Perché, si chiedeva Antonio Gramsci nei suoi Quaderni dal carcere, non è nata in Italia una “divulgazione scientifica come in Francia e negli altri paesi?”. Perché “non sorgono in Italia degli scrittori come il Flammarion?” (Gramsci, 2014). La domanda risale a quasi cent’anni fa, e da allora si è cercato di smentire il mito degli intellettuali non interessati alla scienza, così come quello – caro a Gramsci – di una “classe colta” del tutto incapace di produrre opere “popolari”, in grado di dialogare con il volgo, come il concetto stesso di divulgazione suggerisce. Negli anni immediatamente successivi all’Unità aveva avuto successo una collana, La Scienza del Popolo, che raccoglieva testi di conferenze degli scienziati più popolari; c’erano stati libri pensati per il grande pubblico come quelli del matematico Francesco Brioschi e dell’antropologo Paolo Mantegazza (cfr. Govoni, 2011); più avanti, nel 1931, Bemporad lanciò una “Piccola biblioteca di divulgazione scientifica”, che pubblicava autori italiani e in traduzione, mentre nel 1935 Ulrico Hoepli fondava la prima rivista di divulgazione, Sapere, ancora oggi attiva. Ma, a dispetto di questi risultati, la domanda di Gramsci tradiva una sensazione diffusa, quella di un paese dove alla forte attenzione – comune ad altri paesi europei – verso la scienza da parte del popolo non faceva seguito un analogo impegno dell’élite culturale nel portare questi temi alla portata di tutti. Ben noto lo sprezzo con cui Benedetto Croce liquidava le materie scientifiche come oggetto d’interesse di “ingegni minuti”, gettando una pesante ipoteca su ogni tentativo di dialogo tra le “due culture”.
Il mezzo cinematografico prima e televisivo poi avevano rappresentato fin dall’inizio importanti ambiti di sperimentazione anche in Italia. Per esempio un documentario di divulgazione scientifica, La nevropatologia, il primo di questo tipo in Italia, proiettato nelle sale nel 1908, aveva attirato stando alle cronache una “folla di piccoli borghesi, di operai e di bambini” (De Bellis, 2022). La vita delle farfalle, un documentario muto di circa dieci minuti, fu premiato nel 1911 all’Esposizione dell’Industria e del Lavoro di Torino. Si trattava, però, di prodotti che avevano in comune con i testi di divulgazione tipicamente italiani pubblicati allora il limite di essere pensati in primo luogo come strumenti didattici, per studenti universitari e specializzandi, come i celebri manuali Hoepli. La distinzione tra didattica della scienza e divulgazione scientifica, ben radicata in Inghilterra o in Francia, è stata a lungo sconosciuta in Italia.
Un primo esperimento della Rai, nel 1966, con Almanacco di storia, scienza e varia umanità, portò finalmente la scienza anche sul piccolo schermo, all’interno di un più ampio contenitore di divulgazione culturale. Si trattava di un’iniziativa nel solco di celeberrimi programmi come Non è mai troppo tardi e Telescuola, con cui la Rai sfruttò il suo ruolo da protagonista indiscussa della vita quotidiana degli italiani per contribuire ad alzare i tassi di alfabetizzazione e di scolarizzazione (cfr. Chiarbonello, 2006). Non bisogna dimenticare tutto questo pregresso quando ci si confronta con la straordinaria rivoluzione rappresentata da Piero Angela. Giornalista Rai, conduttore del telegiornale, Angela si era imbattuto nella scienza quasi per caso, dopo essere stato a lungo corrispondente dall’estero, cultore e praticante del jazz. Era accaduto quando, nei giorni indimenticabili dell’Apollo 11, era stato mandato negli Stati Uniti per seguire l’allunaggio. I nomi televisivi associati a quell’impresa in Italia sono quelli degli storici “telecronisti” dell’allunaggio, Tito Stagno da Roma e Ruggero Orlando da Houston; ma alla loro ombra Piero Angela si occupava degli aspetti meno spettacolari, più tecnici, andando a intervistare i progettisti del razzo Saturn, i responsabili dei programmi di volo, i fisici e gli ingegneri che stavano rendendo possibile il più grande sogno dell’Uomo. Fu un’epifania: il contatto con la spettacolarizzazione della scienza tipicamente americana – in seguito gli esperti avrebbero parlato di mediatizzazione della scienza – suggerì ad Angela la possibilità di sfruttare l’enorme popolarità di certi temi per proporre al pubblico italiano “qualcosa di completamente diverso”, non più – o meglio, non solo – in funzione educativa e didattica, ma di vera e propria popolarizzazione, con lo scopo di appassionare il grande pubblico all’impresa scientifica. Fu su questa scia che nacquero trasmissioni di successo, come Destinazione uomo (1971) o Dove va il mondo? (1973), in grado di portare nelle case degli italiani i principali dibattiti della comunità scientifica.
