Benché sopravanzato nell’immaginario del Dopoguerra dalle ansie legate all’olocausto nucleare, e in tempi più recenti dalla minaccia di un impatto astronomico portata sul grande schermo da una lunga sequenza di disaster movie e dalle più che giustificate preoccupazioni relative ai cambiamenti climatici, il rischio rappresentato da una possibile pandemia può rivendicare a ragione una nobile primogenitura nel prolifico filone di catastrofi ideate dalla fantascienza.
L’assunto su cui tutto quel macrogenere di visioni apocalittiche e post-apocalittiche si fonda è di mettere il lettore di fronte a pericoli tipicamente al di fuori della sua portata, in un’escalation di disastri sempre più cupi e irreversibili che culmina nell’estinzione della civiltà come la conosciamo.
Autori e sceneggiatori ci hanno lasciato un ricco campionario di esperienze immaginarie che si sforzano di delineare ciò che potrebbe succedere prima, durante e dopo l’esplosione di un’epidemia di portata globale.
Senza pretese di esaustività, proveremo a passarle in rassegna nei prossimi capitoli, partendo dalle istanze distopiche (letterarie, ma anche cinematografiche e seriali) provenienti dai territori di genere della fantascienza e dell’horror, ma senza trascurare quelle elaborate nell’alveo della letteratura senza etichette.
L’inizio della fine di tutte le cose
Prendiamo la madre putativa della fantascienza, Mary Wollstonecraft Shelley: dieci anni dopo aver scritto la prima parola di Frankenstein, il capolavoro da cui sarebbe scaturito tutto il fantastico moderno e a cui avrebbe inevitabilmente legato la sua fama, la scrittrice inglese diede alle stampe L’ultimo uomo (1826), in cui un’epidemia di peste porta al collasso della società umana del tardo XXI secolo: un manipolo di superstiti si avventura per un mondo devastato, tra esplosioni di panico e manifestazioni di isteria collettiva, alla ricerca di un ultimo approdo sicuro.
Nel 1842 è Edgar Allan Poe che sugella in un crescendo di suspense la fine di qualsiasi illusione di controllo di fronte al dilagare del morbo: i protagonisti de La maschera della Morte Rossa sono invitati dal principe Prospero a trascorrere nel suo castello l’isolamento necessario a sottrarsi a una terribile pestilenza, ma tra spettacoli e danze scopriranno loro malgrado che nessuno è davvero al sicuro, in uno degli explicit più sontuosi e pietrificanti di tutta la letteratura:
“E allora tutti compresero e riconobbero la presenza della «Morte Rossa», giunta come un ladro nella notte. E a uno a uno i gaudenti caddero nelle sale delle loro gozzoviglie irrorate di sangue, e ciascuno morì nell’atteggiamento disperato in cui era caduto. E la vita della pendola d’ebano si estinse con quella dell’ultimo dei cortigiani festosi. E le fiamme dei tripodi si spensero. E l’Oscurità, la Decomposizione e la «Morte Rossa» regnarono indisturbate su tutto”
(Poe, 2014).
La Morte Scarlatta è la locuzione con cui è anche conosciuta la Grande Peste che nel 2013 ha sterminato la specie umana. Nella novella La peste scarlatta di Jack London (1912), i nipoti inselvatichiti dei sopravvissuti ne apprendono la storia dal vecchio James Howard Smith, l’ultimo testimone diretto della catastrofe che ha portato al crollo della civiltà:
“Da sessant’anni il mondo ha cessato di esistere per me. So che devono esserci posti come New York, l’Europa, l’Asia e l’Africa; ma non se ne hanno più notizie… da sessant’anni. Con l’arrivo della Morte Scarlatta il mondo è andato in pezzi, nel modo più assoluto e irrimediabile. Diecimila anni di cultura e civiltà svaniti in un batter d’occhio, “fugaci come schiuma”
(London, 2009).
Omaggiando Poe e mostrando rimarchevoli assonanze con altre pietre miliari del periodo, non ultime La nuvola purpurea di Matthew Phipps Shiel (1901), e La nube avvelenata di Arthur Conan Doyle (1913), London apre la strada a tutte le storie post-apocalittiche di sopravvissuti che cercano di tenere insieme i pezzi di un mondo che non c’è più, che attraverso il Novecento e i primi decenni del Duemila giungono fino a noi, culminando nella celebrata incursione nel Day After di Cormac McCarthy con La strada (2006).
