Quadri di un esposizione virtuale | |
di
Simona Vitale | |
Orientarsi tra i musei e le
gallerie d’arte in Second Life è cosa assai difficile. L’offerta d’arte o
sedicente tale è prosperosa, ma arduo è scegliere, o sapere cosa vedere e dove. Sebbene il numero di musei in SL
sia alto, non esiste fino ad oggi una guida che accompagni il cyber-utente
nella mostra di tale o talaltro artista.
Come per ogni luogo od evento in
Second Life, la maniera per essere informati che risulta essere più
soddisfacente è il passaparola. Qui la conoscenza su cosa valga
la pena di vedere si trasmette tramite il chiacchiericcio informale o sbarcando
per caso in un luogo adibito al culto dell’arte. Se nel mondo cosiddetto reale è
difficile inoltre scindere l’arte da ciò che non lo è, in un mondo virtuale
come SL dove la creatività è messa in primo piano, tale processo di
discernimento risulta estremamente più complesso e questo per una ragione
principale. Come accennato sopra, l’offerta di arte è variegata, ma non esiste
un criterio per saperla distinguere: una riproduzione della Gioconda è
ammassata accanto a dipinti naïf, tentativi di sculture incomplete sono poste
al fianco di disegni di frattali dai colori iridescenti in un continuum senza
ordine e senso. D’altro canto “SL è un mondo prettamente
visivo, dove prima di tutto si guarda. Uno mondo da voyer se volete, dove si
scruta, si legge, magari si spia. Un mondo straripante di immagini, dove si
avverte ovunque la fobia dell’horror vacui, dove c’è sempre questo bisogno
spasmodico di riempire ogni muro, di occupare ogni spazio con immagini, volti,
vestiti, pubblicità, oggetti, qualsiasi cosa pur di sancire la sua presenza.”[1] Nel regno della plasmabilità
perenne di SL, dove tutto muta di ora in ora e, ove ognuno ha la capacità di
modellare l’universo in cui è immerso, ci si imbatte in talentuosi architetti e
in body artists senza nemmeno saperlo. Tutto è potenzialmente arte in
SL, così come è potenzialmente spazzatura. Il corpo, o meglio quell’ammasso di
pixel da cui è composto l’avatar, è del resto il primo oggetto da modellare,
tavolozza di colori e tela bianca insieme da trasformare in opera d’arte,
scultura in movimento su cui operare infiniti e ininterrotti cambiamenti. L’ideazione del proprio
personaggio virtuale è pertanto un’operazione creativa e non a caso assistiamo
“ad un vero e proprio culto dell’avatar: la gente fa fotografare il proprio
avatar o commissiona addirittura un ritratto rielaborato con Photoshop”,[2]
arrivando a sborsare migliaia di linden per renderlo simile alla propria
fisicità. Come è noto “l’utilizzo del
corpo come mezzo di espressione artistica, nato nelle sperimentazioni della
body art negli anni Sessanta e sviluppatesi negli anni Settanta, è dirottato in
questo fine secolo, verso l’esperienza tecnomutativa.”[3] Le esperienze artistiche ed i
lavori della francese Orlan o della compagnia teatrale La Fura dels Baus sono
solo un esempio di questo percorso che ha condotto ad una nuova fase ove il
corpo non si fonde più con la tecnologia innestata nella carne, ma scompare in
un prodotto digitale la cui fattura è umana, ma il materiale di cui è composto
è digitale. In SL così si tocca l’ultimo
stadio della cultura cyber in cui il corpo, libero dalla propria organicità,
rivive solo nella tecnologia. I corpi degli avatar parlano in
tal modo di se stessi e delle marionette che li muovono, raccontano della
propria biografia virtuale che hanno impresso addosso attraverso attachment, hud, ao ed altri script.[4] Accanto a tali musei viventi se
ne accostano altri, quelli per così dire istituzionali, contenitori di opere
d’arte apprezzabili o di mediocre fascino. Sono i luoghi deputati all’arte
diversi per genere e stile che arricchiscono il paesaggio di SL con opere di
artisti noti e non. Nel mondo reale, come ricorda
anche Joel Candau, stiamo assistendo ad un moltiplicarsi del numero dei musei,
e questo perché “la sensibilità patrimoniale è stata esacerbata nel momento
stesso in cui le nostre società conoscevano un mutamento accelerato e quindi,
temevano più la perdita e l’oblio.”[5] Anche in SL si guarda al passato dal punto di vista museologico, per sconfiggere la dimenticanza e per rievocare le opere di celebri uomini scomparsi.
[1] Gerosa Mario, Second
Life, Meltemi Editore, Roma, 2007.
[2] Ibidem.
[3] Macrì Teresa, Il
corpo postorganico, Costa Nolan, Genova 1996.
[4] Rispettivamente protesi del corpo dell’avatar (capelli, gioielli, orologi etc.), animazioni
ed altre funzioni che permettono di personalizzare la fisicità del proprio
personaggio virtuale.
[5] Candau Joel, La
memoria e l’identità, Ipermedium Libri, Napoli, 2002.
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(1) [2] |