Uno sguardo al domani
rivolto con saperi adeguati

Roberto Paura
Occupare Il futuro
Prevedere, anticipare
e trasformare il mondo di domani
Codice Edizioni, Torino, 2022

pp. 366, € 23,00

Roberto Paura
Occupare Il futuro
Prevedere, anticipare
e trasformare il mondo di domani
Codice Edizioni, Torino, 2022

pp. 366, € 23,00


“La Rivoluzione francese? Troppo presto per formulare un giudizio”. Questa frase celebre viene solitamente attribuita a Zhou Enlai, uno dei protagonisti della Cina maoista, interpellato quasi duecento anni dopo la Presa della Bastiglia. Battuta perfetta per rilanciare la proverbiale saggezza cinese. Sebbene si trattasse di un malinteso, perché lo statista cinese si riferiva al maggio parigino del 1968 (cfr. Marsili, 2019), il siparietto è rimasto negli annali e oggi risulta ancora più significativo rispetto alla velocità di circolazione (e di dimenticanza) delle informazioni. Quel consumo parossistico di infomi tanto criticato da Byung-Chul Han. Guardare all’impatto di un evento epocale valutandolo in archi temporali addirittura centenari se non millenari toglie il fiato all’individuo contemporaneo abituato alle risposte immediate, alla maneggevolezza del breve periodo, ai ritmi del social networking. In Occupare il futuro di Roberto Paura, la critica al presentismo è un punto di partenza per motivare l’importanza di una scienza futurologica oggi.

Le ambizioni e i prodotti degli studi sul futuro
La prima e la seconda parte del libro costituiscono un fondamentale compendio per capire le origini storiche e le radici teoriche degli studi sul futuro. Scopriamo per esempio le diverse sfumature della disciplina partendo dall’uso delle parole “futurologo” (l’accento va sul “logos”) e “futurista“. Una differenza emersa nel corso del tempo anche per smarcarsi da una concezione tradizionale degli studi sul futuro troppo vicina al positivismo e all’accademia. Tra l’altro i primi futurologi propriamente detti erano scienziati prestati alle strategie militari nel corso della Guerra Fredda. Per Paura a quella futurologia fatta quasi esclusivamente di calcoli matematici va comunque

“ascritto il merito di aver introdotto alcune delle più importanti tecniche di previsione sociale ancora oggi impiegate: innanzitutto la costruzione di scenari, sulla base dell’idea che non esista un unico futuro ma una molteplicità di possibilità da esplorare e simulare”.

In effetti il libro insiste molto sull’idea degli scenari contrapposta all’idea di sfornare previsioni. Per la futurologia più moderna è scontato inquadrare il cammino tecno-scientifico dell’umanità nella sua non-linearità. Una dimostrazione della straordinaria duttilità teorica di questo lavoro (e della futurologia moderna in generale) è il continuo rimbalzo tra paradigmi scientifici e teorie filosofiche. Paura motiva l’importanza della interdisciplinarità citando per esempio la filosofa Simone Weil che aveva definito il concetto di “sradicamento” nei termini dell’affidarsi esclusivamente a una civilizzazione fatta di numeri e quantità senza considerare i rapporti tra le cose che i numeri rappresentano. Per uno studioso dei fenomeni sociali la negazione della materia non ha senso almeno quanto negare che esistano ideologie, mitologie, costrutti archetipali. Già nel suo saggio sull’immaginario tecno-scientifico, Il cielo sopra il porto (2019), Paura spiegava la forza della finzione fantascientifica nei termini di un saper scrutare in ogni piega del presente, di solito partendo da una certa vicinanza dello scrittore rispetto a una particolare nicchia tecnologica. Per il futurologo, le intuizioni della narrativa potrebbero aiutare a raggiungere “utopie realistiche” ovvero “orizzonti di aspettativa che possono produrre effetti concreti sul presente”. Ma al momento

“ci viene estremamente più semplice immaginare distopie e scenari catastrofici, uno dei quali – la pandemia virale – è addirittura fuoriuscito dall’immaginario fantascientifico per invadere in modo drammatico il nostro presente”.