In Dove va il mondo? (a cui avrebbe fatto seguito tre anni dopo Nel buio degli anni luce) Piero Angela partiva dalla controversa pubblicazione I limiti dello sviluppo, realizzata dal MIT su iniziativa del Club di Roma, per esplorare il futuro del pianeta e le prime conseguenze dello sviluppo industriale sull’ambiente. Si trattava di un primo esperimento in cui la divulgazione della scienza non era solo fine a sé stessa, ma funzionale ad aprire un dibattito nella società sulle sue implicazioni e sui suoi risvolti politici. La trasmissione servì a garantire enorme popolarità a uno studio che altrimenti sarebbe rimasto confinato nelle università, favorendo l’emergere di una coscienza pubblica intorno al tema dello sviluppo sostenibile e del futuro. Concetto, quest’ultimo, che fin dall’inizio della sua carriera di divulgatore rappresentò per Piero Angela una stella polare: si trattava di favorire l’apertura dell’Italia al futuro, in modo analogo a quanto la divulgazione scientifica in America era riuscita a fare colmando il divario creatosi nel 1957 con il lancio dello Sputnik sovietico grazie alla formazione di una generazione di giovani scienziati e ingegneri che trasformarono il programma Apollo in realtà. Una convinzione che gli era nata proprio durante il suo lavoro di corrispondente da Houston e Cape Canaveral, quando aveva scoperto che il direttore capo del programma Apollo era un oriundo italiano, Rocco Petrone, nato in provincia di Potenza da contadini semianalfabeti che si erano trasferiti negli Stati Uniti quando Petrone aveva tre anni. Ciò gli aveva assicurato l’accesso a una scolarizzazione di alto livello grazie alla quale aveva potuto diventare ingegnere aerospaziale e protagonista di una delle più grandi imprese tecnologiche della storia. Piero Angela amava portare quell’esempio a dimostrazione di come una buona cultura scientifica potesse incentivare il progresso sociale, dolendosi del fatto che in Italia storie del genere accadono raramente. Era una visione, la sua, fortemente tecno-ottimista: a un radicale scetticismo nei confronti della politica affiancava invece una solida fiducia nel ruolo che il progresso tecnico-scientifico può assumere nel promuovere lo sviluppo umano:
“Sono le scoperte della scienza e le invenzioni della tecnologia a produrre la ricchezza. Basta guardare ciò che è successo nell’ultimo secolo per rendersene conto: se per esempio eliminassimo di colpo i dispositivi elettronici, la produzione diminuirebbe drasticamente e moltissimi servizi scomparirebbero. Le lotte politiche e sindacali hanno solo distribuito ciò che già c’era, non l’hanno creata”
(Angela, 1998).
La scelta di impegnarsi a tempo pieno nella divulgazione della scienza nasceva esattamente da questo ragionamento. C’era un gap relativo all’assenza di cultura scientifica nella società italiana che uno strumento di enorme influenza come la televisione poteva sperare di colmare: non si trattava tanto di mettersi a fare didattica, a insegnare alla gente a contare o a distinguere un pianeta da un altro, ma di stimolare il pubblico ad apprezzare la scienza, instillare la fascinazione per le grandi e piccole scoperte scientifiche e spingere così i più giovani a impegnarsi in quelle materie. Quark, nata nel 1981, aveva esattamente questo obiettivo e seguiva il successo di altre trasmissioni che nel frattempo Angela aveva messo su, spaziando dal cervello umano alla pedagogia fino alla ricerca di vita extraterrestre. Il modello restava quello americano: da un lato le opere divulgative di Isaac Asimov, dall’altro il format televisivo sperimentato con enorme successo da Carl Sagan con Cosmos. Da Asimov, in particolare, Angela aveva tratto Nel cosmo alla ricerca della vita (1980), che per la prima volta sperimentava l’escamotage narrativo di una navicella ricostruita in studio con cui spostarsi per andare a esplorare pianeti e mondi lontani: l’ispirazione era Civiltà extraterrestri, libro pubblicato l’anno primo in cui Asimov si cimentava in un celebre calcolo sul numero possibile di civiltà intelligenti nell’universo ripreso alla lettera da Angela nella serie.
Ma l’ispirazione asimoviana restava evidente anche nella serie La macchina meravigliosa (1990), dove lo stesso conduttore nelle vesti di “inviato speciale” si muoveva all’interno del flusso sanguigno, del cuore o del cervello per mostrare il funzionamento del corpo umano, sul modello del film Viaggio allucinante (1966) di cui proprio Asimov aveva scritto la novelization, per poi pubblicarne un seguito nel 1987 con il titolo Destinazione cervello. Da Carl Sagan Angela riprese invece lo stesso Cosmos, le cui puntate furono trasmesse all’interno di Il mondo di Quark nel 1985, così come il giusto per la scienza come mezzo per promuovere un’etica globale.
