Ghiaccio bollente, o l’amore
nell’Islanda del Settecento

Ófeigur Sigurðsson
Jón
& le missive che scrisse alla moglie incinta mentre svernava in una grotta & preparava il di lei avvento & dei nuovi tempi
Traduzione di Silvia Cosimini

Safarà Editore,
Pordenone, 2020
pp. 208, € 18,00

Ófeigur Sigurðsson
Jón
& le missive che scrisse alla moglie incinta mentre svernava in una grotta & preparava il di lei avvento & dei nuovi tempi
Traduzione di Silvia Cosimini

Safarà Editore,
Pordenone, 2020
pp. 208, € 18,00


Si annidano delle pagine bianche nella doviziosa autobiografia redatta dal reverendo islandese Jón Steingrímsson (1728-91) in armonia con Dio e con tutte le creature da Lui create. In quella cronaca di una vita operosa e rispettosa delle leggi del Signore, sincera come le Confessioni di Sant’Agostino e intitolata Ævisaga séra Jóns Steingrímssonar, ovvero Biografia del reverendo Jón Steingrímsson, (pubblicata solo nel 1913), manca all’appello un’intera stagione: l’inverno 1755-1756. Prima di proseguire, corre l’obbligo di rispondere a una domanda probabilmente già sorta spontanea: chi è Jón Steingrímsson?
Uomo di fede e di scienza, è un personaggio popolarissimo in Islanda, noto in patria come eldklerkur, ovvero “chierico del fuoco” per via di un evento che ha del miracoloso. Il fatto accadde in una domenica di luglio del 1783, quando il sant’uomo officiò messa sfidando l’eruzione del vulcano Laki, il cui frutto, un fiume di lava, avanzava inesorabile e inarrestabile, sicché la casa del Signore pareva oramai prossima alla distruzione. Nulla di tutto ciò accadde. La marcia si arrestò proprio nei pressi della chiesa dove erano riuniti l’impavido sacerdote e un numero imprecisato di eroici fedeli. Il miracolo donò una fama di tale portata a Steingrímsson da rimanere inalterata fino a oggi, ai tempi di altre celebrità islandesi come Björk e Sigur Rós. Il ricordo permane così vivo da aver indotto lo scrittore Ófeigur Sigurðsson a fare del chierico del fuoco il protagonista del suo secondo e strabiliante romanzo (a oggi ne ha pubblicato quattro e sei raccolte di poesie) uscito nel 2011 e con il quale si è aggiudicato l’European Union Prize for Literature.

Qui in Italia, però, Steingrímsson è stato fino a pochi mesi fa un autentico carneade, noto unicamente agli studiosi di cose della terra d’Islanda; gap ora ridotto grazie all’edizione italiana del romanzo di Sigurðsson, tradotto da Silvia Cosimini per Safarà Editore. Romanzo epistolare che si fregia di un titolo wertmulleriano, Jón & le missive che scrisse alla moglie incinta mentre svernava in una grotta & preparava il di lei avvento & dei nuovi tempi, e ingegnosamente non ripercorre le vicende legate ai fatti del 1783, ma scivola indietro di circa trent’anni, ai tempi di un’altra eruzione, quella che vide protagonista il vulcano Katla nell’inverno 1755-1756: la stagione, come si è accennato, assente nella pur scrupolosa autobiografia di Steingrímsson.
Siamo al tempo del devastante terremoto di Lisbona, il sisma che proprio non andò giù a Voltaire, pronto a scagliarsi contro il leibniziano migliore dei mondi possibili, mentre da pochi anni era apparso il primo volume dell’Encyclopédie. Insomma: lumi contro pennacchi. Quanto al filosofo di Lipsia, come si dirà più avanti, compare anche in Jón, letteralmente sotto altre vesti.
Si è accennato al carattere minuzioso dell’autobiografia del chierico del fuoco e le cronache epistolari del personaggio romanzesco ne conservano l’attenzione al dettaglio, al particolare, alle vicende del quotidiano e alla vita interiore di Jón. Lui racconta tutto, sin dalle prime righe, da quando informa la moglie dell’arrivo nella grotta dove con il fratello trascorrerà l’intero inverno. In un’intervista rilasciata a Francesco Moscatelli, pubblicata sull’inserto tuttolibri de La Stampa, Sigurðsson ha spiegato anche ai lettori italiani come è nata l’idea di romanzare questa porzione di vita della quale si è persa ogni traccia.

“Nella sua dettagliatissima e meravigliosa autobiografia c’è un capitolo mancante, quello relativo all’inverno del 1755-1756 […] Ho visitato la grotta in cui trascorse quei mesi e ho setacciato gli archivi per cercare le lettere che scrisse alla moglie lontana, ma mi sono dovuto arrendere al fatto che non esistevano più. In quel periodo mi consideravo uno scrittore fallito, non trovavo nessuno che mi pubblicasse e non sapevo cosa fare. Così una notte mi sono messo a riscrivere quelle lettere per puro piacere […]. Mi sono reinventato attraverso di lui nello stesso modo in cui lui reinventava se stesso”
(Moscatelli, 2020).

