Senza girarci intorno: un gran disco, coraggioso, severo,
austero e coinvolgente. “Labirinto d’acqua” è uscito sul finire
dello scorso anno, ma ne parliamo anche se è fuori stagione, dal
momento che le produzioni indipendenti tardano ad avere (quando
ci riescono) una distribuzione regolare, e soprattutto perché si
tratta di un lavoro italiano di valore assoluto e questo non
capita spesso. Quindi l’eccezione che conferma la regola.
Ciò premesso torniamo a Yugen. Si tratta di un collettivo
allestito dal chitarrista Francesco Zago con la complicità del
produttore Marcello Marinone, che rinverdisce i fasti di quei
suoni da combattimento che tuonarono a partire dagli Henry Cow.
A dire il vero i rimandi e gli omaggi di Yugen si estendono in
lungo e in largo: Igor
Stravinskij, Arnold Schoenberg, John Cage, Steve Reich, Frank
Zappa, Henry Cow, Gentle Giant, King Crimson, Univers Zero sono
i punti di riferimento che esplicitamente dichiarano.
Menzione a parte per Erik Satie,
che compare proprio con un florilegio di
citazioni e due composizioni
(Sévère Réprimande, Danse Curaissée), ben tradite
ovvero rilette alla perfezione. Le corrispondenze tra la musica
e gli intenti ci sono tutte, come si evince, ad esempio, da
Corale metallurgico, solo che gli artisti sopra citati li si
incontra in una sequenza vertiginosa come se si incrociassero
sulle montagne russe. Idem in Brachiologia dove la
velocità è quella di un frullatore. Brano strepitoso. Sontuosa
poi Quando la morte mi colse nel sonno, una mini suite
dove insieme alla potenza ritmica e ad una velata vena melodica,
Yugen mostra che cosa vuol dire far quello che si vuole in
musica quando si è padroni della materia, dando luogo a una
sequenza piena di colpi di scena, di svolte spiazzanti e
repentine riprese.
Insomma, la complessità delle composizioni e della loro
esecuzione segna tutto l’album, esigendo prove di virtuosismo
dai musicisti, in alcuni passaggi costretti a un vero tour de
force. Alto profilo che si evince anche dal colto citazionismo
extra musicale. Per spiegarci: "Se le forze plastiche si
distinguono, non è perché il vivente ecceda il meccanismo, ma
perché i meccanismi non sono a sufficienza macchine. Il torto
del meccanismo non è quello di essere talmente artificiale da
non poter render conto del vivente, ma di non esserlo
abbastanza, di non essere abbastanza macchinato. I meccanismi,
infatti, sono composti di parti che non sono a loro volta
macchine, mentre l'organismo è infinitamente macchinato, è una
macchina di cui tutte le parti o tutti i pezzi sono macchine,
nelle loro minime parti, fino all'infinito". Firmato
Gottfried
Wilhellm von
Leibniz. Prelevato dalla “Monadologia” del filosofo di Lipsia,
questo passo apre le note di copertina dell’album, nel quale
vengono lanciate in ordine sparso altre citazioni colte, da
Jorge Louis Borges a Ludwig Wittgenstein.
Orizzonti vasti e scrittura complessa, quindi, che prevede anche
un bel dispiegamento di forze e infatti l’organico qui raccolto
è considerevole:
Mini Moog, mellotron, piano elettrico ed
organo (Paolo Botta), pianoforte (Maurizio Fasoli) una sezione
abbondante di ottoni, sax, clarinetti di tutte le fogge e flauto
(affidati a Peter Schmid e Marco Sorge), poi violino (Elia
Mariani), idiofoni a volontà, ovvero marimba, vibrafono e
glockenspiel (Massimo Mazza), liuto e mandolino (Tommaso Leddi
degli Stormy Six), clavicembalo, Theremin e shakuachi, il flauto
dolce giapponese, (Giuseppe A. Olivina). Completano la
formazione Stephan Brunner al basso e Markus Stauss al sax,
entrambi dell'ensemble svizzero Spaltklang e Mattia Signò alla
batteria Ospite di riguardo, alla batteria, Dave Kerman (in
Corale metallurgico), già protagonista in diversi contesti
avantgarde
(Avhak, Present, Thinking Plague e con Chris Cutler.)
Rovescio della medaglia: la formazione da concerto è ristretta,
forse troppo. A tutto c’è rimedio, però, e Yugen dovrebbe (dopo
un piccolo esperimento fatto a Genova) proporsi live in
compagnia di un’altra formazione genovese “certificata”
progressive, i Picchio dal Pozzo (vedi Quaderni D’Altri tempi n.7).
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