Il giorno in cui tutto cambiò: sopravviventi…
A Poe si rifà dichiaratamente anche Alan D. Altieri nel racconto L’ultimo rogo della Morte Rossa: l’agente speciale Brenda Rolf, assegnata alla scorta del presidente Calvin J. Prosper, assiste al collasso degli Stati Uniti e del mondo sotto i colpi di una inesorabile pandemia di febbre emorragica. Il maestro italiano dell’apocalisse offre molteplici scorci sull’Armageddon che attende l’umanità al varco, e le cause biologiche e ambientali dell’annientamento riservano numerose variazioni sul tema nel suo ricco carnet di distruzioni totali. Si pensi al giorno dell’Ecclesiaste: “Ventiquattro ore. Forse addirittura meno. È possibile che l’intero genere umano sia andato in polvere, letteralmente in polvere, nell’arco di una notte” come si legge in Miss Ecclesiaste, tema successivamente ripreso nel seguito Un’alba per l’Ecclesiaste.
Gioca invece su un registro umoristico la paradossale short story di Robert Sheckley Una chiacchierata con il virus del Nilo Occidentale (2004): per testare il primo processore a DNA, i due protagonisti scelgono di contattare la coscienza collettiva del ceppo virale del titolo, ma l’esperimento prenderà una piega inaspettata quando uno dei due cercherà di usare il virus per fare una sorpresa alla sua fidanzata.
La musica del sangue di Greg Bear, pubblicato originariamente in forma di racconto nel 1983 e successivamente ampliato in romanzo, presenta le catastrofiche conseguenze di una ricerca biotech allorquando un ricercatore rinnegato decide di iniettarsi il frutto delle sue scoperte (dei linfociti potenziati programmati artificialmente, che nel romanzo definisce noociti) per trafugarlo dai laboratori della compagnia che lo ha appena licenziato. Parte da qui una reazione a catena che cambierà il destino del genere umano.
In ambito techno-thriller non possiamo non citare quello che forse è il capostipite delle epidemie letterarie e cinetelevisive dell’ultimo mezzo secolo: Andromeda di Michael Crichton (1969), adattato per il cinema da Robert Wise nel 1971 e per la televisione in una miniserie di due puntate prodotta da Ridley e Tony Scott: una piccola comunità della provincia profonda (Arizona nel romanzo, New Mexico nel film, Utah nella miniserie…) viene sterminata dopo essere entrata in contatto con un satellite militare precipitato presso la loro cittadina. Si attiva immediatamente il protocollo di emergenza anticontaminazione Wildfire e gli scienziati chiamati a risolvere il mistero individuano la causa in un microorganismo riportato sulla Terra dalla sonda, capace di indurre la coagulazione del sangue nei soggetti contagiati.
Sugli stessi passi si muove Nancy Kress con i due romanzi incentrati sulla figura dell’agente dell’FBI Robert Cavanaugh, Miracoli e giuramenti (1996) e Contagio (1998), alle prese con ricerche oltre i limiti della legalità nel campo delle biotecnologie: nel secondo volume, in particolare, un focolaio di malaria nelle zone rurali del Maryland conduce le indagini sulle tracce di un possibile complotto inteso a sterminare la popolazione afroamericana. Dove la pandemia etnica innescata dall’uomo è andata tragicamente a segno è Acqua, luce e gas, immaginifica satira distopica di Matt Ruff (1997): dopo la decimazione della popolazione di colore, la Gant Corporation immette sul mercato i… Negri Elettrici, un modello di robot tuttofare ispirato alla figura dello Zio Tom, che riscuotono un immediato successo tra gli acquirenti bianchi.
Tornando a Nancy Kress, in Brain Rose (romanzo del 1990 inedito in Italia) i protagonisti cercano di contrastare un’epidemia che attacca i ricordi portando alla graduale cancellazione della memoria, accettando di sottoporsi a un trattamento sperimentale che si propone di dare Accesso alla Vita Precedente.