Il successo di Cosmos stimolò la Rai a osare con format più ambiziosi, come mostrò sia La macchina meravigliosa sia – soprattutto – Il pianeta dei dinosauri, la trasmissione andata in onda nel 1993 che per dispiego di mezzi e successo di pubblico adombrò ogni altra realizzata da Angela. L’idea fu quella di sfruttare l’enorme popolarità di Jurassic Park, uscito quell’anno, per affrontare la storia della Terra preistorica attraverso ricostruzioni animatroniche ed effetti speciali con cui dare l’impressione che il conduttore, anziché essere nel suo studio come sempre, fosse davvero un inviato dalla preistoria, senza lesinare in trovate narrative per offrire il brivido dell’avventura. Dalla trasmissione, che vedeva anche per la prima volta il figlio Alberto nelle vesti di inviato, venne tratto anche un libro scritto a quattro mani da padre e figlio, La straordinaria storia della vita sulla terra: forse il più brillante testo di divulgazione scritto da Angela, che ricorda lo stile del grande divulgatore inglese David Attenborough. Proprio i grandi documentari naturalisti di Attenborough, che hanno fatto la storia della divulgazione scientifica della BBC, hanno rappresentato l’ispirazione per il tradizionale grande documentario d’apertura di ogni puntata del più celebre format di Piero Angela, SuperQuark.
La Rai aveva già sperimentato il successo di programmi naturalistici con Nel regno degli animali, condotto a partire dal 1992 da Giorgio Celli su Rai3. I documentari sulla vita degli animali trasmessi da Quark e SuperQuark, commentati in studio dall’etologo Danilo Mainardi, ebbero talmente successo da dare vita a spin-off in videocassetta, nelle edicole e sulla stessa Rai1 attraverso la rubrica quotidiana Il mondo di Quark.
La scelta rispondeva innanzitutto al bisogno di comunicare la scienza attraverso immagini, che Angela aveva ben presente quando spiegava le difficoltà del mezzo televisivo per fare divulgazione: proprio per ovviare a questo problema Quark introdusse sperimentazioni brillanti come quelle dei cartoni animati di Bruno Bozzetto, pensati per spiegare concetti complessi senza dover ricorrere a riprese costose o effetti speciali, o degli esperimenti di fisica in studio affidati a ospiti fissi come Paco Lanciano (soprattutto quando, ridottosi il budget per le puntate, i cartoni di Bozzetto divennero troppo costosi e non furono più realizzati). Ma la missione “sociale” che Piero Angela intendeva affidare allo strumento della divulgazione scientifica restò sempre al centro. Ne sono state espressioni trasmissioni come Quark Economia, per cercare di alfabetizzare il pubblico ai concetti complessivi della macroeconomia in un periodo in cui inflazione, svalutazione e debito pubblico divennero temi al centro del dibattito politico, o come Indagine sulla parapsicologia (1978), una delle ultime trasmissioni “a tema” prima del lancio del format fisso di Quark, da cui Angela trasse il libro Viaggio nel mondo del paranormale e l’inizio di un discorso che portò nel 1989 alla fondazione della sua più celebre creatura dopo Quark: il CICAP, Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale (poi Pseudoscienze), a cui fu affidato il compito di contrastare la credulità popolare sul soprannaturale, l’astrologia e la parapsicologia. Una battaglia a favore del razionalismo che costituiva per Piero Angela il naturale proseguimento della sua preoccupazione per la diffusione della cultura scientifica in Italia, e che seguiva gli analoghi interessi di Carl Sagan nel contrasto alla pseudoscienza. Ciò rese Angela una figura mediatica fondamentale negli anni del caso Di Bella, quando l’opinione pubblica italiana si divise tra sostenitori e critici della controversa cura per il cancro del medico Luigi Di Bella. La fine ingloriosa della sperimentazione voluta dal Ministero della Sanità sotto la pressione mediatica e popolare mostrò quanto fosse importante la presenza di una voce critica che fungesse da intermediaria tra la comunità scientifica e il grande pubblico.