Come trascorse quel durissimo inverno il futuro chierico del fuoco? È un piccolo mistero. Un po’ rimanda ai giorni in cui sparì Agata Christie, caso novecentesco assai celebre, rafforzando il profilo pop di Jón Steingrímsson, almeno nella versione che ci ha disegnato Sigurðsson. La presenza sullo sfondo di un (presunto) omicidio commesso da Jón, rafforza la suggestione. Il sospetto si accompagna a uno scandalo, perché la vittima è l’ex marito di sua moglie, l’amatissima Þórunn destinataria delle ventotto lettere immaginarie congegnate da Sigurðsson che vanno comporre questo sorprendente romanzo. Lui le scrive, aggiornandola su quanto gli capita. Lei è in dolce attesa, lui si strugge per non esserle vicino ma ha dovuto darsi alla macchia per dar modo che la giustizia faccia luce sul brutto affare: la morte di un altro Jón, “l’amministratore del monasterio”, il defunto consorte di Þórunn. In attesa di tempi migliori, anche naturali, climatici e vulcanici, si rifugia assieme al fratello Þorsteinn in una grotta nei pressi di Hellar nella regione meridionale dell’isola, dove nel frattempo:

“il Katla erutta fuoco e lapilli sulla valle della Mýrdalur, dal cielo cadono sabbia e cenere in quantità, fino a oscurare l’aria in pieno giorno. Oltre a ciò piove e tira vento e nevica, e quando tutto si combina è come se dalla cappa di cenere piovesse denso inchiostro”.

Il Katla è uno dei numerosi vulcani che abitano in Islanda, molti attivi, alcuni fermi da un bel po’, e qualcuno estinto ma non nel nostro immaginario, come quello che nel 1864 condusse i tre personaggi verniani al centro della Terra. Dalla descrizione poetica di Jón si può desumere il carattere del vulcano: il Katla è caratterizzato da un’attività esplosivo-effusiva, ovvero mista. Fa un gran botto prima di espellere polvere cenere e lapilli ed erutta fiumi di lava. Si è preso una pausa da un secolo abbondante, assopendosi sotto il ghiacciaio Mýrdalsjökull, ma ai tempi della vicenda narrata da Sigurðsson si diede da fare parecchio.
Sono ricorrenti nel corso della narrazione descrizioni delle durissime condizioni ambientali, quelle legate all’attività del vulcano e quelle altrettanto inclementi dell’inverno islandese. Agire della natura indifferente alle sorti degli uomini, sempre sul punto di soccombere ma che affrontano con successo qualsiasi prova se fortificati dalla fede riposta nell’agire divino, seppur imperscrutabile. “L’Onnipotente dispone di ogni cosa in maniera mirabile e guida gli esseri umani su percorsi inaspettati”, confida Jón a Þórunn. La stagione all’inferno, tra ghiacci e lava, trascorsa da Steingrímsson è lì a provarlo. Lo annota nelle sue epistole il reverendo, alternando passaggi dal tono diaristico ad altri che paiono versi liberi capaci con un montaggio mozzafiato da videoclip, prima ancora che cinematografico, di riassumere in pochi istanti azioni, sentimenti, impressioni e ricordi. Ecco l’annotazione di un ricordo:

“Era il giorno seguente al mio ventisettesimo compleanno, verso l’ora terza, mi trovavo a casa a Frostastaðir tra i miei libri e discorrevo con te – te ne ricordi per certo meglio di me, ma in tal guisa è apparsa a me l’immagine divina: stavamo presso alla libreria nel mio studio, tu indossavi la gonna rossa e la vecchia tonaca monastica color ruggine che tu chiami la cappa buona, io portavo i vestimenti grigi e il cappotto blu, perché dentro faceva freddo; stavamo lì a dibattere se potevamo sopportare di dimorare ancora nella regione settentrionale, le voci che bisbigliavano che avessimo ucciso Jón l’amministratore del monasterio si erano fatte strepitanti e soverchie”.

E questo è il vertiginoso susseguirsi di immagini, un meccanismo predisposto e adoperato ripetutamente da Sigurðsson:

“L’accompagnatore disparve alla nostra visuale/credo sia andato nella giusta direzione più o meno/i giovani come lui sanno cavarsela/noi tre proseguimmo lungo la valle e la brughiera/trovammo del gelo e una bufera di neve/che s’alzava in ogni direzione e ci soffocava/i cavalli da soma non riuscivano ad avanzare/il basto strascicava nella neve/a turno io e mio fratello aprivamo la strada/davanti ai cavalli/come ovini di prima scelta/il garzone Jón chiudeva la carovana/la neve ci arrivava all’inguine/procedevamo con lentezza/giungemmo al Þrígil col buio/ci accampammo sulla neve indurita/ su un’agevole altura ghiaiosa/legammo i cavalli/non senza fatica/accamparsi in un tale finimondo/a un certo momento il vento tira da settentrione/il momento dopo verso settentrione/per un istante spira in una direzione/l’istante dopo in quella opposta/riuscimmo a impedire che la tenda si riempisse di neve/entrammo strisciando/fuori non c’era neve/…”.