Qualcosa di analogo si ritrova in Embers (2015), debutto della cineasta Claire Carré, film premiato in diversi festival, tra cui il Trieste Science + Fiction Festival nel 2016, come miglior lungometraggio. Si narra di un’epidemia globale che sistematicamente, ogni giorno azzera la memoria, obbligando a ripartire daccapo. Quanto a Kress, tra le opere dell’autrice statunitense si segnalano anche due storie brevi: Inerzia (1990) racconta la ricerca su una pestilenza futura, con i protagonisti sospesi tra le opposte alternative della rassegnazione e di un difficile isolamento; Ej-Es (2003) presenta il contatto tra i sopravvissuti di una colonia perduta, decimati da un retrovirus che aggredisce il cervello, e il corpo medico spaziale a cui appartiene la protagonista.
In Sopravvissuta (1978), di Octavia E. Butler, parte del Ciclo dei Patternisti, un gruppo di umani fugge da una Terra soggiogata da una casta di telepati e flagellata da un’epidemia giunta dallo spazio per riparare su un pianeta alieno, dove dovranno avviare una difficile coabitazione con la civiltà indigena. Per James Tiptree Jr. (pseudonimo di Alice Bradley Sheldon), La soluzione della mosca (1977, in VanderMeer – a cura di–, 2018) è quella messa in opera da una stirpe di conquistatori extraterrestri infiltratisi sulla Terra per sbarazzarsi del genere umano, inducendo negli uomini un comportamento disfunzionale volto a sterminare tutte le donne del pianeta e scatenando un’implacabile epidemia di violenza.
…in corsa contro il tempo…
Una follia analoga si scatena in seguito a un esperimento sociale fallito, nel secondo dei due noir distopici del maestro del giallo scandinavo Per Wahlöö (cfr. De Matteo, 2020a) incentrati sulla figura del laconico commissario Jensen: L’epidemia (1968) ha messo in ginocchio il suo paese e il commissario, dopo una lunga assenza dovuta a un ricovero in una clinica straniera, è incaricato di scoprire cosa sia davvero successo, avventurandosi per le strade deserte e avvolte nella nebbia di una capitale fantasma sottoposta al coprifuoco e pattugliata da medici e infermieri armati, al servizio di una spietata tecnocrazia ospedaliera:
“Pensi ai migliori uomini e donne del Paese, vestiti di bianco, che vanno in giro su ambulanze ululanti. Come veri licantropi, anzi, come vampiri. Sanguisughe nel senso letterale del termine”
(Wahlöö, 2014).
Per venire a capo dell’enigma, il commissario Jensen dovrà scoprire cosa si nasconde dietro la misteriosa sigla “Salto d’acciaio” e cos’è l’agente D5H da cui tutto sembra aver avuto origine. Due spietate incursioni nel tema del contagio sono quelle consegnateci dai premi Nobel Albert Camus e José Saramago. Il primo, nel suo capolavoro La peste (1947), ritrae la città algerina di Orano che viene isolata dal resto del paese quando per le sue strade esplode un focolaio di peste bubbonica. Il protagonista e i volontari che riesce a riunire costruiscono un baluardo di resistenza contro la malattia, mentre la città intorno a loro offre uno spaccato di umanità che attraversa tutto lo spettro dall’indifferenza al terrore per il contagio, passando per l’opportunismo e la solidarietà.
Tematiche e dimensione che ritroviamo anche in un’altra delle pietre miliari del Novecento: in Cecità (1995) Saramago imbastisce un’indagine sulla natura dell’umanità alle prese con una situazione estrema, che ne denuda tutte le contraddizioni quando un’epidemia misteriosa esplode in una città senza nome, rendendo all’improvviso ciechi quasi tutti i suoi abitanti. Entrambe le opere sono state oggetto di trasposizioni cinematografiche (non memorabili): dell’argentino Luis Puenzo la prima, del brasiliano Fernando Meirelles quest’ultima.
