Nella cultura del Novecento
in compagnia di Stravinskij

Igor’ Stravinskij, Robert Craft
Ricordi e commenti
Traduzione di Franco Salvatorelli
Adelphi, Milano, 2023
pp. 414, € 14,00

Igor’ Stravinskij, Robert Craft
Ricordi e commenti
Traduzione di Franco Salvatorelli
Adelphi, Milano, 2023
pp. 414, € 14,00


Si può leggere Ricordi e commenti – libro indirettamente autobiografico, perché Igor’ Stravinskij racconta la sua vita e la sua attività di compositore attraverso il dialogo/intervista con il musicologo statunitense Robert Craft – come un diario di viaggio che parte dalla Russia della sua infanzia e della sua adolescenza e arriva agli Stati Uniti passando per la Svizzera (1910-1920), la Francia (1920-1939) con una parentesi nel Regno Unito (la sua carriera di concertista in Albione è limitata agli anni 1927-1937, e dopo un lungo intervallo a pochi concerti tra gli ultimi anni Cinquanta e i primi Sessanta), e con tappe nelle principali capitali della musica e della cultura europee e mondiali: Venezia (la città che accoglie il suo sepolcro nel Cimitero monumentale di San Michele), Roma, Napoli, Vienna, Berlino, Madrid, Londra. E da Parigi sulla Costa Azzurra, Nizza in primis e San Pietroburgo, naturalmente, la città della sua infanzia: Stravinskij ne rievoca le vie, i principali monumenti, le bellezze, i suoni, persino gli aromi e i colori:

“…ricordo Pietroburgo come una città d’ocra e d’azzurro, nonostante lo spicco di edifici rossi come il barocco Palazzo d’Inverno di Rastrelli (…) posso dire che quando mi trovo a Roma mi rammento spesso della mia città natale- L’architettura e il colore di Pietroburgo erano italiani e non solo per imitazione bensì per opera diretta di architetti quali Quarenghi e Trezzini”.

Le origini polacche

Il Maestro era nato precisamente a Orianenbaum, “un bel paesetto di mare di fronte a Kronštadt” il 17 giugno 1882: “il mio amico svizzero Charles-Albert Cingria mi chiamava «le maître d’Orianenbaum»”. Nelle prime pagine Stravinskij spiega a Craft anche l’origine del suo nome:

“«Stravinskij» viene da «Strava», un fiumicello nella regione di Minsk. In origine ci chiamavamo Sulima-Stravinskij, ma al tempo dell’annessione di quella parte della Polonia alla Russia il Sulima fu lasciato cadere. I Sulima-Stravinskij erano, da quando se ne ha traccia, proprietari terrieri della Polonia orientale. Si trasferirono dalla Polonia in Russia durante il regno della Grande Caterina”.

Ricordi e commenti si divide in capitoli corrispondenti alle principali patrie di Stravinskij: Le radici russe (1882-1910); Gli anni europei (1910-1913) divisi tra Svizzera (1910-1920) e Francia (1920-1939), e Gli anni americani (1939-1971), che sono poi in gran parte gli anni californiani (1940-1969). Dunque, anche la vita di Stravinskij conferma il ruolo di Seconda Madre esercitato dagli Stati Uniti nei confronti di tantissimi intellettuali e artisti esuli, per svariate ragioni, dalla Russia prima (e dall’Unione Sovietica poi: pensiamo a Iosif Brodskij) e in seguito – per sfuggire al nazismo e alla guerra – da quel cimitero che era diventato l’Europa. Un esempio è Thomas Mann di cui Stravinskij fornisce a Craft un bel ritratto insieme a quello del poeta (e genero di Mann) W.H. Auden, che collaborò fra l’altro allo stravinskijano The Rake’s Progress (La carriera di un libertino). Il periodo americano di Stravinskij fu il più lungo della sua vita attiva di compositore, più lungo di quello russo (1900-1913) e di quelli svizzeri e francese sommati insieme (1910-1939). Stravinskij era approdato per la prima volta a Manhattan nel 1925, dopo una tempestosa traversata da Le Havre sul Paris. Aveva quarantadue anni. Racconta Craft:

“Il suo nome era noto a New York fin dal giugno 1910 quando lo Herald Tribune aveva dato grande risalto alla prima dell’Uccello di fuoco all’Opéra di Parigi. Sei anni dopo il suo genio fu reso manifesto ai newyorchesi quando quel balletto e Petruška, quest’ultimo con Vaclav Nižinskij protagonista, furono presentati al Metropolitan dai Ballets Russe di Djaghilev”.

