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Nella cuccia del consumo
di Gennaro Fucile

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Ci sono leggende che i Cani raccontano 
quando le fiamme ruggiscono alte e il vento soffia dal Nord. 
Allora ogni famiglia si raccoglie intorno al focolare e i cuccioli siedono muti ad ascoltare e quando la storia è finita fanno molte domande: che cos’è un uomo? Oppure che cos’è una città?...
Non c’è una risposta precisa a domande di questo genere. 
Ci sono supposizioni, teorie e ipotesi, ma nessuna vera risposta.

Clifford Simak, City1


Esopo e tutto il resto, La Fontaine, Lassie, Walt Disney, Snoopy. Gli animali domestici, ma non solo, hanno sempre permesso agli uomini di mettere in luce vizi e virtù dell’anima. Anche la letteratura del secolo scorso ne ha fatto ricorso. Prendiamo il cane protagonista di Cuore di Cane2, romanzo breve di Michail Afanas'evic Bulgakov, storia di una metamorfosi procurata in seguito ad un esperimento. Un tema da fantascienza. Lui si chiama Šarik, reso in italiano con Pallino. Il chirurgo ed endocrinologo Filipp Filippovič Preobraženskij decide di prelevare l’ipofisi di un cane e di sostituirla con una umana. L’esperimento è condotto appunto su Pallino, randagio raccattato per strada in condizioni pessime, poiché un portinaio lo ha quasi fatto secco con dell’acqua bollente (“U-u-u-u-u-u-u-hu-huh-huu! Oh, datemi uno sguardo, sono in fin di vita. La tormenta sotto il portone ulula la mia messa funebre e io uggiolo con lei. Sono perduto, spacciato”, è il bellissimo incipit). Pallino, sopravvissuto alla doccia caldissima, se la cava anche nell’intervento chirurgico e da lì inizia a trasformarsi nel pomposo Poligraf Poligrafovič Šarikov, splendido esempio dell’uomo nuovo realmente partorito dalla Rivoluzione d’Ottobre: violento, arrogante, volgare, uno specchio dei tempi. 

Pallino. Anche la postmoderna società dei consumatori può farsi trasparente grazie a un cane, uno qualsiasi, un pet, un animale domestico, una miniera per il business, una ciotola che vale diverse centinaia di milioni di euro solo in Italia (considerando l’intero mercato, cani, gatti e altre bestioline e cianfrusaglie assortite). Niente raffronti tra queste cifre e quelle della Fao sulla fame nel mondo, anche perché ne basterebbe una: ogni cinque secondi un bambino muore per malattie legate alla fame. Qui, però, non si pone una questione morale, si indaga sulle pieghe intime di quello che l’intero sistema dell’offerta ha eletto ideologicamente a proprio signore indiscusso. Il consumatore, appunto.
Allora diciamo che lui si chiama Cico, un adulto, sano, attento al proprio welness, non si fa mancare nulla, cure estetiche, attività sportive, specialisti, psicologo e terapeuta-educatore. Non è un personaggio letterario, non arriva dai cartoon o dai manga, tantomeno dal cinema. È reale, potrebbe appartenere ad un qualsiasi proprietario di animali domestici da compagnia, il cosiddetto pet owner. È vivace, curioso – ha girato mezzo mondo –, ama la musica e la sua compagnia trasmette allegria e gioia, amplifica la dimensione giocosa del vivere quotidiano e spesso facilita le relazioni interpersonali dell’intero gruppo familiare. Il suo è un focolare domestico autentico, ha anche un bell’alberello di Natale tutto suo. Segue una corretta alimentazione, assume un’adeguata quantità/calorie, evita le schifezze (cibi grassi, zuccheri, come dolciumi, cioccolato), è attento all’equilibrio nutrizionale (carboidrati e proteine-carne, seguite da verdure). Una dieta che tiene in giusto conto anche il ruolo dei minerali (calcio in primis) e delle vitamine. Scelte alimentari e gadget che mirano a garantirgli una vita più lunga. 

Cico. In casa non è lui a fare la spesa, ma ci si preoccupa sempre di soddisfare il suo fabbisogno alimentare cercando, al tempo stesso, di tenere conto del suo gusto-piacere e della sua salute-benessere, mirando sempre alla sua longevità e al suo benessere spirituale, poiché, volendo, si può anche fare compere in petshop equo-solidali. Cico ricambia da par suo: scodinzola. C’è un feeling intenso, fatto di reciproca comprensione e fiducia, costruito a partire dai suoi bisogni primari (nutrirlo, consentirgli i bisogni, tenerlo pulito) e alimentato dalla sua autenticità e lealtà. La comunicazione non soffre della mancanza della parola, anzi spesso risulta rinforzata grazie alla potenza espressiva del suo sguardo e del suo body language, unitamente al poterlo toccare e sentire anche attraverso l’esperienza olfattiva.

