Nel 1995, presso l’Università di Buenos Aires, Ricardo Piglia tiene un seminario sull’opera di Juan Carlos Onetti, unanimemente riconosciuto come uno dei maggiori autori della letteratura rioplatense del prospero Novecento. Oggetto del seminario: la forma letteraria della nouvelle e le specifiche caratteristiche che assume nell’opera dello scrittore uruguaiano. Nel 2016, in occasione dell’invio all’Università di Princeton dell’archivio di Piglia, vengono ritrovate le registrazioni del seminario di Buenos Aires, di cui lo stesso Piglia richiede la trascrizione, lavorando poi alla revisione del testo durante gli ultimi suoi mesi di vita, funestati dalla sla. Nel 2019, due anni dopo la morte dell’autore e critico argentino, la casa editrice portegna Eterna Cadencia pubblica le trascrizioni sotto il titolo di Teoría de la prosa, libro di critica letteraria pura che dovrebbe suscitare estremo interesse non solo in coloro che leggono, studiano o amano Onetti, ma anche in coloro che intendano indagare il ruolo giocato dalla forma nella costruzione generale di un’opera letteraria. Infine, nel 2021, il libro viene tradotto e pubblicato qui in Italia come Teoria della prosa: ci ha pensato Wojtek, giovane editrice di Pomigliano d’Arco, Napoli, che proprio con questo testo ha deciso di inaugurare la sua nuova collana di saggistica di argomento letterario, programmaticamente intitolata Ostranenie, termine russo che sta per “straniamento” (collana a cui si accompagnano e si accompagneranno gustosi podcast nell’omonima radio web). Alla base delle nove lezioni (più un Epilogo) del seminario, dichiaratamente ispirato al formalismo russo (in particolare all’antologia di saggi letterari dal medesimo titolo pubblicata nel 1925 da Viktor Šklovskij), c’è in prima battuta una solida considerazione, ovvero che, per un autore, “scegliere una forma non è mai innocente”. Tale considerazione precede una secca domanda, a questionare sull’oggetto del seminario: cos’è, allora, la forma nouvelle?
La nouvelle, sostiene Piglia, è un testo letterario dal numero non troppo consistente di pagine che si situa a metà strada tra il racconto e il romanzo, e fin qui niente di nuovo. È, inoltre, un testo narrativo che, pur non occupando lo spazio di un romanzo, dunque non avendone la “dignità” editoriale, a differenza del racconto rivendica la sua indipendenza da altri testi consimili e vuole dunque essere pubblicato da solo, senza subire sacrifici all’interno di una raccolta. Tuttavia, poste tali premesse, non è in questioni di ordine meramente quantitativo o editoriale che la faccenda va letta, proprio perché detta faccenda non è, appunto, “innocente”. E allora, che qualità determinano davvero la nouvelle? Cosa la caratterizza al di là di quanto sopra accennato? Secondo Piglia, e qui si entra nel cuore della discussione, la nouvelle si definisce per una serie di caratteristiche regole di costruzione formale che presuppongono prima di tutto la presenza di certi ruoli o funzioni.
Nel caso delle nouvelle di Onetti prese in considerazione nel seminario di Buenos Aires (Il pozzo, Il volto della disgrazia, Gli addii, Per una tomba senza nome, Triste come lei, La muerte y la niña e Cuando entonces, le ultime due ancora inedite in Italia), la funzione o il ruolo principale sembra essere giocato dall’assenza, dalla sottrazione, dall’omissione, dal vuoto, dal segreto. Senza il segreto, suggerisce Piglia, non ci sarebbe la nouvelle (e non solo quella di Onetti). Proprio in tal senso, prendendo le mosse da Šklovskij e da Gilles Deleuze, lo scrittore argentino afferma:
“La nouvelle è in relazione con un segreto, con una forma che rimane impenetrabile e non prende in considerazione né la sua materia né il suo contenuto. Sarebbe a dire che la nouvelle è un tipo di narrazione in cui ciò che conta è l’esistenza del segreto in sé e il fatto che esista uno spazio vuoto, qualcosa di oscuro […]. Nella nouvelle agisce un segreto; non è necessario che nella narrazione si sia a conoscenza di quel segreto, ciò che importa è la forma del segreto, il tipo di sottrazione dell’informazione che presuppone l’esistenza di uno spazio vuoto […] che potremmo chiamare il non narrato”.
Ci troviamo, è chiaro, sul campo umbratile e vertiginoso dell’ellissi, un campo che si dispiega in silenzio, taciuto, tracciando fenditure inapparenti che determinano tanto la forma in sé, presa in termini assoluti, quanto i singoli esemplari di nouvelle che si vanno scrivendo. Si tratta di un campo, questo dell’ellissi, che invero risulta già comunemente calcato da buona parte della narrativa ispanoamericana di tutto il Novecento, di per sé avvezza a praticare il genere familiare del poliziesco e quello del fantastico (che sull’ellissi letterariamente vivono, seppure in diverse modalità) e a dover fare i conti con l’indice delle varie dittature che hanno affollato la recente storia politica del contesto continentale. E non a caso, sottolinea Piglia, tanto il fantastico quanto il poliziesco sono rintracciabili in veste di modello nella narrativa di Onetti. Tuttavia nella nouvelle di Onetti l’ellissi non serve per azionare i dispositivi del fantastico o del poliziesco, né per mascherare la denuncia o per reagire alla dittatura, non sembra insomma provenire da esigenze politiche o da intenti sociali a loro modo sovversivi. Piuttosto, si può forse dire che l’ellissi non proviene da alcuna esigenza esterna, bensì precede la narrazione, e in un certo senso la racchiude, perché le fa da cornice. In altri termini, l’ellissi della nouvelle, l’ellissi della nouvelle di Onetti, è insita nella specifica forma di narrazione, non nell’oggetto narrato, le è consustanziale, e non va considerata come una semplice strategia narrativa o un punto a cui tendere, ovvero un obiettivo, non importa se dell’autore del testo o di un suo personaggio.
