Il tempo è denaro. Così recita un noto adagio che, nella sua semplicità, riassume efficacemente un complesso aspetto della società in cui viviamo e su cui si sono concentrati alcuni dei più importanti pensatori moderni, da Karl Marx a György Lukács, da Walter Benjamin a Guy Debord.
Se i primi due hanno discusso la relazione tra tempo e capitalismo riferendosi perlopiù alla sfera produttiva e lavorativa, i secondi la hanno proficuamente estesa agli ambiti del consumo e della quotidianità, illustrando come anche il tempo (cosiddetto) libero sia funzionale all’estrazione di valore e alla riproduzione del sistema sociale.
Tuttavia il mondo è in continuo mutamento e il capitalismo attuale non è più quello di Marx, Lukàcs, Benjamin o Debord. Certo, le nostre vite lavorative sono ancora soggette allo sfruttamento e alla reificazione, i passages e le case di sogno della collettività restano al centro delle nostre città mentre lavatrici e televisori la fanno ancora da padrone nelle nostre case, ma negli ultimi decenni si sono stratificate ed intrecciate un gran numero di innovazioni che hanno profondamente trasformato la nostra vita sociale, portando qualcuno a parlare, già dall’inizio degli anni Novanta, di un iper-capitalismo caratterizzato da almeno due nuovi macro-processi: una finanziarizzazione sregolata dell’economia e una cavalcante digitalizzazione delle relazioni sociali.
È in particolare quest’ultimo processo di virtualizzazione ad essersi ammantato di una retorica incentrata sulla marginalizzazione della contingenza spazio-temporale (cfr. Pellegrino, 2018) e sulla implicita promessa di un mondo più libero di cui, tuttavia, non sembra ancora esservi traccia. La sfida, pertanto, sta nel decifrare questo mondo nuovo e le sue promesse di emancipazione attraverso gli occhiali lasciatici in eredità dai pensatori di un passato che ciclicamente si ripropone sotto nuove vesti.
Un’analisi puntuale sull’esproprio del tempo
L’ultimo lavoro di Davide Mazzocco, Cronofagia – Come il capitalismo depreda il nostro tempo, pubblicato da D Editore per la collana Nextopie, prova a farsi carico di questa sfida, raccogliendo, discutendo e integrando le prospettive, più o meno recenti, di diversi autori sui modi con cui il tempo della vita è consegnato al capitale.
Il testo, articolato in dodici capitoli, è caratterizzato da uno stile semplice e lineare ma nondimeno efficace nello sviscerare questioni complesse, spesso trattate da altri studiosi in maniera più formale e tuttavia meno lucida. La lettura è dunque agevole, anche grazie ai numerosissimi riferimenti che accompagnano il lettore in un viaggio nella sua quotidianità fatta di social network e lavori ombra (cfr. Lambert, 2015), trasmettendogli la sensazione di sfogliare un libro che lo riguarda da vicino.
Nello specifico, tra le questioni più efficacemente ricostruite in Cronofagia spicca innanzitutto la colonizzazione della notte, il cui tempo, che dovrebbe naturalmente essere impiegato per dormire, è sempre più dedicato, per chi può permetterselo, al consumo di serie televisive e altri intrattenimenti progettati per inchiodare lo spettatore al divano oppure, per chi è ancor meno fortunato, a lavori notturni malpagati e socialmente non necessari.
Mazzocco passa successivamente in rassegna un gran numero di attività quotidiane che, nel nome del tecno-ottimismo e del soluzionismo tecnologico (cfr. Morozov, 2014), avrebbero dovuto liberarci da scartoffie, attese e lungaggini burocratiche ma sono finite col diventare veri e propri lavori scaricati sul consumatore-cittadino-contribuente: dall’home banking alle autocertificazioni online, la digitalizzazione rende alcune pratiche ancor più lunghe e macchinose, ponendo nuovi problemi, spesso dovuti all’incapacità di “ampie fasce della popolazione (…) a riconvertirsi alle logiche dei sistemi digitali”. Il lavoro ombra a cui l’autore dedica maggior spazio nei capitoli centrali, tuttavia, è rappresentato dall’utilizzo dei social network che continua a essere percepito dalla maggioranza come un passatempo innocuo se non addirittura come un ottimo modo per informarsi.
