Oltre alle opere di Edgar Allan Poe, Roger Corman ha letto anche quelle di Sigmund Freud. È lo stesso regista di Detroit a rammentarlo nel corso delle interviste rilasciate in tanti anni di attività e la monografia su di lui, redatta da Giuseppe Turroni per la collana de Il castoro Cinema, ne dà ampia conferma. In un confronto tra lo scrittore statunitense e il padre della rivoluzione psicoanalitica, il critico cinematografico aveva affermato: “L’idea della morte, della sepoltura in un enorme eterno silenzio, il ritorno alla matrice, sono terrori che risalgono all’infanzia. È ciò che fa la grandezza di Poe. Egli aveva trovato, prima di Freud, la strada del subcosciente” (Turroni, 1976). Destino ancor più crudele sarebbe quello di una sepoltura prematura, come ricorda il protagonista de Il pozzo e il pendolo, il racconto che Poe pubblica nel 1842.
“Un agghiacciante pensiero mi fece affluire, tutt’a un tratto, il sangue al cuore”, narra l’eresiarca colpito da una sentenza di morte da parte dei monaci dell’Inquisizione spagnola, “ed io perdetti nuovamente i sensi. Al mio risveglio, balzai in piedi: un convulso tremore mi scuoteva ogni fibra. Tesi le braccia attorno a me, sopra di me, levandomi sulle punte dei piedi, in tutte le direzioni senza incontrar nulla, e avevo, nondimeno, il terrore di muovere un passo, ché non avessi a urtare contro le mura di una tomba. […] Mossi qualche passo ancora, ma ogni cosa all’intorno era tenebra e vuoto. Respiravo, ora, con maggior libertà. Era evidente, almeno, che non mi era stata riservata la più orribile delle morti” (Poe, 1989).
Dell’orrore generato da tale paura tenne forse conto lo scrittore Richard Matheson, autore della sceneggiatura della versione de Il pozzo e il pendolo diretta da Corman nel 1961, pellicola che confermò quel sodalizio tra i due che aveva portato un anno prima alla realizzazione di un film ispirato a La caduta della casa degli Usher (1839), distribuito in Italia con il titolo I vivi e i morti. Ora il lungometraggio arriva in una nuova edizione per il mercato home video (dvd e blu ray Pulp Video) grazie a CG Entertainment; la narrazione soggettiva del condannato, congiunta a profonde meditazioni introspettive, che caratterizza Il pozzo e il pendolo di Poe, è trasformata da Matheson in una storia che si sviluppa in un contesto familiare, tragico quanto ambiguo. Non è la sola differenza, se si tiene conto che la collocazione temporale del film rispetto alla novella è ben diversa.
La rielaborazione del racconto di Poe
Il riferimento all’arrivo nel palazzo dell’Inquisizione di Toledo da parte del generale francese Antoine Charles Louis de Lasalle situa la vicenda del protagonista di Poe nel contesto della campagna napoleonica in terra di Spagna, iniziata nel 1808: Napoleone Bonaparte, nel dicembre dello stesso anno, emise un decreto per l’abolizione dell’attività del famigerato tribunale, poi reintrodotta dalla restaurazione di Ferdinando VII di Borbone e in vigore fino al 1834 (Turberville, 1957). Nel film di Corman, invece, la storia è ambientata in un periodo molto precedente, ossia verso la metà del secolo XVI. Il giovane Francis Barnard (John Kerr) è appena giunto da Londra sulla costa spagnola per conoscere le reali cause della prematura morte della propria sorella Elizabeth (Barbara Steele), sposa del nobile Nicholas Medina (Vincent Price). Quest’ultimo, affranto dalla perdita, è assistito da sua sorella Catherine (Luana Anders), dall’amico medico Charles Leon (Antony Carbone) e da alcuni servi. La vicenda si svolge quasi interamente nel castello dei Molina, le cui fondamenta sono imbevute delle lacrime e del sangue di molte vittime del genitore di Nicholas e Catherine, il defunto Sebastiano, un tempo disumano torturatore che aveva attrezzato le segrete con inquietanti strumenti adatti alle sue azioni malvage. L’ardita affermazione di Turroni sulla paternità del concetto di subcosciente trova un anacronistico alleato nell’edizione italiana del film, in cui è possibile sentire Nicholas Medina, in preda a dubbi circa il proprio equilibrio mentale, recitare un “Può il mio subcosciente aver creato l’illusone del ritorno e della vendetta di Elizabeth?”, laddove la sceneggiatura originale del film riporta semplicemente “My inner mind creating evidence of Elizabeth’s vengeful return”. Lo stesso doppiaggio italiano conferisce alla versione italiana una stimolante atmosfera da detective story, dal momento che sostituisce le voci di Vincent Price, John Kerr, Barbara Steele, Luana Anders, Antony Carbone con quelle, rispettivamente, di Emilio Cigoli, Nando Gazzolo, Lydia Simoneschi, Fiorella Betti, Pino Locchi, in altre parole le stesse che lo spettatore di casa nostra ha spesso abbinato a celebri noir e thriller.