Un altro modo per farci paralizzare dal presente. Come recuperare allora la capacità di immaginare realmente il nostro domani?

Siamo nel passato o nel futuro?
L’oggetto della futurologia (o del futurismo se crea imbarazzo l’accento sul logos) dovrebbe comprendere anche il fatto che la Storia e le storie individuali si muovono lungo percorsi tutt’altro che lineari o progressivi ma piuttosto reticolari. Siamo nel passato o nel futuro? Se lo chiedono spesso i personaggi ideati da David Lynch in Twin Peaks (specie nella terza stagione), strattonati (e noi con loro) da un continuum narrativo punteggiato da affascinanti tunnel spazio-temporali che collegano eventi, mettendo in parallelo le bombe atomiche della Storia e le bombe emotive della memoria individuale. Prendiamo i tunnel lynchiani come metafora per evidenziare possibili nodi di reti narrative che nell’uomo contemporaneo, lungi dall’essere semplice intrattenimento, possono plasmare gli atteggiamenti e favorire certe svolte esistenziali invece di altre. Probabilmente il groviglio storico di nazioni e sistemi sociali condivide una simile non-linearità reticolare.

Per Martin Heidegger il comportamento umano è caratterizzato dal fatto che l’esistere deve necessariamente avere un senso. L’essere-nel-mondo è sempre aperto al progetto, costantemente in tensione tra due poli: la situazione e la possibilità (cfr. Heidegger, 2021). Per il soggetto la possibilità si nutre di intersoggettività ovvero di quella rete di presenze altre che ci avvolge fin dalla nascita. Il pensiero narrativo è un derivato di questa intersoggettività e ci aiuta a spiegare in parte il comportamento umano aggiungendo qualcosa alle sostanze numeriche e fattuali. Prendere in considerazione l’esistenza di un pensiero narrativo aiuta ad accogliere scenari multidimensionali dando conto di quei contenuti cognitivi ed emotivi che possono accompagnare i fenomeni.
Mai sottovalutare la dimensione fenomenologica dell’esistenza. Spesso le grandi decisioni individuali maturano a seguito di scelte apparentemente irrazionali che si lasciano determinare da dettagli casuali. Dettagli che trapelano e sopravvivono sul palcoscenico della coscienza nonostante questa, in genere, sia impegnata a razionalizzare, a progettare il futuro. La Storia vive di fenomeni carsici, del sommerso, di sorprendenti ritorni, proprio come avviene nell’individuo e come viene rappresentato in Twin Peaks. Microfratture nel continuum esistenziale definite dal fatto che la coscienza riesce a controllare e a percepire con pienezza solo una piccola parte di ciò che incontra. Alcuni dettagli vengono assorbiti inconsciamente per poi ricomporsi a posteriori. Ecco all’opera il pensiero narrativo come oscuro processo di formazione del nostro essere e quindi, probabilmente, del mondo intero in quanto fascio di esistenze messe in relazione tra loro. Big data, previsioni, ideologie e paradigmi teorici possono farci pensare il mondo e come plasmarlo. Per dirla con Jorge Luis Borges, possiamo sognarlo “resistente, misterioso, visibile, ubiquo nello spazio, fermo nel tempo” ma poi dobbiamo ammettere nell’architettura di questo mondo “tenui ed eterni interstizi di assurdità per sapere che è finto” (Borges, 2015).

La storia siamo noi che scriviamo le lettere
Come indicano importanti personalità del capitalismo contemporaneo citate da Paura, la prossima big thing del mercato tecnologico è un seme che è già lì fuori, invisibile, sottotraccia e che domani diventerà improvvisamente il motore di innovazioni disruptive. O forse la scintilla che farà scoppiare la prossima guerra. La Storia è come un fiume sotterraneo che scorre e continua a crescere sviluppando di nascosto il suo percorso erosivo. I coaguli in questo fluire emergono improvvisi e con angolazioni inaspettate perché viaggiano clandestinamente fino al loro manifestarsi.