Cico. Il doppelgänger del consumatore. A rischio anche di obesità. Lui o un altro, un cane da compagnia qualsiasi, sarà utile per accompagnarci nell’esplorazione della natura intima del consumo, pratica nella quale si afferma la nostra identità, anzi le identità mutevoli che caratterizzano la frammentazione del soggetto contemporaneo. Una modalità di ri-costruzione temporanea dell’io come ben riassume April Benson nel suo I Shop Therefore I Am3, ovvero Compro dunque sono, titolo che espicitamente parafrasa Descartes. Scrive la Benson: “Lo shopping… è un modo con cui cerchiamo il nostro posto nel mondo. Sebbene sia svolto negli spazi pubblici lo shopping è essenzialmente un’esperienza intima e personale… è un processo interattivo attraverso cui dialoghiamo non solo con le persone, i luoghi, le cose, ma anche con noi stessi”.
A questo atto di dichiarazione d’identità si accompagna come suo doppio la soddisfazione di un desiderio, di un sogno, di una volontà. Acquistare cibo e/o accessori (petcare) per il proprio cane rende possibile la soddisfazione di un bisogno, ma se è vero che è il desiderio – e non la necessità – a presiedere all’acquisto e al consumo dei beni di massa, o di nicchia, dei prodotti cheap e di quelli di lusso, allora quale desiderio soddisfa lo shopping di croccantini e bocconcini, che sicuramente non soddisfano un bisogno naturale dell’acquirente? Quale gesto creativo qui si esprime?, come si manifesta la somma libertà del consumatore e la sua presunta cooperazione interpretativa? 
Acquistando petcare non si acquista per se stessi ma per altri. Si seguono però logiche diverse rispetto a quando si compra in maniera occasionale, come per i regali, oppure facendo shopping per i neonati. In quest’ultimo caso è in gioco il meccanismo di riproduzione della specie, l’acquisto è finalizzato, non c’è lusso né amore universale, si compra per dare continuità alla specie, si raddoppia cioè il meccanismo di fondo di ogni acquisto primario: riprodursi. Ovvio che il portato del riprodursi è ben più ampio e non riducibile all’alimentazione e alla casa; oggi nelle società del benessere anche l’iPhone è un mezzo per riprodursi. Lo shopping del petcare invece racconta altro ancora. 
Occorre però liberarsi dell’idea del semplice transfert bambino/animale, andare oltre, astrarre. E fare prima un passo indietro, quando valeva ancora la logica delle differenze tra uomo e animali da compagnia, amici che da sempre ci vivono intorno, ma con un proprio statuto naturale solo in parte modificato dalla cultura umana, poiché gli animali, una volta soddisfatto il bisogno, hanno sempre solo riavviato lo stesso ciclo. L'uomo, invece, dopo la gratificazione, ha sempre innescato continuamente una spirale di nuovi desideri, con continui slittamenti, spostandone incessantemente la soglia. Una crescita esponenziale su cui si è costruita nel secolo scorso un’offerta di beni sempre più variegata, con un surplus di informazioni incorporate. Progressivamente le informazioni, le merci, chi le produce e chi ne fruisce iniziarono a connettersi, sorse l’alba della società dei consumi, la democrazia delle cose andò a pieno regime. Dapprima, la società industriale aveva instaurato l’equivalenza tra merci e uomini e la conseguente reciproca scambiabilità. 
Nello stadio successivo, l’attuale, l’economia ora autenticamente democratica equipara tutto: produttori, consumatori, merci e aziende in un possibile scambio perenne di ruoli e di statuti ormai consistenti come un crème caramel. 
I prosumer e tutte le varianti del concetto di consumo produttivo sono indici di questa circolarità. Un gioco di permutazioni ruotante intorno al concetto di flessibilità e che, messo in grado di esprimersi appieno, annulla tutte le distanze, quella tra uomo e macchina, tra naturale e artificiale, tra reale e finzione, tra l’informazione, il mittente e il destinatario, tra uomo e ogni altro essere vivente. Cyborg e avatar sono soggetti limite, esponenti emblematici di un ben più ampio numero di partecipanti – i consumatori – ai multi-gioco di ruolo necessari per essere protagonisti nella società del benessere.
Un ordine pseudo-ludico dove la posta in palio è sempre un nuovo bisogno/desiderio da soddisfare. A un consumo poi ne segue un altro, c’è sempre un desiderio da esaudire e le aziende che operano in quel determinato mercato solerti innovano. 
Un intervento che non si limita unicamente a realizzare una novità di prodotto, ma anche a sollecitare un nuovo bisogno/desiderio con il concorso di tutto l’armamentario di marketing. 
