“Gli scienziati hanno scoperto due stelle minori, o satelliti, che ruotano intorno a Marte. Il più interno ruota a una distanza di tre raggi marziani e ha un periodo orbitale di dieci ore; mentre il più esterno si trova a una distanza di cinque raggi con un periodo di venti ore e mezza. Il quadrato dei loro periodi è nella stessa proporzione del cubo delle loro distanze dal centro di Marte. Ciò dimostra, quindi, che la loro rotazione rispetta la legge di gravitazione universale che regola i corpi celesti”.
Jonathan Swift, I viaggi di Gulliver
Mappa di Marte realizzata da Schiaparelli, astronomo, storico e senatore italiano ancora oggi è ricordato in primo luogo per le attente osservazioni di Marte e per le mappe che disegnò dal 1877 in poi.
Dopo estenuanti osservazioni del pianeta Marte, Giovanni Schiaparelli, nella seconda metà dell’Ottocento, confermò ciò che nella comunità scientifica era già opinione diffusa: Marte non era altro che una versione ridotta della Terra, con mare, atmosfera, venti e nuvole. I due emisferi non apparivano affatto simmetrici, e la superficie del pianeta appariva percorsa da un reticolato piuttosto regolare. Schiaparelli attribuì a tutte le strutture superficiali di Marte una nomenclatura latina ma dall’ambiguità linguistica generata dalla traduzione inglese (canal o channel? artificiale o naturale?) nacque una controversia che contribuì a innescare la febbre marziana:
“Ciò che noi vediamo là, o che finora abbiam chiamati canali, non sono larghissimi corsi d’acqua, come da alcuno fu creduto. L’ipotesi più plausibile è quella di considerarle come zone di vegetazione, estese a destra e a sinistra dei veri canali, i quali esistono sì lungo le medesime linee, ma non sono abbastanza larghi da poter esser veduti dalla Terra. Ecco che i canali prendono l’aspetto, ognuno, di un Nilo marziano che porta la vita vegetale e sostiene l’agricoltura come il Nilo con le sue piene faceva in Egitto. Le altre aree del pianeta rimangono sempre gialle, aride per l’assenza di acqua e prive di vegetazione” (Schiaparelli, 1998).
Già, perché non pensare che gli abitanti di Marte non fossero impegnati nella costruzione di grandi opere, come noi sulla Terra? Non a caso gli ultimi decenni del XIX secolo sono caratterizzati da progetti ingegneristici imponenti, come il canale di Suez e il tentativo di aprire il canale di Panama. Fin da allora si cominciò a fantasticare sui primi viaggi dell’Uomo. Herbert George Wells scrive una delle più belle pagine della letteratura di fantascienza nel 1897, La guerra dei mondi, che nasconde una critica feroce al colonialismo allora imperante in Europa:
“I terrestri al massimo immaginavano che su Marte vivessero altri esseri umani, magari inferiori a noi e pronti ad accogliere con entusiasmo una spedizione di missionari. Eppure, oltre il golfo dello spazio, menti che stanno alle nostre come noi stiamo alle bestie che periscono – intelletti sconfinati e algidi e privi di empatia – contemplavano la Terra con sguardi invidiosi e complottavano con lentezza inesorabile contro di noi” (Wells, 2016).
