Quando John Ronald Reuel Tolkien morì, nel 1973, era noto per essere l’autore di uno dei più grandi best-seller editoriali di tutti i tempi, Il Signore degli Anelli, uscito in tre volumi nella metà degli anni Cinquanta dopo una lunga gestazione, e del suo precedente romanzo per bambini Lo Hobbit (1937). Pochi erano al corrente che in realtà Tolkien avesse scritto molto, molto altro. Rayner Unwin, il suo editore, aveva letto a più riprese, fin dai quindici anni (quando a capo della Allen & Unwin c’era suo padre, sir Stanley), uno strano manoscritto pieno di nomi “che spaccano gli occhi”, del tutto impubblicabile, chiamato Il Silmarillion, che Tolkien, con crescente insistenza, aveva cercato di pubblicare insieme al Signore degli Anelli. C.S. Lewis, l’animatore di quel circolo informale di scrittori oxoniensi chiamato “gli Inklings” di cui Tolkien era colonna portante, aveva a sua volta letto alcune di quelle storie quando aveva sollecitato il collega a scrivere racconti del tipo che a loro piaceva leggere. Aveva scoperto così dell’inabissamento di Númenor, dell’esilio degli Eldar, e di tante altre cose che lo avevano lasciato senza parole. Ma c’era anche un’altra persona che aveva sentito raccontare quelle storie, e da molto più tempo degli altri: Christopher, il terzogenito di J.R.R. Tolkien.
Racconti incompiuti
Da bambino, Christopher era stato destinatario delle lettere che il padre scriveva a Natale spacciandosi per “Father Christmas”, un’abitudine iniziata nel 1920 per i figli John e Michael e proseguita dopo la nascita di Christopher, nel 1924, e poi di Priscilla, l’ultimogenita. I figli maggiori avevano molto apprezzato una storia su un cane alato, Roverandom, e qualche storiella che aveva per protagonista un certo Tom Bombadil. Ma nei primi anni Trenta, quando John e Michael iniziavano a diventare più grandi, Christopher prese a passare ore ad ascoltare dalla voce del padre storie molto più strane. Raccontavano
“delle guerre degli elfi contro l’oscuro potere e di come Beren e Lúthien compissero il loro pericoloso viaggio fino al cuore della fortezza di Morgoth. Non si trattava di semplici storie: quando suo padre parlava le leggende diventavano vivi, sfavillanti racconti di un mondo sinistro dove orchi immondi e un tetro Negromante controllavano le strade, e un terribile lupo dagli occhi rossi dilaniava, uno dopo l’altro, i compagni elfi di Beren; ma anche un mondo in cui i tre grandi gioielli elfici, i Silmaril, brillavano di una strana e potente luce, un mondo dove, contro ogni previsione, la quest poteva essere vittoriosa” (Carpenter, 2002).
Alla fine degli anni Trenta Christopher divenne il beta-reader delle bozze del “nuovo Hobbit”, come lo chiamava il padre, ossia quel che solo molto più tardi sarebbe diventato Il Signore degli Anelli. Lì c’erano molti riferimenti a quelle storie che Christopher aveva ascoltato da bambino, e sempre più presero a moltiplicarsi con l’evoluzione della storia, che iniziò a diventare una storia per Christopher. Difatti, dopo essersi bloccato a lungo intorno al 1940 nella stesura dell’opera, Tolkien riuscì a rimettersi al lavoro quando, nel 1943, Christopher dovette arruolarsi e fu mandato in Sudafrica, dove il padre era nato (ma da dove si era trasferito all’età di tre anni per tornare con la madre in Inghilterra); dalla base della Royal Air Force, dove si addestrava come pilota, il ragazzo riceveva lunghe lettere del padre, che spesso esordivano con la formula in antico anglosassone “Fæder his þriddan suna” (dal padre al suo terzogenito), insieme a bozze dei nuovi capitoli del romanzo. Se a Oxford lo stimolo principale restava quello di C.S. Lewis, al di là del mare c’era quello di Christopher, che agli occhi di Tolkien era diventato il principale destinatario di un racconto dove la guerra entrava sempre più prepotentemente.
Racconti perduti
Alla fine della guerra, Christopher tornò a Oxford per iniziare i suoi studi. Seguendo le orme paterne, studiò lingua e letteratura inglese al Trinity College. Iniziò a frequentare anche il gruppo degli Inklings, che si riuniva il martedì mattina al pub “Eagle and Child” (dagli Inklings ribattezzato “Baby and the Bird”) e il giovedì sera al Magadan College, dove C.S. Lewis insegnava e soggiornava. Era stato quest’ultimo a suggerire che Christopher leggesse ad alta voce i nuovi capitoli del Signore degli anelli al posto del padre, pessimo oratore. Nell’ottobre 1945 fu insignito del titolo di “membro permanente” del “club”, che continuò le sue riunioni fino al 1955, quando il raffreddarsi dei rapporti tra Tolkien e Lewis mise fine a una delle cerchie più importanti della letteratura inglese.