Visione imprescindibile è invece Contagion di Steven Soderbergh (2011), insuperata ricostruzione di una pandemia. L’escalation del contagio di un nuovo virus è documentata attraverso i punti di vista di una galleria di personaggi: da una parte i ricercatori del CDC statunitense e gli epidemiologi della World Health Organization, in lotta contro il tempo per contenere e disinnescare l’epidemia (tra loro Marion Cotillard, Laurence Fishburne, Jennifer Ehle, Kate Winslet); dall’altra i profittatori che cercano di trarre vantaggio dalla situazione, tra cui il blogger complottista interpretato da Jude Law; e in mezzo la gente comune, come il personaggio di Matt Damon, vedovo della donna identificata come la “paziente zero” (Gwyneth Paltrow), e che adesso si trova a crescere da solo, in quarantena, una figlia adolescente. Le proiezioni degli esperti prevedono che il virus si diffonderà contagiando in breve tempo centinaia di milioni di vittime, ma gli sforzi e il sacrificio dei ricercatori porteranno alla sintesi di un vaccino prima che il peggio si compia.
Due storie che si somigliano per i meccanismi narrativi che applicano sono la novella di Walter Jon Williams L’era del flagello (2003) e il film di Terry Gilliam L’esercito delle 12 scimmie (1995). In entrambi i casi i protagonisti devono scavare nelle cause della pandemia che ha cancellato il mondo che conosciamo oggi.
Nel romanzo breve di Williams, Michelle è una postumana di un’epoca futura che lavora come freelance, recuperando per i suoi committenti le informazioni andate perdute in quel grosso stravolgimento sociale conosciuto come «la Guerra degli Anni Luce». Un giorno riceve l’incarico di scoprire cosa accadde al dottor Jonathan Terzian, il filosofo autore della “Teoria della Cornucopia”, il lavoro concettuale che ha gettato le basi per l’economia della post-scarsità in cui vive Michelle, in una breve ma cruciale parentesi della sua vita, e la ricerca porta Michelle in un intrigo biotech degno di una spy-story, che vede implicati agenti segreti delle ex repubbliche sovietiche, volontari di una organizzazione umanitaria non governativa e il misterioso virus all’origine della prima epidemia transgenica della storia: il Morbo del Leopardo Verde.
Nella pellicola di Gilliam, tratta da una sceneggiatura di David Webb Peoples e di sua moglie Janet basata sul mediometraggio La Jetée del francese Chris Marker (1962), Bruce Willis è un detenuto che dal 2035 viene inviato indietro nel tempo per raccogliere indizi e informazioni sulla pandemia che quarant’anni prima ha causato la morte del 99% della popolazione mondiale. I superstiti vivono in bunker sotterranei da cui possono uscire solo protetti da tute anticontaminazione.
La missione del crononauta è infiltrarsi nell’organizzazione conosciuta come “esercito delle 12 scimmie”, un gruppo clandestino di ecoterroristi guidati da Brad Pitt, ritenuto responsabile della diffusione del virus. Ad aiutarlo troverà una psicologa interpretata da Madeleine Stowe, inizialmente scettica sui suoi racconti ma che alla fine si convincerà ad affiancarlo nell’impresa disperata di prevenire la diffusione del contagio. Gilliam trasforma la storia in una metafora dello scontro tra determinismo e libero arbitrio, risolvendo in chiave fatalistica il nodo dei paradossi temporali sotteso a tutte le storie di viaggi nel tempo. Nel 2015 il canale via cavo SyFi ha ripreso lo spunto in un’apprezzata serie televisiva andata in onda per quattro stagioni.
… e sopravvissuti: i reduci del giorno dopo
Nelle opere che descrivono il dopo, di solito le cose non sono andate troppo bene: anche in virtù delle potenzialità drammatiche di un mondo al collasso, scenari di caos e lotte per preservare o ricostituire una parvenza di civiltà rappresentano l’ovvio contesto in cui spazia la stragrande maggioranza delle soluzioni narrative escogitate.
Partiamo dalla scuola britannica della catastrofe con due pietre miliari del filone. Il grande contagio (1962) messo in scena da Charles Eric Maine (vero nome David McIlwain) è quello scatenato dal virus Hueste, che dal Giappone si diffonde al resto del mondo causando la morte di centinaia di milioni di persone. Mentre i governi cercando di preservare il controllo sui cittadini attraverso la censura e il ricorso alla repressione violenta contro gli insorti, i medici dell’O.I.R.V. (l’Organizzazione Internazionale Ricerche Virus) cercano un vaccino in grado di contrastare la diffusione dell’epidemia. Sottraendosi tanto ai facili cliché quanto al manicheismo spiccio, Maine contamina la fantascienza col thriller e ci regala un capolavoro di suspense.