Fallimenti e altri fallimenti: eppur si tenta
Tuttavia, pur rappresentando il vicino della porta accanto, il pianeta Marte è per noi un posto molto difficile da raggiungere e visitare. Sono state tentate almeno quaranta missioni e più della metà sono fallite. Subito dopo la corsa alla Luna, negli anni della Guerra Fredda, si pensò al Pianeta Rosso come tappa successiva dell’esplorazione spaziale umana. Autore del primo studio su una spedizione marziana fu Wernher Magnus Maximilian von Braun, padre del primo missile balistico della storia (V-2 tedesco), e appassionato di esplorazione spaziale fin da giovane. Tra il 1947 e il 1948 nasce l’idea del libro The Mars Project, che non trovò editori disposti a pubblicarlo; la pubblicazione avvenne solo nel 1952, e in forma del tutto parziale. Von Braun descrive nei dettagli più tecnici l’impresa titanica che si era immaginato. Sarebbero state necessarie dieci astronavi assemblate in orbita e settanta astronauti come equipaggio. Sette di queste astronavi fungevano da riserva di propellente ed erano dotate di sfere abitabili, e solo tre sarebbero state in grado di scendere sulla superficie marziana con una sorta di lander alato.Così iniziava il viaggio della durata di otto mesi: da una distanza ravvicinata gli astronauti/esploratori avrebbero scelto il luogo più favorevole e sicuro per la discesa. L’equipaggio avrebbe soggiornato sul Pianeta Rosso all’interno di un abitacolo gonfiabile, dove per quattrocento giorni si sarebbe dovuto occupare, oltre che di raccogliere campioni di flora e fauna locali, di risolvere il mistero delle linee interpretate erroneamente da Terra come canali. Infine: “Il razzo libererà l’uomo dalle sue catene: le catene della gravità che ancora lo legano a questo pianeta. Gli si apriranno ancora le porte del cielo” (von Braun, 2016). Le idee di von Braun furono rese popolari da Collier’s, una delle riviste più famose in America, con una tiratura di tre milioni di copie. Ma il suo sogno non rimase solo un’idea. Fu infatti rivisitato in modo meno ambizioso in The Exploration of Mars, e mentre era direttore del Centro Marshall in Alabama, Ernst Stuhlinger, uno dei suoi più stretti collaboratori, già dal 1953 cominciò a pensare a un propulsore elettrico destinato a una spedizione marziana.
I primi passi concreti verso il Pianeta Rosso
Siamo negli anni della Guerra Fredda, in pieno effetto Sputnik, e lo spazio sta diventando rapidamente il terreno della competizione internazionale in termini di potenza economica e militare. Nel 1958, con la nascita della National Aeronautics and Space Administration (ormai per tutti noi familiarmente NASA) gli Stati Uniti cominciano a dedicarsi seriamente all’esplorazione dello spazio. L’anno successivo, il Lewis Research Center dell’agenzia spaziale intraprese ricerche mirate allo sviluppo di un motore nucleare, ottenendo i fondi per il primo progetto di esplorazione marziana.Il nuovo centro dedicato allo Human Spaceflight di Houston non rimase certo indietro: nel maggio 1963, durante la Manned Planetary Mission Technology Conference, fu presentato il piano di una missione marziana elaborato un paio di anni prima. La spedizione si sarebbe svolta con due veicoli, uno pilotato e l’altro no, con a bordo un modulo per l’escursione marziana, il Mars Excursion Module. Dopo una sosta variabile da dieci a quaranta giorni, si sarebbe ricongiunto all’orbiter per tornare a casa. Le perplessità sulla sicurezza di questo ambizioso obiettivo erano molte, e le risorse della NASA vennero convogliate su altri progetti. Le convinzioni di chi era contrario a una missione umana su Marte furono addirittura rinvigorite dopo i risultati della sonda americana Mariner-4, la prima missione marziana di successo lanciata il 28 novembre 1964. Passò a 9.844 chilometri da Marte scattando, come programmato, ventidue immagini che immortalavano per la prima volta da vicino il Pianeta Rosso.Si chiuse così in modo definitivo la diatriba sull’origine dei canali, iniziata molti anni prima, lasciando pagini memorabili anche nella letteratura fantascientifica, come per esempio in Noi Marziani di Philip K. Dick: “Dio mio, eccoti qui per la prima volta in vita tua sulla superficie di un altro pianeta […] Non gli hai neppure dato un’occhiata, e c’è gente che ha voluto vedere i canali – che ha discusso sulla loro esistenza – per secoli!” (Dick, 2016). Un altro capolavoro indiscusso lo scrive Ray Bradbury quasi quindici anni prima con Cronache marziane (1950), una raccolta di ventotto racconti legati tra loro dall’ambientazione e dal tema della colonizzazione di Marte. Il finale del romanzo nasconde un lato ottimistico: se i terrestri impareranno a rispettare il loro nuovo pianeta potranno diventare loro i marziani. Il che offre a Bradbury l’opportunità di fare una riflessione generale ben più amara sui rapporti tra le civiltà (terrestri).
La sonda Viking 1 (1976). Crediti: NASA.
