“Un pianoforte può dirsi in Rovina (che è altro da Negletto o Dilapidato) quando è stato abbandonato alle intemperie, diventando un decrepito scatolone da cui possono scaturire imprevedibili clangori, schiocchi e borborigmi, in cui non c’è una sola nota (con la possibile eccezione del Re) che possa ricordare quella di un pianoforte verticale accordato secondo il sistema temperato. Capita di pigiare un tasto e di vederne altri cinque o sei abbassarsi per il piacere della compagnia, creando cluster sorprendenti e fasce di armonici in eterna risonanza. Le note che non funzionano – clic, tonfi, schianti – sono interessanti non meno di quelle che funzionano. Ogni Pianoforte in Rovina ha azione e intonazione assolutamente unici e peculiari (ammesso che si possa parlare di intonazione). Un Fa diesis un’ottava e mezza sopra il Do centrale suonato su un Pianoforte in Rovina dell’Australia Occidentale in ambiente semidesertico suonerà in modo completamente diverso dalla stessa nota su un Pianoforte Alluvionato in uno studio al quarto piano sotto il livello stradale a Praga. Un Pianoforte in Rovina mantiene telaio e cassa sostanzialmente intatti (anche se la tavola di risonanza è spaccata a metà, da vedersene splendere in mezzo l’azzurro del cielo) e dunque può essere suonato alla maniera tradizionale. Di contro, un Pianoforte Dilapidato si suona solitamente in posizione accosciata o supina. Tutto ci conduce alla domanda: Che cos’è un pianoforte?”
(Ross Bolleter, 2010, traduzione di Marco Bertoli).
Questa tassonomia riportata nelle note di copertina di Night Kitchen, ha il sapore e lo spessore di una narrazione di genere fantastico, un’atmosfera che induce a immaginare le vicende di una società ristretta, costituita da un numero esiguo di membri, una congrega dedita a un solo nobile scopo, condotto con fini artistici e in qualche modo esoterici, come si confà a tutti i circoli esclusivi. La regola da espletare consiste nel recuperare Pianoforti in Rovina sparsi ai quattro angoli del mondo e suonarli nell’unico modo possibile, ovvero abbandonandosi all’estro del momento. Improvvisando, in altre parole. La musica che scaturisce da questi strumenti ancora musicali andrà il più possibile registrata e le incisioni rese accessibili a tutti. La società si chiama Warps, che letteralmente significa deformazioni, ma è l’acronimo di World Association for Ruined Piano Studies. È stata fondata nel 1991 da due singolari personaggi: Stephen Scott e Ross Bolleter.
Il primo è nato nell’Oregon, è l’inventore di una variante del pianoforte preparato, il bowed piano, ed è insegnante di musica nel Colorado. Il bowed piano (bow indica l’archetto di violino con cui vengono sollecitate le corde del pianoforte) non richiede uno ma diversi esecutori, finanche dieci, che oltre agli archetti usano fili di nylon fissati alle dita che fanno scorrere sotto le corde. Lo sfregamento collettivo produce un suono a tratti ipnotico, stupefacente e sempre avvolgente.
Bolleter è australiano, sperimentatore sonoro, insegnante di Zen e creatore di The Ruined Piano Sanctuary all’interno di Wambyn Olive Farm, sito che intrattiene come altri luoghi dell’Australia un intimo rapporto con le origini del mondo. Il santuario è a ottanta chilometri a est di Perth, città dell’Australia occidentale affacciata sull’Oceano Indiano.
Le vicende artistiche di Scott e Bolleter si inseriscono all’interno di una più vasta area di molteplici sperimentazioni che demoliscono non solo regole, norme, codici e funzioni della musica, ma anche degli strumenti che vengono adoperati. Una pratica diffusa, trasversale, fiorita ovunque, diffusamente nella seconda metà del Novecento e che ha in particolare privilegiato proprio il pianoforte, oggetto di iconoclastiche attenzioni essendo lo strumento/icona per eccellenza della musica borghese occidentale. Lungo questo percorso si giunge all’incrocio con il trovarobato musicale, il fai-da-te, l’utilizzo sonoro di oggetti nati per altro uso, dalle seghe elettriche, ai bidoni, alle latte o, in chiave più easy, alle padelle che adoperava Tony Esposito. Volendo restringere il campo, i Pianoforti Rovinati si incasellano all’interno della categoria delle sculture sonore, messe a punto non solo con pianoforti, ma anche con chitarre, violini, violoncelli, trombe, tromboni, flauti e altro ancora.
In particolare questi pianoforti temperati dalle intemperie, dalle condizioni ambientali con cui interagiscono, sono parenti stretti dei pianoforti mal-trattati dalla neozelandese Annea Lockwood. Anche in questo caso è necessario mappare le performance. La Lockwood ha prodotto a partire dal 1969 una serie di interventi battezzati PianoTransplants, suddivisi in quattro categorie: Piano Burnings, Piano Drowning, Piano Garden, Southern Exposure.
Nel primo caso i pianoforti vengono bruciati producendo un singolare crepitio di suoni, mentre le corde abbrustoliscono, così come la tastiera. Arte che ritrova la sua dimensione auratica. Gli altri lavori prevedono il lento inesorabile affogamento in fiumi o stagni, il trapianto in rigogliosi giardini, oppure l’insabbiamento in riva al mare in attesa dell’alta marea. Ognuna di queste singolari condizioni attiva nel tempo suoni aleatori originati dall’interazione del pianoforte con l’ambiente nel quale viene calato. Come nei migliori racconti fantastici, Annea Lockowwod e Ross Bolleter, due esistenze quasi improbabili, si sono incontrati nel 2005 in occasione dell’inaugurazione di Piano Labyrinth gigantesca installazione per quattordici pianoforti (tutti rigorosamente rovinati) preparata in occasione dell’evento The First Ever Ruined Piano Convergence, tenutosi al Pica (Perth Institute of Contemporary Arts).