Ricardo Piglia (Adrogué, 1941 – Buenos Aires, 2017).
Scaturendo dal segreto che sta al centro della forma nouvelle, e attorno a essa, l’ellissi ne rende infatti la misura: allora più il segreto è grande, in una nouvelle, meno se ne deve parlare. Come fa allora il lettore ad accorgersi di questo segreto così importante se nel narrato non se ne parla? Come lo si percepisce? In Onetti, seguendo Piglia, la percezione del segreto può avvenire per esempio in virtù dello svelamento di una complessa opera di spazializzazione. Nel caso, il segreto può al bisogno essere identificato in un preciso luogo del narrato connotato d’ombra: è quello che accade ne L’album (in Triste come lei, Onetti, 2017) o ne Gli addii (Onetti, 2021). Qui, infatti, detto segreto è racchiuso proprio in uno specifico spazio fisico: rispettivamente un baule e una casa, luoghi che nella narrazione esistono e compaiono fugaci o in maniera marginale, solo dall’esterno, vengono brevemente nominati, senza mai essere esplicitamente tematizzati per il loro essere segreti. Luoghi, in sostanza, che non vengono mai aperti né svelati ma che sono lì, in un angolo, irradiando con la propria influenza tutto l’impianto narrativo e ponendosi dunque come punto di fuoco dal quale si aprono diverse possibili prospettive all’interno della narrazione.
È infatti proprio in questi luoghi che è racchiuso qualcosa che, se svelato, darebbe una direzione unica alla narrazione, suggerendoci come metterne insieme i pezzi. Qualcosa che, intervenendo nella trama delle nouvelle, ne moltiplica le possibilità di evoluzione. Ed è esattamente in questo momento che come lettori entriamo a pieno titolo nel gioco letterario. Perché è per il tramite di questo vuoto narrativo talvolta spazializzato, come una porta davanti alla quale si passa senza tuttavia azionare la maniglia, che la storia narrata diventa le storie: in questo senso, l’esistenza del segreto nella nouvelle palesa appunto l’esistenza di più di una storia, di “storie multiple”, come dice Piglia, tra loro anche contraddittorie, all’interno del medesimo testo. Questo fatto, a sua volta, implica naturalmente la necessità di mettere luce sul rapporto che intercorre tra la realtà e la finzione, una necessità a cui da lettori si può dare soddisfazione problematizzando tra le altre cose l’onestà del narratore della stessa nouvelle, la veridicità di quanto questi afferma e vive: dal momento che non sappiamo se egli abbia o meno aperto quella porta, dobbiamo credere a ciò che racconta e a come lo racconta? E quando dobbiamo farlo? Quali delle cose che dice dobbiamo selezionare per definire e seguire quale storia?
Juan Carlos Onetti (Montevideo, 1909 – Madrid, 1994).
Un bel problema, o forse meglio un prezioso divertimento (per quanto in Onetti, generalmente, non si è allegri né si ride, va da sé). Ecco che la forma, ancora una volta, non è più soltanto forma. La verità è che, come lettori, quando nella nouvelle scopriamo l’esistenza di questo spazio e del vuoto che esso rappresenta, “ci troviamo nella tensione tra quello che si sa e quello che si dice. [Dunque] non possiamo confidare nel narratore”. Per questo motivo, il narratore della nouvelle onettiana va preso con il dovuto sospetto: appare infatti egli stesso scisso, molteplice, come le storie che racconta, perché, anche se non ne abbiamo certezza, nulla ci fa mai concretamente concludere che egli stia proditoriamente mentendo o spingendoci verso la confusione (al contrario ci troveremmo probabilmente nel contesto del romanzo poliziesco, che ci sia o meno un delitto a muovere la narrazione). In questo senso:
“Onetti porta al limite estremo l’autonomia del narratore e si basa su un patto con il lettore fondato sull’incertezza e sullo scetticismo: il narratore è il primo ad avere dubbi sulla veridicità della storia”.
Il narratore delle nouvelle di Onetti, in sostanza, partecipa di quel vuoto con cui abbiamo cominciato, non desidera crearlo, ed è forse da lì che proviene. È consustanziale a quel vuoto, e le sue parole lo testimoniano, il suo modo di raccontare lo testimonia, disseminando per esempio il narrato di falsi indizi, o indugiando in incerte descrizioni che frenano l’azione, o ancora lasciandosi andare in contraddizioni, consapevoli o meno non importa. Dunque, probabilmente, la lezione principale di Teoria della prosa è questa: nella nouvelle il ruolo definitivo che normalmente sembra spettare al narratore, la forza di definizione della storia (delle storie), deve ricadere su spalle diverse: appunto quelle del lettore. La responsabilità finale è sua: “sembra che Onetti” suggerisce Piglia “scommetta sul fatto che sia il lettore a rendere stabile la narrazione”. Nello spazio della narrazione e nello svelamento impossibile di quel segreto, la posizione di chi legge è la chiave dell’equilibrio tra le storie che fanno la storia, la chiave per aprire la porta e per colmare il vuoto. È una posizione decisamente attiva, per quanto calata nella consapevolezza, allo stesso tempo disarmante e stuzzichevole, che “un segreto è una storia che non ha fine”.
- Radio Ostranenie, Podcast, Wojtek Edizioni.
- Juan Carlos Onetti, Gli addii, Sur, Roma, 2021.
- Juan Carlos Onetti, Triste come lei, Sur, Roma, 2017.