Conflitti e sfide della space age
La NASA era in quegli anni ormai impegnata a portare l’Uomo sulla Luna e stava lavorando a un nuovo piano che prevedeva sia l’esplorazione marziana diretta con una sonda automatica capace di sbarcare (programma Voyager), sia un volo abitato con un’astronave nucleare che avrebbe portato gli astronauti a un incontro ravvicinato con Marte ma senza discesa al suolo. Era divenuta ormai opinione consolidata che gli astronauti potevano essere sostituiti efficacemente con dei più economici robot. Il programma Voyager risorgerà più avanti con il nome Viking.Dopo la morte di Kennedy nel 1963, molti esperimenti in orbita furono cancellati, e nonostante il grande successo lunare, gli Stati Uniti stavano attraversando un periodo molto difficile aggravato dalle ripercussioni sociali della guerra in Vietnam. Nonostante queste ristrettezze, la società Boeing nel 1968 rese pubblico un piano di missione marziana elaborato con i finanziamenti del centro Langlay della NASA. Si trattava di un’impresa dalle proporzioni epiche, che metteva in evidenza come in alcuni ambienti spaziali ci si fosse allontanati da una realtà più praticabile. Stiamo parlando di un convoglio cosmico degno di un film di fantascienza, delle dimensioni di 180 metri. Ma nessuno volle finanziare questo progetto. Wernher von Braun illustrò allo Space Task Group nominato dal presidente Richard Nixon che la missione dello sbarco umano su Marte avrebbe potuto prendere il via nel 1981 e arrivare a destinazione l’anno successivo. L’affermazione di Von Braun (“Dati preliminari indicano la possibilità che alcune semplici forme biologiche possano sopravvivere nell’ambiente marziano e, in alcune zone isolate, anche forme più evolute”) ci fa capire molto bene che nel 1969 la comunità scientifica riteneva possibile la presenza umana sul pianeta. La Casa Bianca ribadì cautela riguardo il viaggio umano verso Marte (peraltro dato come poco gradito ai cittadini da un sondaggio Gallup di quell’anno) e rifiutò di finanziare il progetto preferendo insistere sulle missioni lunari e sulla realizzazione di una stazione spaziale. Il primo veicolo spaziale a orbitare intorno a Marte fu la sonda russa Mars 2 nel 1971. La sonda sorella, Mars 3, riuscì anch’essa nell’impresa e lasciò cadere con successo un lander sulla superficie, operativo solo per venti secondi.
Il progetto Viking e la fine della Guerra Fredda
Le missioni spaziali che tuttavia fecero dell’esplorazione di Marte un obiettivo fondamentale furono indubbiamente quelle delle sonde americane gemelle Viking a metà degli anni Settanta. Mai prima di allora si era osato far volare esperimenti così mirati alla ricerca della vita. Entrambe le sonde erano composte da un orbiter e da un lander e scattarono le prime foto dettagliate della superficie marziana. Riuscirono a mappare il 97% della superficie del pianeta, mostrando un paesaggio desertico che appariva molto simile alla tundra terrestre. La ricerca di forme microscopiche di vita sul suolo marziano diede risposte negative.Ma il miraggio di conquistare Marte non era certo appannaggio solo degli americani. Numerosi piani di viaggio furono promossi anche dai sovietici, sempre con particolare attenzione allo studio dei metodi propulsivi e allo sviluppo di nuovi razzi d’avanguardia, campo in cui i russi si erano sempre contraddistinti. Verso la metà degli anni Ottanta cominciò a circolare il sospetto che l’Unione Sovietica stesse preparando una spedizione umana verso Marte da compiere in occasione del cinquecentesimo anniversario della scoperta dell’America, nel 1992. Nel 1986 Sally Ride (prima astronauta americana), con l’aiuto di dieci esperti, indicò quattro obiettivi per il futuro nel rapporto Leadership and America’s Future in Space: lo studio dell’ambiente terrestre, l’esplorazione del sistema solare tramite sonde, una base permanente sulla Luna, l’uomo su Marte. L’idea della conquista di Marte riprende vita e appare concretamente realizzabile dopo il 2010.A seguito della rinegoziazione degli accordi di cooperazione spaziale Usa-Urss a partire dal 1986, si cominciò a diffondere un certo fermento riguardo una possibile missione marziana congiunta. Particolarmente attivo in questo frangente fu Carl Sagan, astrofisico e scrittore visionario. Mikhail Gorbaciov in persona lanciò un chiaro invito durante un’intervista al Washington Post: “Offro al presidente Regan cooperazione nell’organizzare un volo congiunto su Marte”. Nel 1989 George Bush lasciò di stucco con il suo discorso temerario: “Credo che prima che l’America celebri il cinquantesimo anniversario dello sbarco sulla Luna [nel 2019] la bandiera americana dovrebbe essere piantata su Marte” (Caprara, 2016). Ma sia a causa della cancellazione dei fondi da parte del Congresso sia a causa del colpo di stato a Mosca nel 1991, i proponimenti marziani furono nuovamente accantonati. L’esplorazione di Marte conobbe poi una pausa di oltre vent’anni, interrotta solamente da alcuni tentativi falliti o parzialmente riusciti: il sovietico Phobos 1, perso sulla rotta verso Marte nel 1989, Phobos 2, perso anch’esso vicino a Phobos, un satellite di Marte, e la sonda statunitense Mars Observer, lanciata nel 1992. Il contatto con quest’ultima sonda si perse nel 1993 nella fase di inserimento nell’orbita di Marte.