L’attività del Warps, singolare incrocio di tecnica, mistero, filosofia, sperimentazione, inutilità ricorda le pratiche di un’altra associazione per pochi intimi, nata in Francia nel 1960: l’Ouvroir de littérature potentielle (Opificio di letteratura potenziale), in breve: Oulipo. Il gruppo creato da Raymond Queneau e il chimico e matematico François Le Lionnais ha ingaggiato nel tempo autori come Italo Calvino e Georges Perec, conta un numero di adepti superiore al Warps, ma se consideriamo per intero la grande famiglia dei pianoforti in ambasce, il rapporto numerico cambia. Le cifre, però, in questo caso contano poco (anche se contano molto nelle opere oulipiane), vale soltanto, unicamente lo spirito, l’approccio e tra Oulipo e Warps, l’affinità elettiva c’è tutta. Scriveva Queneau nel 1964:
“Le nostre ricerche sono: 1) Ingenue: uso la parola ingenuo nel suo senso perimatematico, come si dice la teoria ingenua degli insiemi. Procediamo senza troppo sottilizzare. Cerchiamo di dimostrare il movimento camminando. 2) Artigianali, ma questo non è fondamentale. 3) Divertenti, almeno per noi. Certuni le trovano di una ‘sordida noia’, ma questo non dovrebbe spaventarvi perché non siete qui per divertirvi”
(Queneau, 1981).
Ingenuo, artigianale, divertente. Tre concetti minimi e profondi che tracciano singolari convergenze, suggerendo l’esistenza di un tratto comune tra gli innumerevoli circoli ristretti reali o immaginari, tutti partecipi dell’essenza dell’eroico, dai cacciatori di Pianoforti Rovinati a quelli di parole senza una determinata vocale. Tutti figli del Fitzcarraldo di Werner Herzog, forse, perché tutti dediti a compiere missioni impossibili e forse insensate. In questa biblioteca del gesto vano si trovano diversi documenti firmati da Ross Bolleter, che ha registrato sinora una decina di dischi dedicati all’estrazione di suoni alieni dai Pianoforti Rovinati. Il più recente sinora, si intitola non casualmente Night Kitchen, poiché per l’occasione Bolleter si produce in una serie di quattordici performance improvvisando e componendo con ben cinque pianoforti rovinati alloggiati nella cucina del Warps Studio (di cui quattro vi soggiornano stabilmente), suonandoli simultaneamente (in diversi brani) nel cuore della notte oppure all’alba.
Tutto ci conduce a una seconda domanda: come suonano questi Pianoforti Rovinati? Come se provenissero da altri mondi, come quelli che un altro ricercatore dello strano, Nicola Cipani, nato in Svizzera, vissuto in Italia e poi finito a insegnare musica a New York, dove si è messo alla ricerca di pianoforti rotti e dopo averne rastrellati un po’ si è dedicato a comporre per questi strumenti che potremmo definire diversamente abilitati a essere suonati. La raccolta posta agli antipodi dell’esemplare Clavicembalo ben temperato di Johann Sebastian Bach si intitola The Ill-Tempered Piano. Ebbene, come suonano i pianoforti di Bolleter e Cipani? Come
“una musica immaginaria, ideale per mondi borgesiani come Tlön, dove alla base dell’aritmetica c’è la nozione di numero indefinito, o per qualche città invisibile calviniana, forse Zemrude, dove l’umore di chi la guarda ne cambia la forma. Musica di altri mondi, dove il piano suona come uno xilofono, un cymbalom, un sitar, una chitarra a sua volta scordata alla Derek Bailey, o un qualche marchingegno elettronico analogico. Sembra tanti altri strumenti tranne che un piano, anche se a tratti si potrebbe pensare ad uno strumento preparato alla Cage, così come a Fluxus sembra ispirarsi nello spirito questa performance. I suoni sprofondano dentro se stessi, oppure trovano istantanei, spericolati equilibri armonici, emanano insoliti riverberi, insomma fanno quel che possono, essendo rottami o quasi”
(Fucile, 2009).
Un viaggio sulle montagne russe del timbro, dove si scende a precipizio verso un rimbombo esteso, finendo avvolti in una nuvola di cupi rintocchi, di vibrazioni oscure, risalendo di scatto verso suoni acuti che guizzano, procedendo sghembi tra corde che sghignazzano. Un susseguirsi di suoni ispidi, molli e lapidari. Tutto questo ci conduce a una terza domanda, senza risposta: che cos’è un pianista?
- Ross Bolleter, Secret Sandhills & Satellites, Emanem, 2007.
- Nicola Cipani, The Ill-Tempered Piano, Long Song Records, 2009.
- Annea Lockwood, Early Works 1967-1982, E.M. Records, 2007.
- Stephen Scott, New Music for Bowed Piano, New Albion, 1999.
- Gennaro Fucile, The Ill-Tempered Piano di Nicola Cipani, Musica Jazz, marzo 2009.
- Raymond Queneau, Segni, cifre e lettere, Einaudi, Torino, 1981.