arlo Damasco è laureato in Lettere e Filosofia. Ha
tradotto autori arabi francofoni e scritto dal Marocco per Il
Mattino, Linea d'Ombra, Fabbrica.
È membro dell'Istituto Internazionale del Teatro
Mediterraneo. Dal 1980 al 1989 lavora nel Teatro di Ricerca con varie
compagnie. Dal 1992 svolge l'attività di attore e di regista
teatrale, ma lavora come attore anche per il cinema, la radio e la
televisione. Il cortometraggio Un paio di occhiali
(2001), tratto da un racconto di Anna Maria Ortese ha segnato il suo
esordio alla regia e la sua partecipazione alla Mostra del Cinema di
Venezia nella sezione competitiva Corto Cortissimo. Cura
a Napoli I Corti dal Mondo, un festival di
cortometraggi che ha come scopo una migliore conoscenza fra le diverse
parti del mondo, soprattutto nel contemporaneo, per promuovere la
coesistenza pacifica attraverso una maggiore conoscenza reciproca, e
per ribadire il ruolo di Napoli come porta di interscambio fra l'
Europa il Mediterraneo, il Medio Oriente. La prossima edizione dal 8 al
12 Ottobre 2008 ospiterà Il Regno del Marocco.
Il tuo lavoro si sviluppa in varie direzioni,
praticamente da sempre. Dalla tua biografia professionale si ricava
che, per quanto riguarda la sfera delle comunicazioni di massa, non
solo ne hai esplorate diverse, ma hai anche ricoperto molti ruoli.
Rispetto alla conoscenza del funzionamento dei loro apparati e
dispositivi, ritieni questa versatilità solo comoda, utile,
o necessaria?
Indispensabile. Credo che la conoscenza orizzontale,
(in opposizione a quella superspecialistica, verticale)
dia la possibilità di acquisire uno sguardo più
ampio e la capacità di vedere potenzialità che
poi il superspecialista potrà sviluppare.
Insomma, in quanto
regista non devo sapere tutto della scenografia o dei costumi, ma devo
comunque conoscerne le potenzialità che poi lo scenografo
potrà realizzare.
Quali considerazioni puoi trarre
dall’attività svolta come inviato dal Marocco per
diverse testate, anche differenti fra loro, come vocazione e
periodicità? La voglia o il
bisogno di espansione personale è solo una conseguenza
dell’avidità di conoscenza, del bisogno di
conoscere gli altri e scrivere per un quotidiano, o per un periodico di
approfondimento, consente di farlo e in più di essere pagato.
Veniamo a un’altra questione: la tua
frequentazione del mondo della cultura mediterranea, come traduttore e
operatore culturale. Possiamo ragionare su una
cultura mediterranea, o è più logico parlare di
una pluralità di culture? E a partire da quali parametri? Ovviamente
non si può parlare di UNA cultura mediterranea , ma nemmeno
di tante culture ognuna diverse dall’altra. Ci sono matrici
comuni molto forti nel mondo mediterraneo e che hanno a che fare con la
Grecia, con le traduzioni dall’arabo e in arabo di scrittori
e scienziati, con gli scambi culturali, scientifici e mercantili, con i
matrimoni misti… e con le dominazioni culturali e
politiche. Credo quindi che si debba sempre parlare di Sfaccettature
culturali.
Sempre su un tema simile: la cultura
islamica, o le culture islamiche? L’Islam
è Unico e Unificante, ma è
una religione. Credo che la cultura di una nazione sia qualcosa di
più complesso. Naturalmente poiché
l’Islam è una religione del quotidiano, nei fatti
di tutti i giorni e quindi anche nella cultura, non si può
prescindere dall’essere musulmano, anche per gli atei che
sono numerosissimi in tutto il mondo musulmano.
Da sempre, ma specialmente negli ultimi decenni,
l’area del Mediterraneo è luogo di conflitti
feroci e – a volte sembra – privi di soluzione,
anzi, destinati a durare all’infinito. Possiamo immaginare un
rapporto fra i fenomeni di globalizzazione e l’acuirsi della
conflittualità nell’area? E quanto concorrono le
differenze fra culture a farla prosperare? Credo che
questi conflitti scemeranno solo con l’inaridirsi dei pozzi
petroliferi. Per quanto riguarda i conflitti interni
all’Islam tra Sunniti e Sciiti, o le differenze culturali,
più che la globalizzazione potrà la
glocalizzazione, il rispetto per il locale che diventa globale. Ma
quando mai sono state le differenze culturali a scatenare guerre o
conflitti più o meno locali?
Veniamo al tuo lavoro: Un paio di occhiali.
La storia di una bimba napoletana che ci vede pochissimo, ma quando le
viene regalato un paio di occhiali e scopre quanto è brutta
la realtà che le sta intorno, decide che è meglio
lasciar da parte gli occhiali, e smettere di vedere. Bella storia,
triste ma profetica. Di quanto è tributaria al racconto
della Ortese da cui è tratto? Il problema
della fedeltà al testo nella trasposizione da un linguaggio
all’altro, in questo caso dalla narrativa al cinema, non mi
è mai interessato. Il bellissimo racconto della Ortese
è stato da me molto rimaneggiato, sono state tagliate scene,
personaggi, aggiunti altri e, soprattutto, cambiato il finale. Eppure
credo che il senso profondo del racconto,
l’insopportabilità della realtà, sia
tutto lì.
Ed ora, il festival I Corti dal Mondo.
Puoi spiegarcene i sensi? È
semplice. Avevo bisogno di dare concretezza a questo mio bisogno di
conoscere meglio e far conoscere meglio certi Paesi che, o vengono
presentati in modo troppo fazioso, come è successo per
l’Iran e di cui mi sono occupato nella prima edizione, o
superficialmente come succede per il Marocco, Paese ospite in questa
seconda edizione, di cui si conoscono solo, da turista frettoloso,
Agadir o alcune città Imperiali come Fes o Marrakech.
I
Corti dal Mondo vorrebbe essere un momento di approfondimento
rispetto a sistemi di valori di altri Paesi e che molto hanno in comune
con noi italiani, per questo I Corti dal Mondo
è dedicato ogni anno ad un Paese di cui si
cercherà di capire quanto più possibile
attraverso cinema, letteratura, incontri e quant’altro le
istituzioni mi consentano di fare, viste le esigue economie di cui disponiamo.
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