Questa è la bussola metaforica adottata da Emir Kusturica nel raccontare eventi bellici non molto lontani da noi in quello straordinario film intitolato Underground (1995) in cui viene raccontata la storia della Jugoslavia dalla liberazione dal nazi-fascismo fino alla sua dissoluzione. Marko e Blacky sono due truffatori di Belgrado che, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, tengono un gruppo di rifugiati in un sotterraneo allo scopo di fargli fabbricare armi destinate al mercato nero. Alla fine della guerra Marko riesce a far credere a tutti che la guerra continua e il gruppo resta nel tunnel per quasi vent’anni. Nel frattempo, in superficie, Marko si ritaglia un ruolo nel regime di Tito. Si passa da una guerra all’altra tenendo il focus sulla manipolazione delle passioni e sul tradimento.
La futurologia deve tenere in debita considerazione l’idea di un fluire storico segreto, di una privacy del potere che cela follie e particolarismi, modi di muovere i fili del tutto arbitrari e quasi senza regole. Roberto Paura ricorda il realismo di Bertrand de Jouvenel, una dei padri fondatori della futurologia nel Novecento, consapevole che “esistono diversi livelli di potere relativi al futuro” e che “alcuni futuri ci sembrano immodificabili, ma per chi detiene più potere di noi sono invece modificabili”. L’auspicio di una maggiore trasparenza nei processi decisionali è il cuore della terza parte di Occupare il futuro, quella in cui si avanzano proposte per il futuro.

Numero di giocatori: zero
Ne Il dottor Stranamore (che Paura cita nel suo libro a proposito di Herman Kahn, lo scienziato che aveva teorizzato la possibilità di combattere guerre termonucleari senza necessariamente affrontare scenari di distruzione eccessivamente drastici) viene mostrato quanto sia importante per il potere costituito proteggere da occhi indiscreti il funzionamento delle macchine belliche. La prima cosa da tenere nascosta è la personalità dei protagonisti. La gigantesca war room ideata da Stanley Kubrick è una sala giochi popolata da folli che decidono il destino del mondo.

Meno surreale ma comunque pazza anche la war room del film di John Badham, Wargames – Giochi di guerra (1983). La facilità con cui il giovane hacker entra “per gioco” nella stanza dei bottoni genera uno stridore dissociativo tra i toni narrativi e la drammaticità del contesto geopolitico in scena ovvero una imminente pioggia di testate termonucleari sul mondo. Il film evidenzia con rara efficienza l’assurdità della guerra scalando registri emotivi con ritmi e pause vertiginose. Wargames anticipa aspetti politici e culturali oggi di straordinaria attualità quali la gamification della società, l’uso dell’ingegneria sociale e della credulità per acquisire e manipolare il potere, la confusione tra realtà e simulazione, lo stress di vivere in un contesto geopolitico basato sulla deterrenza termonucleare.
Oggi, oltre ai segreti di stato che ammantano una guerra canonica, il regime dell’invisibile e dell’imponderabile comprende anche l’immenso potenziale della vita che pulsa dentro gli elaboratori elettronici e le reti digitali, in cui già da tempo si combattono guerre invisibili e si sperimentano nuovi sistemi di sorveglianza. Tra l’altro proprio Wargames è tra i primi film a evidenziare sistemi e risorse di calcolo dedicate alla simulazione di scenari, una stimolazione futurologica che ha spinto le tecniche quantitative a ricalibrarsi sfruttando i vantaggi dell’informatica. Un esempio storico citato da Paura è costituito dagli anelli di retroazione che simulano il rapporto tra più variabili correlate tramite il supercalcolo.

