Non è mai esistita una definizione che mettesse tutti d’accordo. È l’oggetto culturale a fare il nerd o il modo in cui quest’ultimo tratta quell’oggetto a determinare lo status di nerditudine? Odoya ha pubblicato una guida per questa tipologia particolare di immaginario, un corposo volume illustrato scritto da cinque autori – Fabrizio Venerandi, Jacopo Nacci, Gregorio Magini, Alessandro Lolli e Irene Rubino – ognuno dei quali si occupa di un intero capitolo, affrontando il tema da un punto di vista differente. Durante la lettura del testo principale è possibile incontrare numerose schede di approfondimento riguardanti sia singoli prodotti della cultura di massa, come i Simpson e Doctor Who, sia momenti socialmente rilevanti, come il passaggio dalle riviste di informatica alle forme di comunitarismo su internet, descritti in maniera rigorosa, passionale, da chi proprio quei momenti li ha vissuti.
Problemi di definizione
Il primo passo da fare per inoltrarsi in questo percorso è definire che cosa si intende per nerd. All’interno del testo viene ribadito che la figura del nerd è poliedrica, complicata a tal punto da chiedersi se esiste davvero una forma in grado di definirla. È forse tra le categorie sociali più difficili da determinare in maniera certa poiché i potenziali adepti, nonché coloro che si percepiscono come tali, possono rientrarvici sia per ragioni storiche (se si è nati tra gli anni Sessanta e Settanta, quindi nel momento in cui nasceva come categoria sociale) sia per i propri interessi o hobby (guardando cartoni animati, giocando ai giochi di ruolo, eccetera), oltre che per il modo con cui ci si rapporta con gli altri (goffaggine nelle conversazioni anche più elementari).
Non esiste un sistema regolamentato che possa chiarificare e determinare chi possa essere o non essere annoverabile in questo gruppo: la stessa comunità nerd non ha confini ben definiti e fa fatica a concepirsi come un movimento unitario, poiché gli stessi appartenenti, come ogni gruppo sociale definito in quanto tale, non si rispecchiano totalmente in ciò che Benjamin Nugent definisce gli elementi cardine della nerdità:
1) passioni per attività che escludono coinvolgimento fisico ed emotivo,
2) predilezione per le forme di comunicazione logiche e razionali,
3) eccessivo amore per le tecnologie utilizzate oltre che per lavoro anche per divertimento (cfr. Nugent, 2008).
Quello del nerd sembrerebbe essere ancora uno status attribuibile solo dall’esterno, da coloro che se ne distanziano maggiormente e sintetizzano, ai limiti della stereotipizzazione, certe caratteristiche normalmente considerate non desiderabili (cfr. Gandolfi, 2014). Per trovare una comune radice che possa quantomeno abbozzare la figura del nerd bisogna guardare al suo interesse per i mondi, i personaggi e le storie immaginarie. Il nerd infatti investe tempo, denaro e attenzione in tali narrazioni ai limiti dell’impossibile poiché queste ultime alimenterebbero non tanto l’immersione in una realtà mimetica, alternativa, ma la ricerca di percorsi narrativi di senso che possano stimolarne la fantasia, l’amore.
Non deve sorprendere quindi che tra appassionati del genere, o meglio, di questo crogiuolo di generi, ci si ritrovi ben presto a parlare tanto di Jules Verne e Game of Thrones, quanto di Mario Kart e del Millennium Falcon edizione limitata della Lego.
Oltre il segno dell’informatica
Il primo capitolo di Fabrizio Venerandi introduce il discorso enfatizzando le tappe dello sviluppo della tecnologia informatica rapportandole ai vissuti dei ragazzi dell’epoca, lui compreso. Gli home computer hanno iniziato a diffondersi nelle case delle classi medio-borghesi negli anni Ottanta, ed è proprio con essi che si sancì l’avvento della cultura nerd in quanto tale. I computer portavano con sé un nuovo linguaggio, nel senso letterale e metaforico del termine: la programmazione, i comandi che era necessario impartire alla macchina per farla funzionare portavano con sé un senso di libertà mai provato. La possibilità di programmare un oggetto tecnologico infatti è conditio sine qua non per la determinazione delle prime forme di nerd, cioè il programmatore-esploratore curioso che ha bisogno di smontare e riconfigurare la macchina di turno per capirla, personalizzarla ed elevarla all’ennesima potenza.
Questo nuovo linguaggio rappresentava di per sé una modalità d’ingresso per un nuovo mondo tecnologico, portando alla nascita delle prime comunità online, che prima di allora sopravvivevano nello scambio di informazioni grazie all’ausilio di riviste cartacee e convention. Il passo successivo alla programmazione furono i videogiochi, vere entità calamitiche dell’industria culturale. Essi si presentarono come il modo più fascinoso di socializzare con l’informatica (cfr. Turkle, 2005) nonché una tipologia di intrattenimento del tutto nuova, una forma di comunicazione e arte contemporanea di cui probabilmente non siamo ancora in grado di cogliere le reali potenzialità.
Gregorio Magini sottolinea questo aspetto dei videogiochi nel suo capitolo, portando numerosi esempi di come abbiano sviluppato fin dall’inizio, da bravi media, un loro sistema di schemi e valori. Alessandro Lolli propone invece un attento esame su alcune figure ricorrenti della cultura nerd, personaggi che sono nati in quei mondi immaginari e poi sono divenuti icone a-temporali, rompendo le cornici, sia esse di carta o schermiche, nelle quali erano imprigionati.
