Uno stormo di lettere di colore bianco su fondo nero danza come materia instabile, componendo e disfacendo i titoli di testa, che l’oscurità totale inghiotte per un istante. Si fa poi luce sull’universo che ha preso forma e la vista ne è subito accecata. Non occorre più di un attimo a Renaissance per proiettarci repentinamente in un mondo differente, abbacinante in virtù dei suoi bianchi e neri pienissimi. Vi si accede tramite un tunnel illuminato lungo le volte che sembra scavato in una tenebra assoluta. È percorso a rapidi passi da una figura maschile che impugna un revolver…
All’incrocio tra la fantascienza più ortodossa e il thriller più classico, prende forma in questo modo Renaissance di Christian Volckman, lungometraggio uscito nel 2006 e apparso in Italia solo in occasione della prima edizione di Cinema, Festa Internazionale di Roma nella sezione Extra. Ora viene distribuito da CG Entertainment e Minerva Pictures: giustizia è fatta, specie per la risoluzione del formato blu ray, che rende appieno la radicale scelta cromatica adottata. Far sì che i due generi si incontrassero è costato un decennio di lavoro, dal momento che il film è stato girato interamente ricorrendo alla Motion Captures. Una tecnica di animazione digitale, in breve, che rende animati e realistici personaggi virtuali grazie all’elaborazione dei movimenti reali di attori in carne e ossa che indossano dei sensori di movimento, come nel celebre caso di Gollum ne Il Signore degli Anelli (Peter Jackson, 2001-2003).
Nel caso di Renaissance è però inevitabile pensare a Sin City (Robert Rodriguez, 2005), rimando diretto e illustre precedente (ma certe movenze sospingono i rimandi fino al Tron del 1982), con il quale condivide oltre all’esprit noir e l’indubbia parentela con il fumetto, anche la scelta del rigoroso B/N (in questo caso con l’eccezione di due sole inquadrature di un disegno di pochi secondi), anche se qui espresso in forma ancor più radicale, perché questo è un film dove è l’ombra a essere in primo piano, mentre corpi e oggetti ne sono il riflesso, che simula il cinema d’animazione, che omaggia il fumetto, che si affida a una formula narrativa collaudata, ma che si offre anche come cinema di pura visione.
Siamo a Parigi nel 2054 e la metropoli si impone da subito come co-protagonista, un po’ come capitava alla New York di Erik Bilal in Immortal Ad Vitam (2004): scenari avveniristici, a tratti steampunk, architettura mozzafiato dove abbonda il vetro, riecheggiando la Glassarchietettur di Paul Scheerbart (1914) e le grandi esposizioni londinesi del XIX secolo, sotterranei e tunnel senza tempo che rievocano la Metropolis (1927) di Fritz Lang, i monumenti/icona Tour Eiffel, la basilica del Sacro Cuore e la cattedrale Notre-Dame (seppur trasformata in grande magazzino), ancora testimoni identitari della città. Un paesaggio sotto sorveglianza e attraversato da messaggi pubblicitari (Blade Runner docet), quelli della onnipresente Avalon, multinazionale farmaceutica che sembra non avere avversari e concorrenti in questo mondo.
L’ispettore di polizia Karas è il protagonista, un discendente della lunga stirpe degli anti eroi che popolano le storie noir. È un episodio della sua infanzia quello al quale si è assistito nella prima sequenza sopra accennata. Karas viene ingaggiato dalla Avalon per ritrovare la giovane Ilona Tasuiev, la numero uno tra i cervelli che lavorano nella multinazionale. L’indagine lo conduce presto a imbattersi in Bislane, sorella di Ilona. Ne nasce una controversa relazione. Nel corso degli eventi lo spettatore si imbatte presto, a sua volta, in misteriosi uomini invisibili che paiono controllare non solo Karas ma anche vari testimoni che finiscono malamente. Fin qui il tech-noir, ma quando il vero oggetto del contendere si rivela essere una formula per l’immortalità, la fantascienza prende decisamente il sopravvento. Il tema è assai caro al genere, coevo al suo farsi, forse per via delle sue origini come letteratura adolescenziale, che al centro delle sue fantasie pone sicuramente la vita eterna.
La fantascienza, qui solo per stare al versante letterario, torna ripetutamente sulla questione, sui gadget tecnologici che la rendono possibile e sulle ricadute di ordine etico e morale, dal lontano (1812) Frankenstein al John Carter di Marte un secolo dopo, dai fabbricanti di universi farmeriani (1965-1993) ai più dotti immortali di Roger Zelazny, passando per le classiche varianti di Alfred van Vogt e Robert Heinlein.
Renaissance non fa eccezione, anzi si ancora saldamente alla tradizione. Posto di fronte a un bivio manicheo, Karas dovrà decidere in una frazione di secondo quale direzione prendere, assumendosi il peso anche esistenziale della scelta. Prima di giungere al suo epilogo, l’indagine non tralascia nessun cliché d’ordinanza, soprattutto gli inseguimenti, tra cui uno spettacolare in macchina, alcuni delitti efferati, nonché i traffici ai limiti del lecito di Karas con la malavita. Su tutto, impera, come si è detto, il dominio cromatico del bianco e del nero, che pure riesce a rendere qualsiasi sfumatura. Un bicolore, che attraversa tutto e tutti, come il bene e il male, che è poi in fondo la morale della storia.