Nel 1960 Christopher Tolkien tradusse dall’islandese la saga norrena di Hervor, che era stata ispirazione del padre per il suo legendarium. In seguitò curò alcuni dei Racconti di Canterbury. Divenne prima lettore e poi fellow di lingua inglese al New College di Oxford, nel 1964. Poi, nel 1973, J.R.R. Tolkien morì. Christopher, nominato esecutore testamentario, aveva iniziato a riavvicinarsi alle storie della sua infanzia solo negli ultimi anni, quando aveva iniziato a capire che lo sforzo di sistemazione del Silmarillion superava le ormai declinanti capacità del padre. Ma non aveva idea di cosa doveva aspettarlo: ben settanta scatole ciascuna colma di migliaia di pagine di testi del tutto inediti. Vi si immerse con stupore crescente.
Infine, nel 1975, lasciò l’università per dedicarsi anima e corpo alla curatela del Silmarillion, e finalmente nel 1977 riuscì a rendere in forma presentabile quel “manoscritto caotico, con strati molteplici di correzioni e vaste riscritture, di note e cancellature” (cit. in Shippey, 2005). Ma non era che l’inizio. Le stesse storie del Silmarillion erano state scritte e riscritte dal padre molteplici volte: in forma di poema epico, o con la metrica allitterativa dell’Old English, o come sintesi, o in prosa: era, lo definì Christopher, “un vasto deposito labirintico di storia, poesia, filosofia e filologia” (cit. in Pavlac Glyer, 2007).
Per mettervi ordine si fece guidare certo dal suo giudizio critico su quale versione fosse da considerarsi più vicina a quella “definitiva”, ma alla fine, da filologo, accettò di pubblicare tutte le versioni che il padre aveva redatto. Nacquero così i dodici volumi della History of Middle-earth, un tesoro di inestimabile valore per tutti gli studiosi successivi dell’opera di Tolkien. Oltre ai testi, Christopher vi aggiunge un profluvio di note, appendici e saggi esplicativi. Non voleva più essere solo il curatore delle opere di Tolkien, ma anche “il suo storico e il suo interprete” (cit. in Rérolle, 2012).
Racconti ritrovati
Poco a suo agio, come il padre, con il chiasso mediatico, Christopher Tolkien supervisionò attentamente l’adattamento cinematografico del Signore degli anelli di Peter Jackson, ma fu decisamente avvilito dal bailamme che avrebbe trasformato l’opera di Tolkien in un blockbuster per famiglie e in un prodotto da merchandising per sedicenti nerd. Nel 2009 fu costretto ad accettare, su pressione degli altri eredi del padre riuniti nella Tolkien Estate da lui presieduta, un accordo che, in cambio di una generosa percentuale sui diritti cinematografici, prevedeva l’abbandono di ogni suo ruolo censorio: precondizione indispensabile per la realizzazione della nuova trilogia che Peter Jackson trasse da Lo Hobbit e per il successivo progetto televisivo di Amazon, previsto per il 2021.
A sua volta, sollecitato dal nuovo interesse editoriale per le opere del padre, Christopher – trasferitosi in Francia – iniziò a rimettere mano ai manoscritti, portando alla luce sia testi che in precedenza gli editori non erano interessati a pubblicare (La leggenda di Sigurd e Gudrún, 2009; il poema allitterativo La caduta di Artù, 2013; la sua traduzione del Beowulf, 2014), sia nuove versioni delle tre storie fondamentali del Silmarillion: i figli di Húrin (primo testo a uscire nel 2007 e tradotto in venti lingue), la vicenda di Beren e Lúthien e la caduta di Gondolin, che il padre aveva iniziato a vergare su quaderno nella trincea della Prima guerra mondiale e che il destino ha voluto fosse anche l’ultima opera curata da Christopher, uscita nel 2018.
Operazioni perlopiù commerciali, queste ultime, che rispondevano all’intenzione di rendere le storie del Silmarillion più abbordabili al lettore che non era disposto a immergersi nei dodici volumi della History of Middle-earth, seguendo l’evoluzione delle diverse versioni dello stesso racconto, le note filologiche e le pedanti etimologie che spiegavano perché karak- potesse significare in elfico Quenya sia “picco”, come per il toponimo Helkarakse, sia “dente” o “zanna”, da cui il nome del lupo Carcharoth. Proprio perché le aveva ascoltate fin da bambino, Christopher Tolkien prendeva molto sul serio queste storie. “Per quanto strano possa sembrare”, rivelò nel 2012 in una rara intervista a Le Monde “per me le città del Silmarillion hanno più realtà di Babilonia” (cit. in Rérolle, 2012).
Christopher visse tutta la vita nel mondo che il padre aveva inventato. Ora che anche lui ha lasciato i Porti Grigi per andare al di là del mare, a noi resta l’ammirazione per una vita spesa a portare alla luce quelle storie straordinarie che continueranno a rischiarare il crepuscolo di questa nostra Terra di Mezzo.
- Humphrey Carpenter, J.R.R. Tolkien. La biografia, Fanucci, Roma, 2002.
- Diana Pavlac Glyer, The Company They Keep: C.S. Lewis and J.R.R. Tolkien as Writers in Community, The Kent State University Press, Kent, Ohio, 2007.
- Raphaëlle Rérolle, Tolkien, l’anneau de la discorde, Le Monde, 5 luglio 2012.
- Tom Shippey, J.R.R. Tolkien: la via per la Terra di Mezzo, Marietti, Genova-Milano, 2005.
- John Ronald Reuel Tolkien, Lettere (1914-1973), a cura di Humphrey Carpenter, Bompiani, Milano, 2018.
- John Ronald Reuel Tolkien, Il Silmarillion, a cura di Christopher Tolkien, Bompiani, Milano, 2013.