Allora, ci si chiederà: sono reali i bisogni dei consumatori o indotti? Entrambe le cose: sono reali i bisogni di consumare le narrazioni che le merci/marche incorporano, e tendenzialmente indotti quelli di acquistare certi prodotti e non altri, in determinate quantità con cadenze d’acquisto più o meno prestabilite. Movimento tendenziale “disturbato”, frenato o incrementato dal reddito reale. È a partire da un bisogno reale di immaginario che si acquistano e si consumano cibi e oggetti. In tal senso è intrinseco lo slittamento da un desiderio a un altro e necessaria la reiterazione, la coazione ad acquistare. A fare acquisti sempre più personalizzati di grandi volumi di desideri, sempre più desideri – che per definizione non hanno confini – e che possono essere estesi anche ai desideri altrui e, infine, a quelli dell’altro per eccellenza, tutti gli altri viventi che abitano il pianeta, gli alieni fatti in casa, i cani per esempio. Ecco perché l’acquirente di petcare può ben esprimere la quintessenza del consumo. 
C’è dell’altro, però. Osservato da vicino, il sovrano consumatore mostra dei segni particolari che lo denotano inequivocabilmente come abitante di questo tempo: possiede un corpo che tende a smaterializzarsi tramite protesi elettroniche ed è un corpo che si ostina a ribadire il suo essere fatto di carne, sangue, ossa grazie ad un’altra serie di protesi, altrettanto hi-tech. Esiste immerso in un mondo di protesi relazionandosi con altre protesi speculari. In un certo senso è già un po’ cyborg. È la naturale artificialità dell’uomo e del suo ambiente che giunge ad un nuovo stadio. Manufatti sempre più sofisticati che estendono l’interazione tra esseri umani, cose e natura, perfezionandone l’equiparabilità. 
Quello che si sostanzia nella relazione tra consumatore e pet è un’inedita protesi mentale in grado di estendere la capacità dell’essere consumatore oltre i propri limiti naturali, un super-omismo da super-mercato. Anche quando affiora spiccato il senso del possesso e dell’appartenenza esclusiva, un senso di dominio quasi morboso spesso rintracciabile sia nella relazione padrone/cane e sia in quella tra il consumatore e i suoi acquisti, non si tratta di una singolare coincidenza. Ludico e antidepressivo il cane e altrettanto il gadget o lo sfizio alimentare.
Il mercato del petcare è una palestra dove mantenere allenato il tono muscolare del consumatore per consentire sempre rendimenti elevati, ed è la soddisfazione del desiderio di oltrepassamento che sembra segnare tutte le attuali performance della nostra vita quotidiana e di quella degli eroi che la rallegrano. Un set dove tornano in scena res cogitans e res extensa (è la legge dei simulacri: a turno tutti ritornano), spingendo ancora oltre un lavoro interiore che già viene svolto costantemente, poiché l’universo mentale del consumatore costringe il corpo a continue performance di adeguamento. In fondo, è quello che ci racconta l’arte contemporanea altalenante tra eccessi della carne e smaterializzazione. I desideri sono immateriali e al corpo si delega di esperirli. In questa pratica convergono produzione e consumo e nel petcare il meccanismo si manifesta, si rivela, mostrando l’umano che bersaglia il corpo dell’altro, quello dell’animale, con i propri desideri. 
A ben vedere, curiosamente, la versione light della vivisezione. Un doppio binario che l’industria dei beni di consumo di massa conosce bene, avendo storicamente praticato sia il perfezionamento dei cibi e degli oggetti per il benessere dei pet sia la sadica vivisezione nei laboratori di ricerca, svolgendo entrambi i compiti con divina indifferenza. Cico e Pallino. Una dialettica bestiale, o come direbbe Woodstock , il compagno di Snoopy, nella sua sana alterità: “;;;,,””””””!!,,.^^””!?.”.

 


 

:: note ::

1. C. Simak, City, Libra Edizioni, Bologna 1953, prima edizione. Nello stesso anno anche come Anni senza fine, Mondadori Milano.
 

2. 
M. Bulgakov, Cuore di Cane in Racconti, Einaudi, Torino, 1970, fuori catalogo. L’edizione più recente –in altra traduzione- è Cuore di Cane, Newton Compton, Roma, 2008. Alberto Lattuada ne trasse un film nel 1976 con Cochi Ponzoni nel ruolo di Šarikov, ribattezzato Bobi.
 

3. 
April L. Benson, I Shop Therefore I Am: Compulsive Buying and the Search for Self, Jason Aronson Inc, Northvale, New Jersey, Usa, 2005. Citato in Sociologia del lavoro n.108: Il consumo come produzione, Franco Angeli, Milano, 2008.