In realtà, come sottolinea l’autore attraverso molti aneddoti e riferimenti bibliografici, i dati personali che concediamo e produciamo per i social media rappresentano ormai un vero e proprio fattore produttivo per aziende sempre più interessate alla profilazione dell’utente-cliente: una vera manna per il marketing. L’architettura delle piattaforme digitali, di conseguenza, è disegnata per tenere gli utenti recintati al loro interno quanto più a lungo possibile mentre, al contrario, la realtà fisica e i suoi spazi sono sempre più progettati per ottimizzare i tempi morti trasformandoli in momenti di lavoro o di consumo.
Nella seconda parte, dopo aver discusso come la gentrificazione e i diversi non-luoghi siano accomunati da uno stesso non-tempo, Mazzocco ci racconta fino a che punto la tecnologia riesca a dominare l’incombenza della morte: se è vero che l’ibernazione e la crioconservazione sono realtà sempre più vicine, lo sono anche i relativi scenari distopici, perché:
“possedere la fine del mondo (…) resta una scommessa fideistica e pseudoreligiosa che non tutti possono permettersi, un campo finora poco esplorato nel quale praticare l’ineguaglianza sociale”.
Il libro si conclude passando in rassegna alcune contro-tendenze alla cronofagia ipercapitalista: dalla regolamentazione politica degli orari commerciali alla diffusione di repair cafè in cui rimediare all’obsolescenza programmata, passando per le diverse confessioni di pentimento e redenzione che trapelano dalle parole di molti guru tecno-ottimistici, Mazzocco illustra come stiano emergendo delle isole di lentezza in cui certi gruppi sociali provano a riappropriarsi del proprio tempo e della propria vita.
Cronofagia è dunque un testo che riesce nel difficile compito di dare una visione di insieme a un gran numero di processi sociali attualmente in corso, accomunati dal prosciugamento del tempo e dal suo sversamento nelle sfere del lavoro e del consumo. Aggiungere qualcosa di significativo a un lavoro che chiude il proprio cerchio non è necessario, ma forse nemmeno superfluo. A fornire uno spunto aggiuntivo sulla questione della cronofagia è la sigla di apertura di un docu-reality targato MTV e dedicato alla vita di alcuni baby-milionari, che recita: “possono permettersi di tutto, e lo fanno. L’unica povertà che si concedono è la mancanza di tempo”. Lo show, in effetti, mostra come la vita di questi giovani iper-agiati sia caratterizzata da consumi lussuosi che scandiscono freneticamente il ritmo delle loro giornate, nelle quali effettivamente non c’è spazio per qualcosa che non sia già programmato.
Poveri, ma indaffarati come lo sono i ricchi
Eppure, come ampiamente dimostrato da Mazzocco, anche le classi meno abbienti sono oramai costantemente assorbite in ambienti fisici o virtuali che risucchiano il loro tempo a suon di lavoro o consumo. Quando la cronofagia ipercapitalista attacca le masse, quindi, si verifica un apparente livellamento tra i vertici e la base della società in cui quest’ultima, privata del suo tempo in maniera simile alla ricca borghesia, si illude di esser tale. Come scrive Silvio Lorusso nel suo Entreprecariat, infatti,
“l’indaffaratezza non è più soltanto un imperativo morale (…) bensì è anche uno status symbol, una forma di posizionamento economico che è il rovescio dell’agiatezza tradizionale di Veblen: oggi essere benestanti non vuol dire avere più tempo libero, bensì essere maggiormente oberati” (Lorusso, 2018).
La totalizzazione del tempo nelle sfere del lavoro e del consumo, quindi, rende i ricchi poveri di tempo e i poveri ricchi di illusioni. Per liberarsi dalla cronofagia, forse, occorre tener presente anche questo.
- Craig Lambert, Shadow work: the unpaid, unseen jobs that fill your day, Counterpoint, Berkeley, 2015.
- Silvio Lorusso, Entreprecariat. Siamo tutti imprenditori. Nessuno è al sicuro, Krisis Publishing, Brescia, 2018.
- Evgeny Morozov, Internet non salverà il mondo: perché non dobbiamo credere a chi pensa che la rete possa risolvere ogni problema, Mondadori, Milano, 2014.
- Giuseppina Pellegrino, Digitale, im-materiale, mobile, ubiquo: ri-situare la realtà della vita quotidiana, in S. Floriani, P. Rebughini (a cura di), Sociologia e vita quotidiana. Sulla costruzione della contemporaneià, Orthotes, Napoli-Salerno, 2018.