Ci estinguiamo dunque siamo,
e non vale solo per i Mammut

Massimo Sandal
La malinconia del Mammut
il Saggiatore, Milano, 2019

pp. 234, € 22,00

Massimo Sandal
La malinconia del Mammut
il Saggiatore, Milano, 2019

pp. 234, € 22,00


Quando, nelle migliori librerie, si raggiunge il reparto dove sono catalogati i libri di argomento scientifico, l’etichetta sullo scaffale recita divulgazione scientifica, e in questi ultimi anni i titoli ordinati in questo settore hanno fortemente ampliato il loro orizzonte di riferimento, raggiungendo un numero sempre maggiore di lettori, e a volte anche tirature degne della più diffusa narrativa d’evasione.
È doveroso perciò chiedersi, in uno spirito di parresia, se questo incremento sia figlio di una maggior coscienza ecologica, di una nuova percezione di problematiche condivisibili in modo trasversale, quali il global warming, oppure, viceversa, se invece, grazie all’opera capillare di tanti scienziati, giornalisti e docenti, da Piero Angela a Carlo Rovelli, da Margherita Hack a Telmo Pievani, queste tematiche siano assurte alla notorietà in conseguenza della sempre più ampia diffusione tra le persone delle conoscenze costitutive dei processi epistemologici, anche tra coloro non immediatamente partecipi di questi meccanismi.

Fenomeni in stretta relazione
Probabilmente vi è un processo ricorsivo, di retroazione, per cui i due fenomeni si influenzano a vicenda, richiamandosi in un loop narrativo, in un processo di feedback che sta cambiando il vissuto stesso della scienza. Massimo Sandal, biologo, e autore del bel saggio La malinconia del Mammut, durante una conversazione privata con chi scrive, correttamente notava come il termine divulgazione sottintenda una superiorità intrinseca del paradigma scientifico, storicamente di proprietà del divulgatore stesso, dove la conoscenza viene appunto trasmessa al volgo, resa comprensibile anche a chi non è esperto di determinate tematiche. Quindi, siccome la scienza in realtà è democratica e cresce nella sua stessa continua crisi, ci atterremo a una formula alternativa, e parleremo di letteratura scientifica, frase rituale che rispetta contestualmente sia la bellezza della lingua quanto la profondità dell’argomentazione, e soprattutto vuole (e deve) distinguere i libri degni di questo nome da chi costruisce instant book, generando indagini poco più che superficiali e scritte con l’idea di cavalcare una tigre mediatica, nella falsa credenza che la spregiudicatezza dell’inchiesta sia sempre vendibile come sinonimo di profondità.

I molti pregi del saggio di Sandal si distribuiscono su due piani trasversali tra loro. Il primo è relativo al suo essere un testo inerente a un tema scientifico (ovvero che riguarda l’oggetto del saggio), mentre il secondo riguarda il suo essere un testo in sé, il suo parlare del testo, il suo essere metatesto.
Per quanto riguarda il primo argomento, il valore aggiunto che realizza questo libro viene evidenziato dall’autore stesso, ma solamente nelle pagine finali, nella conclusione. Qui il lettore deve prendere atto di come, invece di aver raggiunto delle soluzioni, di avere trovato delle risposte ai problemi posti sin dalle prime righe del volume, scopre di avere sì ampliato l’orizzonte che gli era stato delineato, ma anche altrettanto chiaramente che questo si dimostra ben lontano dall’essere un ambito esplicativo e risolutivo.
Sandal nemmeno ci permette di chiarire le condizioni di possibilità in cui questo modello di lettura possa diventare esplicativo, il suo saggio non contempla un percorso metodologico, nasce già immerso in una teoria, in un modello, che viene apparentemente dato per acquisito. È solo attraverso l’attenta lettura che questo schema viene smontato passo dopo passo, viene decostruito, con l’obiettivo di mostrarne la storicità e l’evoluzione.

