Dal cinema muto al documentario: ecco le tappe più recenti della rotta immaginifica che Mike Cooper va percorrendo da anni da un punto all’altro dell’Oceano Pacifico, da un angolo all’altro del pianeta. Se il precedente album White Shadows In The South Seas (2013) si ispirava all’omonimo film girato nel 1928 da W. S. Van Dyke, il lavoro più recente, Fratello Mare, rende omaggio all’omonimo film di Folco Quilici del 1975, che denunciava l’impatto ambientale del turismo di massa in Polinesia. Un’altra tappa dell’invasione da parte degli sciagurati epigoni di quel Grand Tour, ovvero di quei viaggi di formazione che prima in Italia, poi nel Mediterraneo e infine nel mondo intero, nella seconda metà dell’Ottocento, avevano visto artisti e intellettuali avventurarsi fuori dalle mura domestiche rapiti dal fascino della storia e della natura. Nessuna delle due uscite è però la più recente in assoluto, discograficamente parlando, perché entrambe seguite dalla pubblicazione di New Kiribati, una quasi ristampa realizzata dall’etichetta Discrepant unicamente su vinile. Si tratta della riedizione di materiale da cui scaturì il primo cd-r auto-prodotto da Cooper nel 1999 con il quale inaugurò una propria label, la Hipshot, per documentare la sua attività. Primo capitolo di una trilogia definita Ambient Exotica Soundscapes, l’album, che si intitolava semplicemente Kiribati, aveva il compito di disegnare, come precisato dallo stesso Cooper, dei paesaggi sonori immaginari sulla base dei suoi viaggi nelle isole del Pacifico e del Sud Est asiatico. Sono soltanto alcune delle oramai numerose dichiarazioni d’amore manifestate da diversi decenni a questa parte, perché in un modo radicalmente diverso da quello del turismo di massa, Cooper è innamorato nonché rispettoso di quella cultura, dal cui incontro ne è scaturita una musica fatta di sonorità scivolose, inafferrabili, suadenti, sognanti, un flusso sonoro che sembra davvero sospinto da una calda brezza diurna, o che spesso offre riparo, ombra quando si raggruma, salvo poi diventare sonnacchiosa o spiritata con il calar del sole. Insieme loop elettronici e melodie sfilacciate tessono una trama volutamente instabile sostenuta da ritmi morbidi, quasi pigri. Questo amore per la musica hawaiana si accese decenni fa. Nacque dalla conoscenza più approfondita della lap steel guitar, la chitarra che si suona seduti tenendola poggiata sulle proprie gambe utilizzando una bacchetta d’acciaio cosicché le corde non toccano mai la tastiera, ma la lap steel guitar non è l’unica protagonista della singolare musica inventata da Cooper.
In New Kiribati, ad esempio, l’attrezzatura utilizzata comprendeva elettronica, chitarra preparata, campionatore, registrazioni ambientali (Bali, Malesia, Australia e Italia) dal vivo, percussioni acustiche ed elettroniche. È uno di quei lavori di Cooper in cui fanno capolino ovunque i versi degli uccelli esotici, tranne che in uno dei cinque brani, Stones for Voyaging, mentre i suoni si srotolano indolenti in nessuna direzione, in piena libertà. Tutto molto omogeneo, ma spiccano Bendigo To Kyoto e Onaneus, dove luccica di più la lap steel guitar.
Il secondo capitolo degli Ambient Exotica Soundscapes fu Globe Notes, autentiche note di un viaggio a sud del Borneo annotate con l’inseparabile lap steel guitar, ukulele, mandolino, campionamenti, percussioni elettroniche e registrazioni sul campo. Anche in questo caso ne è seguita una ristampa in vinile della No-Fi reintitolata New Globe Notes. Infine, il trittico andò a completarsi con Rayon Hula, un omaggio al cool jazz del vibrafonista Arthur Lyman, uno dei campioni dell’exotica e della tiki culture che impazzava tra gli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta; omaggio che prevedeva anche il campionamento di frammenti della sua musica poi opportunamente smontati e rimontati. L’album è stato poi successivamente ristampato dalla Room40, questa volta senza aggiornarne il titolo.