Cosicché, mascherata con un lessico ripreso ad arte dai secoli scorsi (il palagio, il dugento e così via), la scrittura di Sigurðsson svela il suo carattere all’altezza dei tempi, tra pastiche letterario, serialità (le lettere antesignane di puntate/episodi), mix di generi (romanzo storico, epistolare, d’amore e crimine), per non dire di un citazionismo raffinato e funzionale. Si è detto sopra di Gottfried Liebniz. Il filosofo tedesco viene letto e tradotto inconsapevolmente dal futuro chierico del fuoco, che si diletta di traduzioni oltre che di scienze naturali e di medicina. Nel corso di quel lungo inverno è alle prese tra gli altri con un testo mirabile di filosofia, “un magnifico scritto di Frau Guðfríður di Leipzig che porta il titolo di Discours de métaphysique nella sua prima edizione, scritto in origine nella lingua gallica”.

La Frau altri non è che Leibniz come ci indica il nome (Goffredo). Quanto al Discours de métaphysique, venne scritto da Leibniz nel gennaio del 1686 effettivamente in francese, ma non venne pubblicato se non nel 1846, quindi circa un decennio prima della fuga di Jón, dall’editore Grotefend (cfr. Leibniz, 2013). La copia in suo possesso è un’imprecisata edizione in tedesco. Lo slittamento di identità è indicativo del singolare intreccio tra verità storica e finzione imbastito maliziosamente da Sigurðsson, un procedimento che investe altri due personaggi realmente esistiti e autentici monumenti della cultura scientifica islandese.
Si tratta di Bjarni Pálsson ed Eggert Ólafsson (nel romanzo prima indicati familiarmente Bjarni & Eggert e poi con la sigla B&E), membri dell’Accademia delle Scienze di Copenaghen (Copenaga nel romanzo, come si chiamava in italiano all’epoca dei fatti narrati) alle prese con l’esplorazione del territorio islandese con particolare attenzione proprio ai vulcani, fanno tappa nell’umile ma accogliente dimora ricavata come si è detto da una grotta dal reverendo insieme a suo fratello. La coppia è il segno zodiacale sotto il quale si dispiega l’intera storia.
Tutto nel romanzo ruota intorno al concetto di coppia, non solo di quella sentimentale tra Jón e Þórunn: intercorre discreta lungo l’intera narrazione quella tra il reverendo e il suo operoso fratello (“è un abile artigiano e possiede grandi abilità manuali”), vanno a braccetto elementi naturali come il fuoco e la neve, la nube vulcanica e la pioggia, la luce e il buio, la coppia B&E; ovunque sullo sfondo si staglia la relazione sempre irrisolta tra l’uomo e la natura, a far da filo conduttore è la polarità colpa/innocenza, e nella figura di Steingrímsson albergano al tempo stesso il religioso e l’uomo di scienza, tutti i personaggi appartengono al passato e ai nuovi tempi annunciati nel titolo (l’Illuminismo?), nella sua scrittura vanno a braccetto il diario e il verso poetico, la narrazione storica e la finzione letteraria.

Tra un bicchiere di brennivín, acquavite d’Islanda, e divagazioni d’ogni sorta, dalla leggenda all’origine del nome Katla a confessioni di desiderio della moglie che neanche il grande inverno sopisce, dal dibattito intorno al titolo più consono alla traduzione del testo di Frau Guðfríður alle ricette e i medicamenti per i danni procurati a uomini e animali dalla nube tossica emessa dal Katla, dal disquisire sulla melancolia al comporre versi, le lettere ci conducono passo dopo passo anche alla ricostruzione di come andarono i fatti relativi alla morte di Jón l’amministratore del monasterio, eventi di cui Jón, il futuro chierico del fuoco informa un altro personaggio chiave, lo sceriffo generale Skúli Magnússon, anch’egli personaggio storico e uomo dai molteplici interessi, al punto da aver persino scritto un Breve compendio sulla filatura islandese: e come l’esperienza e la laboriosità vollero emendarla & ampliarla. Dona ai due fratelli alle prese con la trasformazione della grotta in dimora, una lastra di vetro, regalo prezioso perché “adesso dalla grotta possiamo godere della vista sul mare come se fossimo a cielo aperto” confida Jón alla diletta Þórunn. In quella grotta prendono corpo le lettere, i sogni, gli incubi, le confessioni di Steingrímsson; è lì che coltiva letture e studi mentre l’infaticabile fratello si da un gran daffare.

Vulcani, ghiacci, grotte: i paesaggi della mente sono tòpoi ben precisi in quell’isola. Basti vedere la grotta in cui si trova Björk nel video per il brano Black Lake dall’album Vulnicura (2015) e si capirà che il chierico del fuoco si è davvero radicato nell’immaginario islandese. Natura, arte, scienza: di tutto un pop… un altro miracolo di Jón.

Letture
  • Gottfried Wilhelm Von Leibniz, Opere, Utet, Torino, 2013.
  • Francesco Moscatelli, Ófeigur Sigurðsson. Dio esiste e abitava in Islanda, tuttolibri, La Stampa, 16 maggio, 2020.