Un altro classico è Morte dell’erba (1956) di John Christopher (uno pseudonimo anche nel suo caso, per l’autore inglese Sam Youd), che ci proietta in un mondo sconvolto dalla diffusione del Chung-Li, un virus che aggredisce con violenza le graminacee devastando le colture di cereali. Mentre infuriano guerre e tumulti per l’accaparramento delle ultime riserve alimentari, il protagonista affronta con la sua famiglia un viaggio insidioso verso la valle del Westmoreland in cui suo fratello, nei campi della fattoria di famiglia, cura colture resistenti all’attacco del virus.
Nel 1975 il produttore e sceneggiatore gallese Terry Nation crea e produce per la BBC Survivors – I sopravvissuti, serie in tre stagioni (38 episodi in totale) che segue le vicissitudini di un gruppo di superstiti alle prese con i tentativi di riunirsi ai loro cari e di rimettere in piedi le comunicazioni, i trasporti, la produzione e il commercio in ciò che resta del Nord Europa, dopo che un virus sfuggito a un laboratorio cinese ha lasciato in vita meno di un milione di persone in tutto il mondo. Nel 2008 la BBC ha prodotto un remake che non è tuttavia riuscito a replicare il successo della serie originale, oggi considerata un cult, venendo soppresso dopo la seconda stagione.
Una guerra combattuta con testate tattiche nucleari è all’origine del mondo devastato per cui si aggira il “postino” Gordon Krantz in L’uomo del giorno dopo di David Brin (1985), ma la diffusione delle armi biologiche ha assestato il colpo di grazia alla civiltà, sulle cui rovine banchettano i predoni al soldo di un signore della guerra imbevuto di retorica anarcocapitalista.
Dal romanzo è tratto il film omonimo prodotto, scritto e diretto da Kevin Costner nel 1997. Come il Gordon di Brin, che gira il nordovest allestendo improvvisate rappresentazioni dei drammi scespiriani per le comunità superstiti, la protagonista di Stazione Undici della canadese Emily St. John Mandel (2014) è un’attrice che attraversa la regione dei Grandi Laghi al seguito della sua compagnia teatrale itinerante, trent’anni dopo che un’epidemia di febbre suina ha decimato la popolazione mondiale.
In questo scenario da giorno dopo, l’incontro drammatico con il violento culto religioso guidato da un misterioso profeta dà vita a una trama a mosaico che saltella tra i mesi immediatamente successivi al dilagare della pandemia e il presente sconvolto dai suoi effetti, ma le cui cause più profonde sono forse sepolte nel passato degli stessi protagonisti. Dal romanzo la HBO ha messo in lavorazione un adattamento televisivo, le cui riprese erano iniziate a Chicago appena da poche settimane quando l’OMS ha riconosciuto lo status di pandemia per la COVID-19.
Probabilmente il romanzo più famoso del filone è L’ombra dello scorpione (1978) di Stephen King, in cui un virus letale noto con il nome in codice di Progetto Azzurro o Capitan Trips, sfuggito ai laboratori del governo statunitense, stermina la popolazione del Nord America. Due gruppi di sopravvissuti si coalizzano intorno a due figure antitetiche a personificare i poli opposti del Bene e del Male, venendo chiamati a una presa di posizione nello scontro inevitabile tra le due forze. Anche da questo libro fu tratta una miniserie televisiva, diretta da Mick Garris nel 1994 con Molly Ringwald, Gary Sinise e Miguel Ferrer.
Se rimane in forse fino alla fine della serie la causa che ha portato alla quasi totale scomparsa dei maschi nel fumetto Y: L’Ultimo Uomo, scritto da Brian K. Vaughan e disegnato da Pia Guerra e altri per DC Vertigo (2002-2007), è invece certo che sia stato il folle piano di vendetta di un biologo molecolare il virus che risulta fatale alle donne nel romanzo Il morbo bianco di Frank Herbert (1982).
Nel film I figli degli uomini di Alfonso Cuarón (con Clive Owen e Julianne Moore, tratto nel 2006 dal romanzo omonimo della scrittrice inglese P. D. James) l’umanità lotta contro la sterilità e si accenna a un’influenza pandemica che nel 2008 causò la morte del figlio del protagonista.
