City
(1989, Maxis ) e The Sims (2000,
Maxis ), paragona questo processo alla diffusione di un virus:
“Se
riesco a far giocare gli utenti il doppio del tempo, posso vendere una
quantità di copie dieci volte superiore!”. La rete
di relazioni che si
instaura tra giocatori è probabilmente l’elemento
principale di
sostenimento dell’industria videoludica, alla pari
– se non in maggior
misura – degli upgrade hardware delle piattaforme che li
supportano o
degli algoritmi di intelligenza artificiale più innovativi.
È opportuno
chiedersi: perché è la componente ruolistica ad
attivare siffatti
meccanismi? A differenza degli altri generi videoludici il genere GDR,
soprattutto quello online ma non solo - si prenda ad esempio Fable
2,
GDR offline il cui mondo di gioco persiste e “vive”
anche a console
spenta! - sono in grado di coinvolgere una popolazione di gamer pari a
quella di una città di medie dimensioni, con mondi ed
ambientazioni che
sono permanenti, indipendentemente dal fatto che un giocatore vi sia
collegato o meno. I mondi sintetici di questi videogame, infatti, non
svaniscono quando un utente si disconnette dal server, ma ci sono forze
(interne o risultanti dalle azioni di altri giocatori) perennemente
all’opera: proprio il senso di continuità del
mondo contribuisce a dare
profondità al gioco e incoraggia i giocatori a tornare
all’interno del
“virtual world” in maniera costante, onde evitare
situazioni di crisi
con gli altri player o, nel caso dei GDR offline, con taluni PNG che
alterano il loro allineamento nei confronti dell’eroe.
Potremmo
asserire che alla nebulosità del concetto di genere
videoludico si
affianchi, oggi, quella del concetto di “partita”,
poiché la durata di
ognuna può dilatarsi sino a coprire un arco di tempo di
diversi mesi.
|