Alcuni di essi sono apparentemente anacronistici: Bart Simpson, Dylan Dog, Light Yagami di Death Note e gli altri meta e anti-eroi delle narrazioni trans e crossmediali. Lolli di fatto li pone a metà tra i due mondi, quello dei nerd e quello dei non-nerd, in quanto spesso si ritrovano a essere al tempo stesso vittime (Bart dei bulli come Nelson, Dylan delle sue fobie, Light dei sui deliri di onnipotenza e giustizia traviata) e carnefici (Bart è lui stesso bullo in molte occasioni, Dylan anche se contro la violenza è costretto a freddare i suoi nemici, Light si erge a pluriomicida dalla giustificazione divina).
Un immaginario a buon mercato
Il modo in cui la cultura nerd è passata da essere per pochi ed esclusiva a mainstream è affrontato a partire dal capitolo due, ma si sviluppa in tutto il resto del volume.
Innanzitutto l’espansione di questo mondo e di tutti i mondi immaginari di questa cultura ha visto un depauperamento dei suoi contenuti: l’essere nerd diventa un mostrarsi nerd principalmente attraverso nozionismo (l’accumulo di nozioni, facts e trivia) e “nostalgismo” (la rievocazione acritica dei miti del passato, considerati insuperabili non per la loro reale qualità ma in quanto testimonianza di un’epoca che si ritiene migliore).
Quello che appare come un feticismo ai limiti dello stucchevole, sottolinea l’autore, è invece l’approccio cauto di chi vuole tenere una certa distanza tra sé e l’opera, conservandola ed elevarla a feticcio apodittico.
Il “nostalgista” (come qui si indica il nostalgico) si presenta a un occhio critico come la versione distorta del nerd, e vive infatti un rapporto morboso e insalubre con l’oggetto delle sue passioni, perché non si rapporta con l’opera in sé ma, in maniera egoistica, contano decisamente più i sentimenti che quell’opera ha suscitato in lui la prima volta con cui ci ha avuto a che fare. Ed è proprio a questo nostalgismo che si è rivolta l’industria culturale dell’intrattenimento: un intero settore ha basato la sua strategia marketing su questo target effimero, alimentandone la sua definizione “mostruosa”. Così facendo tuttavia si è assistito allo stiracchiamento e alla banalizzazione dell’etichetta di nerd fino a comprendere un po’ tutto, al punto tale che oggi è quasi impossibile separare cultura nerd da cultura pop.
Donne nerd? No grazie!
In seguito alla nascita delle prime comunità fandom che si sono via via strutturate e specializzate, sono iniziate a emergere anche le prime situazioni di esclusione.
Se da un lato questo atteggiamento si spiega con il gatekeeping tipico di un gruppo non propriamente pubblico che si chiude a riccio quando vede il proprio oggetto di interesse diffondersi al resto della popolazione, dall’altro questa tendenza arriva a sfociare anche in sessismo e razzismo.
In particolare, all’inizio del quarto capitolo si sottolinea come il nerd sia condizionato anche dal suo rapporto con l’altro sesso. Per esempio, l’etimologia del termine “sfigato” con cui ci si riferisce al nerd è stato tendenzialmente usato in maniera volgare per indicare uno “privo di figa” piuttosto che uno sfortunato e impacciato.
Questo è un aspetto ripreso anche da Irene Rubino nell’ultimo capitolo, in cui oltre a essere studiata la relazione tra nerdom e donne, si arriva fino al fenomeno degli incel, un gruppo estremo di persone che a fronte della difficoltà di trovare un partner sessuale diventano misogini e violenti. Dopo aver passato in rassegna alcune figure femminili di riferimento dell’immaginario nerd, Rubino evidenzi il ruolo delle donne che hanno plasmato questi mondi, con riferimenti tanto alla letteratura, quanto ai fumetti e le serie animate: si passa dalle protagoniste delle narrazioni come Chell del videogioco Portal e Bean, principessa sboccata della serie Netflix Disenchantment, a Rebecca Sugar, prima donna ad aver ideato e creato una serie animata nelle produzioni di cartoon network e le idiot nerd girl, coloro che vengono considerate delle nerd dell’ultima ora, delle fake-nerd immagine al pari delle poser per i punk.
In definitiva, grazie alle sue connotazioni per così dire romantiche, Guida all’immaginario nerd risulta essere un buon punto di riferimento per studiare questa sottocultura che sta entrando nella sua fase matura, soprattutto in ambito sociologico. Il volume a lettura completa raggiunge i suoi intenti: fornisce un contesto storico del fenomeno attraverso un mix di fedeltà storica e romantico racconto di vita degli autori; un taglio ibrido che rende il testo adatto non solo a chi già si riconosce in parte (o in toto) in questa cultura, ma anche a chi non è assolutamente un nerd e vuole saperne di più su questo universo così complesso.
- Enrico Gandolfi, Generazione nerd. Gioco, tecnologia e immaginario di una subcultura mainstream, Mimesis, Milano, 2014.
- Benjamin Nugent, American Nerd. The story of my people, Scribner, New York, 2008.
- Sherry Turckle, La vita sullo schermo. Nuove identità e relazioni sociali nell’epoca di internet, Apogeo, Milano, 2005.