A essere colpiti dal virus sono invece gli animali nella novella L’ultimo dei Winnebago (1989) di Connie Willis: sullo sfondo di una crisi idrica che ha messo in ginocchio l’America distopica del prossimo futuro, ha luogo una malinconica storia di estinzioni che colpisce l’uomo negli affetti del suo millenario patto con i cani. Sui virus Willis tornerà anche nel 1992 con L’anno del contagio: la protagonista è una studentessa di Storia a Oxford inviata nel passato per delle ricerche sul campo, ma per un errore di impostazione nelle coordinate temporali viene dirottata dal 1320 al 1348, proprio mentre in Inghilterra dilaga l’epidemia di peste nota come «Morte Nera»; mentre lei è intrappolata nel Medioevo, il college viene messo in quarantena per una sindrome influenzale più grave del solito, e i suoi colleghi e responsabili si trovano impossibilitati a organizzare una spedizione di soccorso per salvarla.
Richard Calder nella sua “trilogia dei morti”, inaugurata da Virus Ginoide (1992) e proseguita con gli inediti da noi Dead Boys (1994) e Dead Things (1996), ci proietta nel 2071, dopo che un contagio virale trasmesso per via sessuale ha infettato strati sempre più vasti della popolazione maschile e gli effetti si sono ripercossi sulla loro prole femminile. Le ragazze nate da genitori infetti, all’ingresso nella pubertà, sperimentano la metamorfosi in bambole ginoidi, chiamate Lilim. Mercificazione della natura femminile, espropriazione dell’identità e conflitto tra finzione e autenticità sono i temi portanti dell’opera di Calder, tra i più apprezzati autori dell’ondata postcyberpunk.
Le tematiche dell’ingegneria genetica, dello sfruttamento sessuale e del contagio epidemico tornano anche nella “trilogia di MaddAddam” di Margaret Atwood, in particolare nel primo volume, L’ultimo degli uomini (2003), a cui hanno fatto seguito L’anno del diluvio (2009) e L’altro inizio (2013): Uomo delle Nevi è l’ultimo superstite della razza umana e si prende cura dei “figli di Crake”, la pacifica tribù di esseri umani bio-ingegnerizzati che ha ereditato la Terra dopo che un virus mutante ha scatenato una fatale epidemia di febbre emorragica. Ricorre qui anche il tema dell’ecoterrorismo, che si lega inestricabilmente a quello dell’autodistruttività della natura umana.
Nuovi livelli di pandemia: la trascendenza del virus nell’horror e nella tecnologia
Sul tema del contagio non possiamo trascurare tutti quei titoli virati verso l’horror, che costituiscono di fatto un sottogenere a sé proliferato nel solco di Richard Matheson e del fertile immaginario associato al suo capolavoro Io sono leggenda (1954), oggetto anche di numerose trasposizioni cinematografiche, più o meno fedeli: L’ultimo uomo della Terra di Ubaldo Ragona con Vincent Price (1964), 1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra di Boris Sagal con Charlton Heston (1971) e Io sono leggenda di Francis Lawrence con Will Smith (2007), tra le altre.
Nel solco di un rinnovato interesse per gli zombie, a partire dai primi anni Duemila si sono moltiplicate le opere che richiamano La notte dei morti viventi di George Romero (1968): al cinema 28 giorni dopo (2002) di Danny Boyle e il suo seguito, 28 settimane dopo di Juan Carlos Fresnadillo (2007); nei fumetti a partire dal 2003, e in TV in seguito, The Walking Dead di Robert Kirkman e relativi spinoff; tra i libri il Manuale per sopravvivere agli zombie (2003), seguito da World War Z. La guerra mondiale degli zombie (2006), di Max Brooks (quest’ultimo anche al cinema in una pellicola del 2013 diretta da Marc Forster, con Brad Pitt) e la trilogia di David Wellington Monster Island (2006), Monster Nation (2006) e Monster Planet (2007).