Tra sogni e visioni
Ma torniamo indietro, in Europa. Pochi forse sanno che Stravinskij compose, durante il suo soggiorno svizzero, gran parte della scioccante (per il pubblico di allora: 1913 prima rappresentazione-putiferio a Parigi) Sagra della Primavera. In Svizzera attese anche ai Three Movements of Petruška riduzione per pianoforte dell’opera rappresentata nel 1912 sempre per i Balletti Russi di Sergej Djagilev. E sempre in Svizzera mise a punto quella che ancora oggi è la sua opera più originale (Histoire du soldat) dopo le prime tre composizioni per orchestra che lo hanno consacrato alla storia della musica: Oiseau de Feu (1911), Petruška (1912) e Le Sacre du Printemps (1913).
L’Histoire du soldat segna un forte cambiamento di rotta anche nella sua attività di compositore perché, come lui stesso racconta, è il suo primo lavoro concepito per un ridotto ensemble strumentale, realizzato nel periodo in cui Stravinskij viene a contatto con la musica jazz attraverso il rag-time. Questo capolavoro di theatre ambulant è ascoltabile anche in diverse versioni con il testo recitato in italiano, tra le quali spicca quella realizzata da Giancarlo Giannini. Rispondendo alla domanda “Quando le vengono più spesso le idee musicali” Stravinskij racconta a Craft una visione che ricorda molto il sogno narrato da Paul Mc Cartney a proposito di come nacque Yesterday:

“La musica a volte mi appare in sogno. Durante la composizione dell’Histoire du soldat sognai una melodia, le dieci note di violino in re minore che costituiscono uno dei motivi principali del pezzo, e l’indomani mattina fui in grado di scriverla. Anche la persona che la suonava era presente nel sogno, una giovane zingara seduta al margine della strada con un bimbo in grembo. La giovane usava tutto l’archetto per ogni nota, il che produce l’effetto chiamato «flautando». Il bimbo si divertiva, e applaudiva con le sue manine. Ero contento anch’io, e lo fui particolarmente di potermene ricordare e includerla nella musica del Piccolo concerto e del Tango”.

Anche l’idea originaria della Sagra della Primavera era nata da una visione, come racconta lo stesso Stravinskji:

“Avevo sognato una scena di un rito pagano in cui una vergine sacrificale danzava fino a morirne. Questa visione non si accompagnò a concrete idee musicali”.

Stravinskij stava ancora componendo l’Uccello di fuoco. Ma già nel 1911 lavora con Nikolaj Roerich alla sceneggiatura della Sagra della Primavera le cui idee tematiche affiorarono, quindi, a Ustilug, residenza estiva di Stravinkij e famiglia, ma che fu completata quasi tutta a Le Tilleuls, una pensione di Clarens in Svizzera. Sogni, visioni, ma anche tanti personaggi reali vediamo scorrere sullo schermo di questo libro: una galleria di vip, da Pёtr Il’ič Čajkovskij a Nikolaj Rimskij Korsakov (suo primo e principale maestro), e poi Claude Debussy, Maurice Ravel (“Certo egli fu l’unico musicista che comprese di primo acchito la Sagra della Primavera”), Pablo Picasso, Jean Cocteau, Erik Satie, i futuristi italiani (Giacomo Balla e Filippo Tommaso Marinetti), Gabriele D’Annunzio e Arnold Schönberg. A proposito di Schönberg, nel capitolo degli anni californiani (1949-1969) Stravinskij rievoca un ricordo berlinese del padre del metodo dodecafonico:

“Schönberg era piccolo di statura. Io sono alto un metro e cinquantanove e peso cinquantacinque chili. Queste misure erano esattamente le stesse cinquant’anni fa, ma ricordo che Schönberg era leggermente più basso di me. Ed era calvo con una ghirlanda di capelli neri intorno al bordo del suo cranio bianco, come la maschera di un attore giapponese. Aveva orecchie grandi e una voce morbida, profonda – non da basso, come la mia –, con un amabile accento viennese. Gli occhi erano sporgenti e focosi, e c’era dentro tutta a forza dell’uomo. Allora non sapevo quello che so adesso, ossia che nei tre anni precedenti il Pierrot, Schönberg aveva scritto Cinque pezzi per orchestra, Erwartung e Die glückliche Hand, un insieme di lavori che oggi noi riconosciamo come il centro dello sviluppo del nostro linguaggio musicale nel 1909-1910”.

Per rimanere nell’ambito dei grandi uomini di altezza (fisica) antitetica ai watussi, ecco come Stravinskij ci dipinge Debussy:

“Debussy era poco più alto di me, ma molto più pesante. Parlava voce bassa e con calma, e le sue frasi finivano in un mormorio quasi impercettibile; ed era meglio così, perché contenevano non di rado insidiose frecciate verbali. La prima volta che lo andai a trovare a casa sua, dopo l’Uccello di Fuoco, parlammo della musica vocale di Musorgskij e convenimmo che era la musica migliore di tutta la scuola russa. Debussy disse di aver scoperto Musorgskij in una pila di musiche intatte che giacevano sul pianoforte di Mie Von Meck. Non gli piace Rimskij che chiamava «un accademico spontaneo, la specie peggiore». All’epoca si interessava particolarmente all’arte giapponese, e non particolarmente, mi parve, ai nuovi sviluppi in campo musicale”.