Angela biasimò il fatto che il caso fosse stato affidato giornalisticamente “a chi si occupa di cronaca e non ai divulgatori scientifici”, e che in televisione fosse stata adottata la logica della par condicio, ospitando insieme ai critici del metodo anche i suoi sostenitori o lo stesso Di Bella: “È un po’ come se si facesse un dibattito sulla forma della Terra: uno dice che è sferica, l’altro che è piatta, giudichino gli spettatori chi dei due ha ragione” (Angela, 1998). In questo vide lungo, dato che in anni più recenti un caso analogo, quello di Davide Vannoni e del suo metodo Stamina, fu ugualmente affidato dalla maggior parte della stampa non a giornalisti scientifici ma a redattori generalisti, con il risultato di fungere da cassa di risonanza di un metodo che infuse solo false speranze. Proprio il mancato raggiungimento degli obiettivi che Piero Angela si era preposto – una più solida e diffusa cultura scientifica in Italia, una maggiore propensione per le materie STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica), un maggior senso critico, una più ampia presenza della scienza in televisione e sui media – ha spinto alcuni a mettere in discussione il successo del suo modello divulgativo.
In realtà già da tempo gli esperti di comunicazione e di sociologia della scienza avevano messo in guardia dai limiti dell’approccio classico della comunicazione scientifica (definito dagli anglosassoni Public Understanding of Science, comprensione pubblica della scienza), troppo schiacciato su atteggiamenti paternalistici e scientisti. Il sociologo Massimiano Bucchi ne ha discusso in suo libretto, Scientisti e antiscientisti, osservando come lo scientismo “può diventare anche una «carriera»: esperti o commentatori possono farsi identificare con successo nell’arena pubblica in quanto paladini e professionisti dello scientismo – nelle sue diverse e complementari accezioni” (Bucchi, 2010). Scrive ancora Bucchi:
“Lo scientismo ha bisogno di un antiscientismo per costruirsi un nemico contro cui armare il braccio della tecnocrazia o un «selvaggio» da addomesticare con il braccio missionario e paternalistico del public understanding of science […]. Addirittura è possibile affermare che la Scienza, intesa in senso unitario e monolitico, è un riflesso pubblico del discorso scientista nelle sue varianti attiva e passiva”
(Bucchi, 2010).
Non c’è dubbio che Piero Angela sia stato portatore di una visione acritica e positivista della scienza, attraverso un discorso in cui questioni dalle controverse implicazioni sociali e politiche come gli OGM o il nucleare sono state ridotte al loro aspetto meramente scientifico, come tali rese incontestabili. Questo, paradossalmente, non ne ha favorito l’accettazione, rendendo lo sforzo per la diffusione della cultura scientifica una battaglia contro i mulini a vento. Il declino degli ascolti di SuperQuark negli ultimi anni in cui la pseudoscienza è tornata ad affacciarsi prepotentemente nel nostro paese come in tutto il mondo occidentale rappresenta sicuramente un segnale su cui riflettere. Ma lo stesso Angela non era indifferente a questi problemi.
La sua attenzione al tema dei rapporti tra scienza e società è dimostrata dalla storica presenza di una rubrica su questi temi all’interno di SuperQuark, di cui ospite fisso negli ultimi anni era stato chiamato lo stesso Massimiano Bucchi, e dal suo più recente impegno in un’iniziativa rivolta alle scuole italiane, Prepararsi al futuro, pensata per aprire il dibattito su tematiche scottanti come gli sviluppi dell’intelligenza artificiale, il futuro del lavoro, il cambiamento climatico, l’economia globale e il problema demografico. Con questa trasmissione Angela ritornava alle origini, a quei primi format dedicati all’esplorazione del futuro dell’umanità, sulla base di un’intima convinzione che prima ancora di un gap scientifico l’Italia soffra di una mancanza di visione del futuro.
Tutti questi nodi irrisolti – il superamento degli steccati tra le “due culture”, l’alfabetizzazione scientifica, il contrasto alla pseudoscienza, la necessità di un pensiero di lungo termine – rappresentano il più importante lascito di Piero Angela alla divulgazione scientifica che verrà, chiamata ad affrontare con nuovi mezzi quei problemi che Angela con lucida preveggenza aveva indicato oltre cinquant’anni fa.
- Piero Angela, Raccontare la scienza, a cura di Giuseppe Ferrari, Pratiche Editrice, Parma, 1998.
- Massimiano Bucchi, Scientisti e antiscientisti. Perché scienza e società non si capiscono, Il Mulino, Bologna, 2010.
- Davide Chiarbonello, La divulgazione scientifica nella televisione delle origini, “Baskerville.it”, 2006.
- Nicola De Bellis, Il pioniere del cinema e della divulgazione in Italia, “Il Tascabile”, 27 maggio 2022.
- Paola Govoni, Dalla scienza popolare alla divulgazione. Scienziati e pubblico in età liberale, in Francesco Cassata, Claudio Pogliano (a cura di), Storia d’Italia. Annali 26: Scienze e cultura dell’Italia unita, Einaudi, Torino, 2011.
- Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, Einaudi, Torino, 2014.