Speranze e successi si susseguono senza sosta
Nel 1996 l’orbiter e i lander russi Mars ’96, con a bordo numerosi esperimenti europei, andarono persi durante il lancio. Nello stesso anno le sorti del sogno marziano si risollevarono con la notizia di possibili tracce di microrganismi fossilizzati in una meteorite di origine marziana. Nel frattempo anche la strategia della NASA pareva cambiata: l’epoca della roboante programmazione spaziale sembra tramontata per lasciare spazio a progetti più plausibili, come un possibile insediamento umano sul pianeta. Mars Global Surveyor fu la prima missione sul Pianeta Rosso ad avere successo nell’arco di un ventennio. Fu lanciata nel 1996 e raggiunse l’orbita nel 1997. La politica del “faster, cheaper, better”, ovvero “più in fretta, a minor prezzo e meglio”, portò il Mars Pathfinder con il piccolo rover Sojourner sulla superficie del Pianeta Rosso nel 1997. Pochi giorni dopo l’arrivo del robot Sojourner sulla superficie di Marte, la NASA diffuse la notizia di un nuovo programma dal titolo Human Exploration of Mars: the Reference Mission of NASA Mars Exploration Study Team. Nello stesso anno a Houston venne organizzato il primo convegno dedicato alla definizione del lavoro da effettuare su Marte. Le ricerche avrebbero riguardato l’ambiente, il clima e la ricerca della vita sul pianeta, e inoltre si sarebbero ricercati quegli elementi (minerali, acqua, energia) funzionali agli insediamenti umani.Marte restava tuttavia una meta drammaticamente difficile da raggiungere. Il Mars Climate Orbiter statunitense si perse all’arrivo nell’orbita marziana nel 1999, e altrettanto accadde alle sonde Mars Polar Lander/Deep Space 2 (sempre NASA) nello stesso anno durante l’atterraggio. Tuttavia, nel 2001, la sonda americana Mars Odyssey riuscì a raggiungere l’orbita di Marte con i suoi esperimenti scientifici per condurre osservazioni globali del pianeta. Questo veicolo spaziale fungerà inoltre da ripetitore per le comunicazioni per i veicoli spaziali statunitense ed europeo che arriveranno su Marte nel 2003 e nel 2004. La sonda Mars Odyssey fu la prima ad aver iniziato un’analisi dei livelli di radiazione presenti sulla superficie per indagare sulle possibili minacce in cui potrebbero incorrere gli astronauti. I rischi più facilmente immaginabili derivano dalla durata del viaggio e dalle radiazioni presenti nello spazio e da cui non vi è alcuna protezione una volta giunti a destinazione, vista l’assenza delle fasce di van Allen che ci proteggono invece sulla Terra. Altri pericoli potrebbero essere rappresentati da agenti patogeni che gli astronauti potrebbero addirittura riportare sulla Terra, o da alcune polveri finissime potenzialmente tossiche per l’Uomo.
Il rover Spirit. Crediti: NASA.