Sempre declinati in chiave horror ma sganciati dall’apocalisse zombie sono Il virus dell’odio di David Moody (2006), che si rifà alla tradizione inglese dell’apocalisse con il dilagare di un virus che causa una violenza selettiva, e il grandguignol vampiresco della Trilogia Nocturna di Guillermo Del Toro e Chuck Hogan: La progenie (2009), La caduta (2010) e Notte eterna (2011), che hanno ispirato anche la serie TV The Strain prodotta da Fox in quattro stagioni dal 2015 al 2018. Ma è ancora nella fantascienza che il virus assume la maggiore variabilità, mostrandosi con il suo elevato tasso di mutazione capace di prestarsi a letture di volta in volta scientifiche o politiche, allegoriche o distopiche.
Abbiamo per esempio la mutazione percettiva indotta dal segnale di trasmissione di Videodrome (1983) nel film omonimo di David Cronenberg; il contagio metallico che dilaga per le strade di Tokyo e del mondo nella trilogia di Tetsuo (1992-2009) di Shinya Tsukamoto; il techno-virus noto come Peste Destrutturante (melding plague) che aggredisce qualsiasi corpo, organico o sintetico, contenga della nanotecnologia nella sequenza del Revelation Space (2000-2007) di Alastair Reynolds; il meccanismo di autoreplicazione alieno sintetizzato nella “protomolecola”, intorno a cui ruota l’intreccio del ciclo The Expanse di James S. A. Corey (pseudonimo del duo Daniel Abraham e Ty Franck), adattato da SyFy in una serie TV giunta alla quarta stagione; e ancora il virus informatico che infetta gli androidi dei parchi a tema Delos nel film Il mondo dei robot di Michael Crichton (1973), qualcosa di simile a quello che si inizia a intravedere anche nella terza stagione di Westworld (2020, qui le analisi della prima stagione e della seconda stagione), o il contagio che si diffonde negli impianti neurali H+ che consentono agli esseri umani di essere permanentemente connessi alla rete globale, nella serie omonima prodotta da Brian Singer (2012-2013); i metavirus neurolinguistici di Neal Stephenson (Snow Crash, 1992) e Dario Tonani (L’algoritmo bianco, 2009) e il linguaggio stesso che diventa un’arma di distruzione di massa ai danni delle bizzarre creature aliene che popolano Arieka, nel capolavoro new weird di China Miéville Embassytown (2011, cfr. De Matteo, 2016).
L’opera di Greg Egan offre almeno due interessanti punti di vista sul tema dell’infezione: ne La Terra moltiplicata (il cui titolo originale è esplicitamente Quarantine, 1992), il sistema solare si ritrova misteriosamente in quarantena dal resto del cosmo e l’unico modo per forzare il blocco è un software in grado di infettare e compromettere le funzioni quantistiche degli impianti neurali adottati dall’umanità.
Nell’altrettanto concettualmente denso Distress (1995) la ricerca di una Teoria del Tutto s’intreccia con la diffusione della malattia che dà il titolo al romanzo, capace di estendersi anche all’intelligenza artificiale incaricata di completare l’elaborazione del modello quando la cosmologa che ci sta lavorando è costretta a farsi da parte per l’aggravarsi delle sue condizioni di salute.
Ci sono poi interi pianeti che scatenano le loro forme di vita indigene contro gli esploratori umani. In Ammonite (1993) di Nicola Griffith, la protagonista è inviata sul pianeta Jeep da una società patriarcale dalla vocazione imperialista per investigare su un virus a cui solo le donne si rivelano immuni. In Bios (1999) di Robert Charles Wilson il pianeta alieno non risparmia nessuno: è l’intera biosfera di Isis a risultare fatale per i coloni umani e per i loro manufatti.
“Il pianeta era pieno di vita, ma era una vita più vecchia di un miliardo di anni rispetto a quella della Terra, più evoluta ma anche più primitiva, preservata dai cambiamenti per l’assenza di grandi ondate di estinzione; c’era spazio per tutti, per tutti i generi e per ogni strategia di sopravvivenza eccetto quella umana, senziente, terrestre. Siamo creature così semplici, pensò; non riusciamo a tollerare queste fitotossine ben affilate, gli innumerevoli predatori microscopici cui ha dato forma un miliardo di anni di involuzione. Nulla, nell’arsenale del sistema immunitario umano, riesce ad accorgersi delle invisibili armate isiane, e a respingerle”
(Wilson, 2001).