La creazione di modelli e del loro superamento
Il lettore, di fatto, realizza come, pur avendo incastrato numerose tessere del mosaico, nella migliore delle ipotesi si ritrova con molte più questioni irrisolte di quando ha cominciato la lettura, e questo avviene soprattutto perché nell’analisi incalzante di Sandal emerge la molteplicità di piani in cui le problematiche trattate si incrociano, e le certezze, le leggi, le verità raggiunte dagli scienziati nel corso del tempo, si sgretolano e si dimostrano essere non certo una solida costruzione, bensì una impalcatura intellettuale, su cui l’autore prova continuamente ad appoggiare modelli nuovi e sempre più adeguati alle continue scoperte che avvengono sul campo, ma che, inevitabilmente, mostrano anche le loro difficoltà.
Il lavoro di Sandal è un esempio lampante del fenomeno per cui l’incremento delle conoscenze non comporta automaticamente una solidità altrettanto ampia delle soluzioni ottenute. Da un punto di vista epistemologico questo è un dato più che rilevante, e difatti pone delle importanti questioni di metodo circa l’indagine che qui si svolge (le rincontreremo tra non molto) e che ci permette anche di ribadire come la capacità di creare domande, piuttosto che di rinchiudersi in risposte, sia una delle peculiarità più vitali che si possano attribuire a un libro, soprattutto se l’ambizione è quella propria della letteratura scientifica.
Il saggio si divide in quattro sezioni, ed è una miniera di case studies. Il quantitativo di materiale e di esempi che Sandal ci sottopone è immenso. L’autore porta continuamente esempi e testimonianze concrete, esperienze sul campo di un vissuto sia umano che animale, dando l’impressione che abbia dovuto imporsi dei limiti spaziali, data la vastità della materia affrontata.

Nella prima parte si esamina il concetto di estinzione. È l’idea stessa dell’estinzione che qui si cerca di analizzare, a partire dalla sua storia, dalla storia della scoperta del divenire stesso, della mutevolezza del dato naturale, ma non solo, visto che questo principio può essere riferito analogamente a una civiltà, così come a una specie, o all’universo stesso. Questa parte è completamente centrata sulle definizioni degli attori di quell’oggetto che, passo dopo passo, viene circoscritto e definito: l’estinzione. Stabilire oggetto e limiti di questo processo è cruciale per comprenderlo, proprio perché è ciò che è già successo in passato che ci permette di provare a individuare la specificità e l’anomalia di quanto sta accadendo oggi. Cosa significa estinzione? Qual è la storia di questa idea? Com’è apparsa nel nostro discorso?
Che un prodotto della creazione possa scomparire per sempre è un’idea che ci accompagna da relativamente poco tempo, visto che nel mondo antico e fino a pochi secoli fa l’idea dominante era quella per cui il mondo fosse qualcosa di costante nel tempo, e il divenire una anomalia, o almeno un’apparenza, una sorta di finzione; la metamorfosi era una sorta illusione, una bizzarra magia che doveva essere allontanata per poter lasciar emergere ciò che del mondo è permanente.  Quando una specie viene dichiarata estinta?

Un terreno da esplorare ulteriormente
Apparentemente, oggi che abbiamo accettato l’evento estinzione e che abbiamo iniziato a comprendere il suo meccanismo autopoietico lo possiamo affermare con una certa convinzione, le estinzioni fanno parte del meccanismo stesso dell’evoluzione, qual è quindi il loro ruolo? Sono delle catastrofi, direbbe Renè Thom, che però permettono una sorta di gap paradigmatico, e quindi non sono fenomeni a cui dare una connotazione, né positiva né negativa. Sarebbe stato forse opportuno preoccuparsi di come il meccanismo delle estinzioni di massa trovi conferme nei molti modelli teorici dedicati ai cambiamenti improvvisi, dalle sopra citate catastrofi di Thom alle strutture dissipative di Ilya Prigogine, dall’autopoiesi di Humberto Maturana e Francisco Varela ai paradigmi di Thomas Khun.

Sandal però non affronta questo aspetto metateorico, nel suo saggio, nemmeno quando si confronta con Jurassic Park, romanzo di Michael Crichton in cui il personaggio del matematico Ian Malcolm costruisce l’intera sua riflessione su una applicazione della teoria del caos e del concetto di Attrattore Strano (la stessa struttura narrativa del romanzo è pensata seguendo la matematica dei frattali). Sandal non cede al miraggio di una indagine teorica, e resta compreso nel modello che sta sezionando, ancorato a una pratica di laboratorio dove i principi devono applicarsi.
L’evoluzione è il meccanismo che ci spiega come la vita ha superato le estinzioni di massa, adattandosi tempo per tempo ai nuovi ambienti, ed è questo, nulla di più, nulla di meno, l’approccio che viene adottato. Come viene ben evidenziato, noi mammiferi non saremmo qui, se non fossero scomparsi i dinosauri, e ogni essere che ha mai vissuto su questo pianeta è figlio dell’estinzione di qualcun altro, che, scomparendo, ha lasciato aperto uno spiraglio evolutivo.