“Gli anelli di retroazione non sono deterministici: possono produrre effetti sensibili con un certo ritardo rispetto al feedback ricevuto, oppure mantenere il sistema inalterato finché non si raggiunge un determinato valore critico (o valore soglia); a volte basta una piccola variazione nell’input perché l’output generato si estenda su scala globale, un concetto reso familiare dal cosiddetto effetto farfalla”.

Futuri democratici
Uno dei fondatori della disciplina futurologica, il già citato Bertrand de Jouvenel, parlava di “arte della congettura” collegandola all’avvenire della politica. L’analisi dei trend richiede dunque anche metodi qualitativi per ascoltare tutti i segnali, anche quelli più deboli. Prendiamo il metodo Delphi citato nel libro: coinvolgere esperti di determinati settori e metterli a discutere su un argomento per definire punti condivisi, sia in sede analitica che in sede propositiva. Del resto sin dalle prime riunioni del Club di Roma nel 1972, appariva chiaro che la futurologia non poteva esistere senza una forte impronta operativa orientata alla fornitura di opinioni destinate soprattutto ai decisori politici. Ma prendere decisioni sulla base di congetture è una questione piuttosto delicata che al momento non sembra saggio affidare alla demoscopia o a indagini puramente quantitative. Paura sottolinea la complessità degli oggetti di studio della futurologia e richiama il concetto di “iperoggetto” teorizzato da Timothy Morton. Gli iperoggetti sono sistemi di relazione tra oggetti e concetti che si estendono nello spazio e nel tempo in modo molto più ampio di quanto l’essere umano sia in grado di computare.

L’auspicio di una visione realmente pluralistica del possibile va dunque di pari passo con la necessità di alfabetizzare l’opinione pubblica rispetto al futuro ma anche con quella di decolonizzare il futuro stesso da visioni eccessivamente riduzioniste. Paura riprende il concetto dalla sociologa Barbara Adam che parla di “colonizzazione del futuro” mettendo in evidenza come certe istanze politiche e ideologiche insite nell’attuale schema capitalistico siano in grado di influenzare il modo in cui fantastichiamo sull’avvenire tenendo fuori dalla discussione i rapporti di potere esistenti e quindi compromettendo l’esistenza di futuri realmente altri.
La terza parte di Occupare il futuro propone traiettorie da seguire tenendo il punto fermo del dibattito pluralista sulle visioni. Qualcosa di simile alla democrazia anticipatrice esposta da Mark Fisher ovvero un “ininterrotto plebiscito sul futuro”. In effetti una incessante opera di divulgazione scientifica e l’impegno per un coinvolgimento continuo dell’opinione pubblica su temi futuribili costituisce proprio la missione dell’istituzione presieduta dallo stesso Roberto Paura ovvero l’Italian Institute for the Future (IIF). Lasciamo dunque che siano i computer a preoccuparsi del futuro. A noi umani la prerogativa di occupare quel futuro con la nostra immaginazione. Ma solo a patto di saper dialogare civilmente superando steccati tecnocratici, feticismi numerici o resistenze superstiziose nei confronti del nuovo e di ciò che non comprendiamo.

Letture
  • Jorge Luis Borges, Finzioni, Adelphi, Milano, 2015.
  • Martin Heidegger, Essere e Tempo, Mondadori, Milano, 2021.
  • Lorenzo Marsili, La tua patria è il mondo intero, Laterza, Bari-Roma, 2019.
  • Roberto Paura, Il cielo sopra il porto. Introduzione alla speculative fiction, Italian Institute for the Future, Napoli, 2019.
Visioni
  • John Badham, Wargames – Giochi di guerra, 20th Century Fox / Disney, 2020 (home video).
  • Emir Kusturica, Underground, Rai Cinema, 2006 (home video).
  • Stanley Kubrick, Il Dottor Stranamore, Sony, 2009 (home video).
  • David Lynch, Twin Peaks: Stagione 3, Paramount, 2018  (home video).