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La versione più popolare di questo mito
si
riferisce però ad un celebre cabalista del ghetto di Praga:
il Rabbino
Loew, che secondo la leggenda diede vita ad una creatura –
appunto il
Golem – inserendogli nella testa una pergamena dopo avergli
praticato
un’incisione alla base del cranio. Ogni venerdì
sera il Rabbino Loew
toglieva la pergamena riducendo così il Golem a inerte
argilla. Nelle
versioni originali è estremamente presente la paura
dell’usurpazione
fatta dai cabbalisti del potere della creazione che è
evidentemente
riservato solamente a Dio. Attorno al Golem e alle sue varie versioni
si coagularono nei secoli l’orgoglio dell’uomo
creatore e la paura
delle conseguenze della creazione. Il Golem sfuggiva sovente al
controllo del suo creatore e diventava pericoloso. In una versione
più
tarda – descritta anche nei libri di Martin Buber –
il ruolo del Golem
veniva però invertito. Durante l’epoca dei pogrom
contro gli ebrei il
Mah’aral aveva creato un Golem per difendere gli ebrei contro
le accuse
rivolte loro. Con il passare del tempo, il mito acquistò
caratteri con
tonalità parzialmente diverse, meno connotate religiosamente
o almeno
magicamente e più adatte ai tempi. “Il Rabbino
Loew divenne in alcune
opere uno scienziato, un fisico, un chimico, un medico, un ingegnere o
un orologiaio. Avendo rifiutato la trascendenza, egli si contentava di
leggere nel libro della natura. Il Golem era il frutto della confidenza
nel progresso e s’inseriva, per la verità, nella
critica della
civilizzazione tecnologica” (Mathière, ibidem).
Poi, pur mantenendo le
sue caratteristiche iniziali (un misto di paura e di orgoglio), il
Golem ha acquisito quei caratteri che lo hanno reso
l’antesignano degli
androidi di cui stiamo trattando. Ci sono alcune opere dei primi anni
del secolo scorso, che Catherine Mathière cita, in cui il
Golem
possiede una coscienza anche se ancora incompleta. Soprattutto in un
film degli anni venti del regista Paul Wegener, in cui il Golem viene
rappresentato, dice lo stesso regista, come: “un essere
incompleto che
lotta per accedere al mondo dei sentimenti e divenire un essere
umano”(Wegener, Germania, 1920). Ambedue le interpretazioni
accompagnate dall’evoluzione della figura del Golem,
correggono quando
non rovesciano il punto di vista che vede gli androidi come semplici
macchine prive di empatia e senza un benché minima
identità
strutturata. Anzi, nelle interpretazioni diciamo
“religiose” la figura
del replicante (nel caso quella di Roy Batty) ha una statura di molto
superiore a quella degli uomini in genere, mentre nel caso del Golem vi
è una crescente evoluzione dell’androide verso una
sensibilità sempre
più umana. D’altronde se andiamo ad esaminare
l’alternativa alle
macchine, agli androidi, i cosiddetti “umani”
quelli che – secondo i
canoni – dovrebbero essere dotati d’empatia,
sensibilità, identità
certe, nel lavoro di Ridley Scott sono – a parte una folla
indistinta
che fa da sfondo ai protagonisti – tre: i due poliziotti e
Tyrell
l’artefice, il demiurgo. I due poliziotti sono personaggi un
po’
squallidi, laidi, moralmente discutibili, chiaramente mossi da
interessi poco chiari, se non poco puliti.
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