Nato come chitarrista di folk blues, Cooper scoprì anni dopo che lo strumento è originario dei Mari del Sud, delle Hawaii, iniziando una singolare, davvero unica rilettura di quel patrimonio musicale, rielaborato e fuso con altre musiche popolari, ma anche con l’improvvisazione elettroacustica, frutto di una corroborante frequentazione della crema del sorgente jazz d’oltremanica nei primi anni Settanta e poi della fondamentale esperienza con Lol Coxhill e Roger Turner, nell’immaginifico trio Recedents:
Gli anni della formazione del musicista Cooper hanno come sfondo Reading, dove era nato il 14 agosto del 1942. Reading è una città inglese nel Berkshire che ottenne discutibile fama per via di un carcere e dell’ospite di prestigio che trattenne tra le sue mura per circa un anno e mezzo negli anni Ottanta del secolo XIX. Una volta lasciatosi alle spalle l’esperienza penitenziaria, Oscar Wilde scrisse il componimento poetico intitolato La ballata del carcere di Reading, celeberrimo tutto e in particolare per il verso che in chiusura sentenzia “tutti gli uomini uccidono ciò che amano”, da allora in concorso nella speciale classifica dei più citati di tutti i tempi. Tutt’altra aria (e fumo) si respirava invece nel giamaicano Paradise Club dove nei primi anni Sessanta del Novecento si esibiva anche un complessino, The Blues Commitee, mentre nel retro del locale anziani giamaicani giocavano a domino tra nuvole di tabacco e di altre piante. Il gruppo era invaghito del blues, il nome non era scelto a caso. Non erano i soli, i primi e i più autorevoli nel Regno Unito a seguire le orme dei grandi musicisti d’oltreoceano, gli “originali”. A guidare il movimento c’era in prima fila la Alexis Korner’s Blues Incorporated con la fondamentale presenza di Cyril Davies, da dove passeranno nei primi Sixties giovani di belle speranze come Jack Bruce, Ginger Baker, Robert Plant, Charlie Watts, Jimmy Page, per fare qualche nome, e considerando i soli Cream, Led Zeppelin e Rolling Stones, si comprenderà l’importanza di quell’accolita.
I Sessanta saranno un lungo corso di formazione, con scoperte mirabolanti. Come un’epifania gli si manifesta il jazz grazie a Ornette Coleman di cui ascolta Change of the Century, così come apprezza il quartetto capitanato da Gerry Mulligan e Chet Baker. Coltiva la riscoperta delle radici con gli altri protagonisti della nuova scena folk inglese, gente come Davey Graham, John Martyn, Duffy Power, Ralph McTell, Roy Harper, tutti irregolari nel miscelare la tradizione con il folk e il blues made in Usa. Anche su quel fronte, Cooper incontra esperienze che catturano la sua attenzione: Fred Neil, Tim Buckley, John Fahey. A metà anni Sessanta decide fare il musicista per professione e inizia a suonare anche fuori Reading. Lo si trova certe sere al Cousins di Londra.
La carriera di esploratore è iniziata. Sarà una continua scoperta dei paesaggi interiori, per eccellenza quelli musicali, dove tutto è suggestione, manifesta evocazione e allusione carezzevole. Inseguirlo nei molteplici viaggi non è impresa da poco e dai suoi itinerari vanno almeno indicati quelli che lo hanno visto sbarcare in Grecia (in solitudine o nel duo di rembetika & elettronica con Viv Corringham), l’approdo a Lisbona (facendo visita a Steve Gunn) e poi a Beirut (in radio), il costeggiamento della Nuova Zelanda per poi ritornare alla Polinesia, come si è detto, passando per la sonorizzazione di film muti e di lavori dalle forti suggestioni letterarie (su testi di Thomas Pynchon, nel citato passaggio libanese, per esempio). Della sua carriera di viaggiatore, resta da segnalare il passaggio chiave in Italia. Dopo aver suonato al Folkstudio della Capitale nel 1984 Cooper si stabilisce a Roma dal Natale 1987. Sarà proprio a Roma che registrerà per l’etichetta Rai Trade Beach Crossings – Pacific Footprints, disco –live in studio – buon riepilogo, seppur parziale, del suo lungo e singolare percorso artistico, proponendo innanzitutto molto blues, di quello sanguigno, rurale, particolarmente intenso in New Hard Times Killing Floor, ma anche qualche fiamma free e aromi degli atolli, intensissimi nella cover di Bengawan Solo, forse la perla del disco, uno standard del Pacifico (scritto nel 1940) e rispuntato nella colonna sonora del film In The Mood for Love di Wong Kar-wai.
Tuttora è dai colli romani che Cooper inizia a prendere il largo verso le immense distese oceaniche, sempre in compagnia delle sue splendide camicie hawaiane, che indossa quasi come un pegno d’amore. Aloha.
- Mike Cooper, White Shadows In The South Seas, Room40, 2013.
- Mike Cooper, Places I Know, Paradise of Bachelors, 2014.
- Mike Cooper, Trout Steel, Paradise of Bachelors, 2014.
- Mike Cooper, New Globe Notes, No-Fi, 2014.
- Mike Cooper, Light On The Wall, Backwards, 2015.
- Mike Cooper, Fratello Mare, Room40, 2015.
- Mike Cooper & Viv Corringham, Rembetronika, Hipshot, 2011.
- Mike Cooper & Cyril Lefebvre, Aveklei Uptowns Hawaiians, chabada, 1987.
- Mike Cooper & Friends, Beach Crossings – Pacific Footprints, Rai Trade, 2008.
- Steve Gunn & Mike Cooper, FRKWYS Vol. 11: Cantos De Lisboa, Rvng Intl., 2014.
- Johnny Rondo Duo plus Mike Cooper, Johnny Rondo Duo plus Mike Cooper, Bandcamp/Destination Out, 2014.
- The Recedents, Barbecue Strut, nato, 1986.
- The Recedents, Zombie Bloodbath on the Isle of Dogs, nato, 1988.
- The Recedents, Wishing You Were Here, Freeform Association, 2014.