In un certo senso è così amplificata una radice forte della narrazione di Poe, ossia quella investigativa, che nel film di Corman prende corpo attraverso due figure inquirenti, quella di Francis Barnard e quella del dottore, che tuttavia perseguono diverse finalità. La stessa pellicola, con i suoi flashback sottolineati dal viraggio, esalta, nel mezzo di un racconto di crudele follia, la ricerca comunque della motivazione razionale agli avvenimenti che si susseguono. Il perseguimento di tale obiettivo distingue, di fatto, il lavoro di Corman da molte altre opere ispirate al genio di Poe che soffrivano di quelle carenze messe in evidenza da Maurizio Ponzi, la cui attività di critico cinematografico precedette quella di regista. Verso la metà degli anni Sessanta, dalle pagine di Filmcritica, questi aveva, infatti, sostenuto:
“In Poe il terrore non è mai immotivato. Nei suoi racconti Poe si ingegna sempre in descrizioni fantastiche e ricche di «credibili» particolari, tali da rendere accettabile qualunque situazione, sia essa la spiegazione di un delitto misterioso, che la giustificazione di drammatiche allucinazioni, la narrazione di un viaggio in pallone mai avvenuto o il resoconto di una cronaca mai verificatasi. Tutta quella letteratura mediocre che gli ha fatto seguito, e il cinema «terrorifico» o «fantastico» che più o meno direttamente al suo clima si inspira, ha omesso per debolezza di inventiva, o per errore di calcolo, questa importante componente raziocinante” (Ponzi, 1964).
Sotto il segno della cultura popular novecentesca
Di altre debolezze, tuttavia, sono, per così dire, rei Corman e Matheson, come quella di aver accostato nomi anglofoni a personaggi spagnoli del Cinquecento e quella di aver fatto relazionare gli stessi non seguendo cortesi convenevoli, a quei tempi rigidamente codificati, ma attraverso scambi di confidenze con un linguaggio sciolto da salotto, se non da bar, tipico delle conversazioni di certi film e telefilm ambientati negli Stati Uniti d’America nel Novecento. La stessa icona della filmografia di Corman, cioè Vincent Price, eccede in alcuni momenti nella propria maschera di sofferenza generando talvolta un effetto un po’ teatrale, struggendosi nel ricordo dell’amata Elizabeth, quella Barbara Steele che un paio d’anni dopo interpreterà Gloria, la giovane e seducente compagna dell’amico che Guido, il protagonista di 8½ di Fellini (1963), incontrerà alle terme. Price, del resto, sotto la direzione di Corman, ha saputo rappresentare molte delle sfumature della creatività di Poe, compresa quella ironica e comica presente anche in quelle pagine votate a una narrazione horror. Un esempio, tra i tanti, fu il duetto con un istrionico Peter Lorre ne Il gatto nero, secondo episodio de I racconti del terrore, opera che Corman e Matheson trassero dalla novella omonima e da Il barile di Amontillado: in questo film del 1962, l’attore sfoggia addirittura espressioni che difficilmente potrebbero sottrarre lo spettatore italiano dal rammentargli una facile somiglianza con Ciccio Ingrassia, restando in tema di pellicole prevalentemente a basso costo, caratteristica che accomuna anche quelle che solitamente negli Stati Uniti prendono il nome di film d’exploitation. Si tratta di quel sottogenere in cui i piccoli peccati attribuiti a Il pozzo e il pendolo sono frequenti, ma che ha, tuttavia, offerto a parecchi giovani la possibilità di acquisire una solida familiarità con la macchina da presa e al quale i produttori hanno guardato con motivato interesse imprenditoriale.
In un’autobiografia pubblicata agli inizi degli anni Novanta, il “re del film di serie B”, al quale avrebbero assegnato, con Lauren Bacall e Gordon Willis, l’Oscar onorario nel 2010, aveva orgogliosamente rivendicato:
“Pur essendo a basso costo, i miei film hanno partecipato a festival di prestigio, e sono stato il regista più giovane cui abbiano dedicato delle retrospettive alla Cinémathèque Française di Parigi, al National Film Theatre di Londra e al Museum of Modem Art di New York. E negli anni ’70, mentre producevo pellicole di genere exploitation vietate ai minori di 17 anni con la New World, contemporaneamente importavo dall’estero importanti opere d’autore, cinque delle quali vinsero l’Academy Award per il miglior film straniero” (Corman, 1998).
- Roger Corman, Come ho fatto cento film a Hollywood senza mai perdere un dollaro, Lindau, Torino, 1998.
- Edgar Allan Poe, Racconti, Garzanti, Milano, 1989.
- Maurizio Ponzi, Terrore e raziocinio in Roger Corman, Filmcritica, n. 142, febbraio 1964, ITER, Roma.
- Giuseppe Turroni, Roger Corman, Il Castoro Cinema – La Nuova Italia, Firenze, 1976.
- Arthur Stanley Turberville, L’inquisizione spagnola, Feltrinelli, Milano, 1957.
- Federico Fellini, 8½, Mustang Entertainment, 2014 (home video).
- Roger Corman, I vivi e i morti, CG Entertainment, 2010 (home video).
- Roger Corman, I racconti del terrore, CG Entertainment, 2010 (home video).