Le missioni e i progetti degli anni Duemila
Il 2003 fu un anno di grande interesse per Marte, con il lancio da parte dell’Agenzia Spaziale Europea di Mars Express insieme a Beagle, il suo modulo lander, e i due rover della NASA, Spirit e Opportunity. La sonda Mars Express scoprì per la prima volta tracce di acqua sul pianeta dall’analisi spettrale della luce emessa dalla superficie e dalla debole atmosfera del pianeta. Al contrario delle missioni NASA precedenti, che per atterrare fecero uso di un sistema di airbag, Curiosity atterrò nel 2012 con il sistema della gru spaziale, calando il lander sulla superficie con un sistema di cavi da una piattaforma mantenuta in librazione a circa 150 metri dalla superficie.
Nel 2015 il presidente degli Stati Uniti Barak Obama (pressato da interessi politici ed economici e dalla necessità di ristabilire un impegno nello spazio), dopo una revisione negativa delle politiche spaziali appoggiava il nuovo piano della NASA Journey to Mars – Pioneering Next Steps in Space Exloration, che delineava la strategia culminante con lo sbarco su Marte dopo il 2030 con una missione della durata di quasi tre anni. Questo piano, più ragionevole ma pur sempre avveniristico, è caratterizzato da grande flessibilità a eventuali adattamenti in corsa causati da situazioni politiche ed economiche che potrebbero essere mutate considerata la durata della missione. Un’ipotesi presa in considerazione è lo sbarco umano prima sulla luna Phobos e poi sul pianeta.Nonostante gli anni Novanta non siano stati facili per la nuova Russia, gli studi non si sono fermati, grazie anche agli incentivi dell’Agenzia spaziale Roscosmos e all’interessamento del Ministero dell’industria atomica. Il progetto Mars – Nuclear Electric Propulsion Stage mirava a realizzare un razzo dotato di un motore nucleare elettrico. Proprio a Mosca le agenzie spaziali russa ed europea hanno organizzato a partire dal 2007 l’esperimento Mars 500 nella sede dell’Institute of Biomedical Problems dell’Accademia delle scienze, con volontari disposti a simulare le condizioni di un viaggio verso Marte. Nell’ultima fase dell’esperimento i volontari sono rimasti isolati per oltre cinquecento giorni comunicando via radio con l’esterno con venti minuti di ritardo come se fossero su Marte.Per vedere riaccendersi in modo serio gli interessi della Russia per lo sbarco su Marte dovremo attendere il 2016, anno in cui la Rosatom, società nucleare nazionale russa, annuncia la realizzazione di un nuovo propulsore con cui sarebbe possibile raggiungere Marte in soli quarantacinque giorni, prevendendo un test a terra nel 2018 e il primo in orbita nel 2025. In ogni caso, oggi la Russia non colloca Marte tra i suoi obiettivi primari quanto l’insediamento umano sulla Luna, ma non disdegna di partecipare a missioni automatiche verso Marte con l’Europa, come Exomars, in cui anche l’Agenzia Spaziale Italiana è tra i partner principali. La missione è costituita da due fasi. La prima, lanciata nel marzo scorso, si compone del Trace Gas Orbiter a guida francese, che effettuerà uno studio dei gas presenti nell’atmosfera marziana e di eventuali processi biologici o geologici in atto, e del modulo di discesa Schiaparelli a leadership italiana. Proprio di quest’ultimo si sono perse le tracce nell’ottobre scorso, nella fase di discesa verso la superficie. Schiaparelli aveva l’importante compito di testare le tecnologie di atterraggio, elemento chiave per le successive missioni. La seconda fase della missione, prevista per il 2020, disporrà di un rover europeo e una piattaforma di superficie stazionaria russa. L’obiettivo del rover, che trapanerà fino alla profondità di due metri, sarà la ricerca di segni di vita passata o presente non più ricercata solo in superficie. Il modulo stazionario russo trasporterà il modulo di discesa su Marte indagando poi l’ambiente circostante.