Una di queste “frecciatine verbali” di Debussy è riportata sulla quarta di copertina:

“Di recente ho visto Stravinskij… Dice: il mio Uccello di fuoco, la mia Sagra, allo stesso modo in cui un bambino dice: la mia trottola, il mio cerchio. E non è altro che questo: un bambino viziato che stavolta mette le dita nel naso della musica. O un giovane selvaggio che porta cravatte chiassose e fa il baciamano alle signore mentre pesta i loro piedi. Da vecchio sarà insopportabile, o meglio, non sopporterà nessuna musica; ma per ora è straordinario!”.

Abbiamo riportato due passaggi su Schönberg e Debussy perché, a loro modo, fra i più grandi innovatori della musica contemporanea. Ma Stravinsky, che innovatore è stato soprattutto nella collaborazione con Djagilev, è per così dire un personaggio iconico, per usare un termine abusato oggidì. Fra le foto contenute nel volume, alcune sono memorabili: quella del 1925 che ritrae Stravinskij con Cocteau, Picasso e Olga Chochlova Picasso a Juan-Les-Pins, vicino ad Antibes (Costa Azzurra). E a fianco di questo ritratto, una foto del 1939 che vede insieme il compositore e Walt Disney, il primo che spiega al secondo alcuni passaggi nella partitura della Sagra della Primavera per Fantasia, il film animato di Disney nel quale vengono utilizzati alcuni dei più iconici brani della Sagra; fra questi il celeberrimo motivo basato sugli accordi martellati degli Àuguri della Primavera, con quell’ostinato ritmico di archi che spopola sul web, dove è possibile reperire  anche interessanti video sull’analisi armonica come quello di un giovane Roman Vlad che introduce al pianoforte La Sagra della Primavera.

Personaggio pop Stravinskij lo era già ai suoi tempi: fotografato, ma soprattutto disegnato; ricordiamo uno dei tre ritratti stravinskiani di Pablo Picasso: i più famosi sono quello con il monocolo, realizzato nello studio parigino di Picasso il 24 maggio 1920, e il terzo, quello di profilo con le braccia conserte, nello stesso luogo il 31 dicembre 1920. E non meno originale è la foto di Irving Penn (New York 1948), pubblicata sulla prima di copertina di questa nuova edizione di Ricordi e commenti che lo ritrae in piedi, con la mano sinistra vicino all’orecchio, nell’atto di ascoltare qualcosa. La collaborazione con i Balletti russi di Djagilev è la culla formativa del mito stravinskiano. Ma alla popolarità della sua musica hanno anche contribuito prima il cinema di animazione (si pensi non solo a Fantasia di Walt Disney, 1940, ma anche ad Allegro non troppo, 1977, di Bruno Bozzetto), e poi oggi il web dove non è difficile trovare tutorial anche interessanti e seri sulla sua vita e soprattutto sulla sua tecnica di composizione. Popolarità legata a tre opere influenti per la musica del Novecento (L’Uccello di fuoco, Petruška e La Sagra della primavera), che rischiano di offuscare con la loro potenza evocativa – intatta ancora oggi – altre sue composizioni. Per esempio, i Salmi (1930), Messa (1948), Cantata (1952), Canticum Sacrum (1955) e Threni (1958) “sono senza dubbio i maggiori contributi alla musica sacra del XX secolo” come precisa Robert Craft. E uno dei meriti di Ricordi e commenti è quello di fornire una visione a 360° di tutta la musica di Stravinskij. Senza annoiare, coinvolgendo tutti, compresi coloro che non sono intimi di Tersicore e Apollo, che era anche il dio della musica: Apollon musagète è infatti il titolo di una delle opere del periodo neoclassico di Stravinskij:

“Nell’Apollon cercai di scoprire un melodismo esente da folklore. La scelta di un altro soggetto classico era naturale dopo Oedipus Rex, ma Apollo e le Muse mi suggerirono non tanto una trama quanto una sigla, o quella che ho già chiamato una maniera. Le Muse non istruiscono Apollo, che essendo un dio è maestro di suo; gli mostrano le loro arti perché le approvi. Il successo dell’Apollon va attribuito alla danza di Serge Lifar e alla bellezza delle coreografie di Balanchine”.

Dal sinfonismo ancora classico di Feu d’artifice e Scherzo fantastique, al sabba ritmico e orchestrale del Sacre du Printemps, dalle peripezie dello sfortunato Petruška all’Apollo e ai Salmi: Stravinskij, come Picasso nel campo della pittura e del disegno, ha attraversato molte fasi o maniere, in apparenza lontane fra loro. Sempre alla ricerca di nuovi orizzonti e linguaggi, non di mode effimere e commerciali. Benvenuta dunque questa riedizione che intreccia storia della musica e biografia di un genio.

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