Cupo e spietato come l’ecosistema che mette in scena, il romanzo di Wilson esprime un pessimismo cosmico che sconfina nel nichilismo assoluto (cfr. De Matteo, 2020b). Altrettanto spiazzante, ma in maniera diversa, è Gli anni del riso e del sale (2002) di Kim Stanley Robinson, un tour de force che ricostruisce settecento anni di storia a partire dalla metà del 1300, quando si immagina che la Morte Nera abbia sterminato il 99% della popolazione europea (nella realtà, quella che è stata la più grave pandemia di cui si abbia notizia causò tra 75 e 200 milioni di vittime in Europa, Asia e Africa, uccidendo tra il 30 e il 60% degli abitanti dei paesi europei). L’Europa viene così colonizzata da arabi e cinesi e l’intera storia dell’umanità si sviluppa lungo un percorso alternativo rispetto a quello che tutti conosciamo.
Dopo aver passato in rassegna un centinaio di titoli, è venuto il momento di concludere, ma non prima di aver ricordato l’unica narrazione in cui le microscopiche creature causa di infezioni, di malattie e di contagi si sono rivelate nostre insostituibili alleate, sconfiggendo il più grande nemico che abbia mai posato gli occhi sul nostro pianeta. Dal classico di H. G. Wells, La guerra dei mondi (1897):
“Questi germi di malattia avevano preteso un tributo dall’umanità fin dall’inizio, dai nostri antenati preistorici fin da quando la vita era cominciata sul nostro pianeta. Ma per merito della selezione naturale del genere umano, la nostra specie ha sviluppato una forza di resistenza; non soccombiamo a nessun germe senza una lotta, e da molti – quelli della putrefazione di tutto ciò che è morto, per esempio – il nostro organismo è immune. Su Marte non ci sono batteri, e quando questi invasori arrivarono e cominciarono a nutrirsi, i nostri microscopici alleati cominciarono a lavorare alla loro distruzione. Già quando io li osservavo, erano irrevocabilmente condannati, moribondi e corrotti anche mentre erano indaffarati. Era inevitabile. Con il tributo di milioni di morti, l’uomo ha acquistato il suo diritto alla vita sulla Terra, ed essa è sua contro chiunque venga a conquistarla. Sarebbe ancora sua, anche se i marziani fossero dieci volte più potenti di come sono, perché gli uomini non vivono e non muoiono invano”
(Wells, 2017).
Un brano che rende conto di un inatteso risvolto dei sacrifici sostenuti attraverso questa convivenza, lunga e non sempre semplice, ma comunque necessaria.
- Alan D. Altieri, L’ultimo rogo della Morte Rossa in Underworlds. Echi dal lato oscuro. Tutti i racconti vol. 4, TEA, Milano, 2011.
- Alan D. Altieri, Miss Ecclesiaste in Armageddon. Scorciatoie per l’Apocalisse. Tutti i racconti vol. 1, TEA, Milano, 2008.
- Alan D. Altieri, Un’alba per l’Ecclesiaste in Underworlds. Echi dal lato oscuro. Tutti i racconti vol. 4, TEA, Milano, 2011.
- Margaret Atwood, L’altro inizio, Ponte alle Grazie, Milano, 2014.
- Margaret Atwood, L’anno del diluvio, Ponte alle Grazie, Milano, 2010.
- Margaret Atwood, L’ultimo degli uomini, Ponte alle Grazie, Milano, 2003.
- Greg Bear, La musica del sangue, Editrice Nord, Milano, 1997.
- Greg Bear, La musica del sangue, in Gardner Dozois (a cura di), Il meglio della SF. L’Olimpo dei classici moderni, Mondadori, Milano, 2008.
- David Brin, L’uomo del giorno dopo, Editrice Nord, Milano, 1995.
- Max Brooks, Manuale per sopravvivere agli zombie, Einaudi, Milano, 2006.
- Max Brooks, World War Z, Cooper, Roma, 2013
- Octavia E. Butler, Sopravvissuta, Interno Giallo/Mondadori, Milano, 1994.
- Richard Calder, Dead Boys, HarperCollins, London, 1994.
- Richard Calder, Dead Things, HarperCollins, London, 1996.
- Richard Calder, Virus ginoide, Editrice Nord, Milano, 1996.
- Albert Camus, La peste, Bompiani, Milano, 2017.
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