Ritorno al futuro: Musk e le sue visioni
“Ho in programma di mandare Dragon su Marte quanto prima, nel 2018”: questo, in sintesi, l’annuncio di Elon Musk al 67° International Astronautical Congress a Guadalajara, in Messico, di fronte a una platea di presidenti di agenzie spaziali, scienziati e industriali del settore. Imprenditore visionario sudafricano naturalizzato americano, co-fondatore di Pay-Pal, creatore di Tesla Motors e ammiratore di von Braun, Musk è il primo investitore americano a puntare seriamente sullo spazio. Ha ottenuto un contratto dalla NASA per l’utilizzo della capsula Dragon nei rifornimenti alla Stazione spaziale internazionale, mentre sta perfezionando il veicolo nella sua azienda californiana Space X per renderlo abitabile. Elon Musk vuole essere protagonista della grande sfida di sbarcare su Marte, e SpaceX entra nel mercato dei vettori spaziali diventando competitivo nel campo dei lanci. “Musk ha fornito informazioni tecniche che danno credibilità a un sogno” (Bencivelli, 2016) dice Simonetta Di Pippo, direttrice dell’Ufficio per gli affari dello spazio extra-atmosferico dell’ONU. Il presidente dell’Agenzia spaziale italiana Roberto Battiston rilancia così: “Visionari ne abbiamo conosciuti tanti. La differenza è che Musk è un ingegnere, sa mettere mano al portafogli e i suoi sogni li ha sempre realizzati […]. Gli americani parlano di Marte da cinquant’anni. Stavolta Musk ha una struttura, e un modello di business: forse è un nuovo modo di occuparsi di spazio” (ibidem). Su un punto Musk è stato chiaro: i primi passeggeri avranno un rischio altissimo; “Ma lo accetteranno come tutti i pionieri della storia dell’umanità” (ibidem). Le spedizioni dell’Uomo su Marte rappresenteranno una nuova era sia per il Pianeta Rosso sia per la nostra casa madre, la Terra. Gli astronauti pionieri creeranno avamposti umani in attesa di far crescere delle vere e proprie colonie che consolideranno la presenza dell’Uomo sul pianeta vicino. Gordon Rattray Taylor afferma nel 1970 in La società suicida: “L’ambizione dell’uomo non conosce ostacoli e, per il futuro, si progetta di alterare l’atmosfera di Marte e il clima di Venere per renderli abitabili” (Taylor, 1971).Cosa spinge il genere umano a perseguire con irrefrenabile costanza e incredibile dispendio di risorse la conquista di nuovi mondi possibili? Siamo forse votati all’esplorazione… o alla migrazione perenne? E perché? Per ricreare un’altra Terra dopo aver quasi raggiunto il limite massimo di abitabilità sul nostro Pianeta? Marte è oggi l’obiettivo primario delle agenzie spaziali che strutturano i loro programmi puntando allo sbarco sul Pianeta Rosso. Il futuro pianificato dalla scienza e il passato descritto dalla letteratura si uniscono consolidando l’idea che Marte sia un pianeta da esplorare e in cui sarà possibile creare una colonia umana. Torna alla mente questo passo di Cronache marziane:
“La vita sulla Terra non s’è mai composta in qualcosa di veramente onesto e nobile. La scienza è corsa troppo innanzi agli uomini, e troppo presto, e gli uomini si sono smarriti in un deserto meccanizzato, come bambini che si passino di mano in mano congegni preziosi, che si balocchino con elicotteri e astronavi a razzo; dando rilievo agli aspetti meno degni, dando valore alle macchine anzi che al modo di servirsi delle macchine. Le guerre, sempre più gigantesche, hanno finito per assassinare la Terra. Ecco che cosa significa il silenzio della radio. Ecco perché noi siamo fuggiti” (Bradbury, 2001).
- Silvia Bencivelli, “Colonia su Marte entro dieci anni”. La sfida del magnate divide gli scienziati in La Repubblica, 29 settembre 2016.
- Ray Bradbury, Cronache marziane, Mondadori, Milano, 2001.
- Giovanni Caprara, Rosso Marte, UTET, Torino, 2016.
- Philip K. Dick, Noi marziani, Fanucci, Roma, 2016.
- Giovanni V. Schiaparelli, La vita su Marte. Tre scritti di Schiaparelli su Marte e i “Marziani”, Mimesis, Milano, 1998.
- Gordon Rattray Taylor, La società suicida, Mondadori Milano, 1971.
- Wernher von Braun, Progetto Marte, Dedalo, Bari, 2016.