Estinzioni di massa in rassegna
Nella seconda sezione si percorrono brevemente in rassegna le grandi estinzioni che hanno costellato il passato del nostro pianeta. L’analisi delle otto estinzioni di massa, cinque meglio definite dalla paleontologia e tre più controverse, sottoposte qui a un certa analisi fattuale per essere maggiormente individuate, avvenute nelle diverse ere del passato del pianeta, ci permette di porci moltissime domande circa questi nostri lontanissimo parenti, invitandoci ad esempio a chiederci cosa significhi in realtà perdere diversità biologica, e se è davvero, sia oggi che nel passato, un dato così rilevante, un problema per un pianeta che sappiamo essere in costante mutazione.

Nel vederci oggi come elementi determinanti in questo meccanismo non stiamo forse ancora una volta inserendo l’antropocentrismo nella nostra ricerca? Perché nella natura dovrebbe esserci un processo teleologico? E quindi perché dovrebbe esserci un meglio (un progresso) nelle scelte fatte dall’evoluzione? In fondo la scomparsa stessa potrebbe essere assolutamente indifferente all’universo, e quindi perché noi ci dobbiamo preoccupare dell’estinzione, se non in funzione della nostra sopravvivenza? Sandal non rinnega l’antropocentrismo che muove la nostra attenzione a quanto vive o è vissuto sul nostro pianeta, anzi, ben lungi dal rivendicare uno sterile riduzionismo (di cui però riconosce in molti passaggi la coerenza), nelle pagine che dedica alle infinite specie scomparse nel passato, nei miliardi di anni da cui la vita ha infettato questo pianeta, non dimentica mai di sottolineare gli aspetti etici ed empatici di questa riflessione, regalandoci alcuni passaggi di pura poesia. Trascinato da un afflato empatico Sandal ci racconta, per esempio, della scomparsa della fauna di Ediacara, 540 milioni di anni or sono:

“La fauna di Ediacara fu l’alba della vita animale complessa sulla Terra, cioè quella che ci è più familiare come «vita»: eppure ci è quasi completamente incomprensibile. Meno di 600 milioni di anni fa sembra che gli oceani si riempirono di esseri macroscopici senza né testa, né coda, né occhi, né arti, né altre parti del corpo decifrabili, con simmetrie aliene in rapporto a quelle a noi note. Dovevano nascondersi, tra di loro, alcuni dei nostri antenati. Solo quando perì la fauna di Ediacara, però, iniziò a espandersi la vita animale come la conosciamo”.

È poi nella terza sezione che giungiamo a occuparci a pieno titolo del fenomeno a tutti noto come sesta estinzione, e che, secondo una ampia maggioranza degli appartenenti al mondo scientifico, sarebbe in corso. Ancora una volta Sandal cerca di definire limiti e oggetti, di comprendere che cosa effettivamente stia accadendo, quanto di ciò che scopriamo sia una proiezione di un nostro senso di colpa piuttosto che una individuazione scientifica del nostro indubbio ruolo. L’estinzione, come l’autore annuncia già nelle prime pagine dell’introduzione, è uno specchio, ovvero il luogo dove ci misuriamo, dove dobbiamo fare i conti con la nostra responsabilità verso il pianeta. L’estinzione, giungerà a dire nell’epilogo, è ormai ineluttabile, e di nuovo è la nostra responsabilità il problema. Questi sono i due poli, agli estremi del discorso tessuto da Sandal, con cui il libro si connette (e ci connette), dando spessore e profondità all’indagine. L’estinzione, di cui noi siamo contemporaneamente causa e testimoni, sta avvenendo di fronte a noi, e per la nostra coscienza questo evento, che cambierà per sempre la vita sul pianeta, è l’estrema l’occasione per ridefinire ciò che siamo e ciò che vogliamo essere, sia nei confronti del pianeta, sia soprattutto nei confronti di noi stessi.

“La biosfera in cui ci troviamo, infatti, non è uno sfondo neutro ma qualcosa che plasmiamo a nostra misura, modificandola e distruggendola per crearci spazio, a un prezzo che non abbiamo ancora stabilito del tutto. Sonnambuli inconsapevoli fino a poco tempo fa, ora sappiamo di essere una forza planetaria, eppure non abbiamo ancora capito come gestire questa inconcepibile responsabilità. Siamo costretti, adesso, a capire quale sia il nostro ruolo. Vogliamo davvero salvare le specie in via d’estinzione? Perché? Quali? A scapito di quali altre? Qual è il valore che diamo alle forme di vita che condividiamo, e perché? Quali scelte dovremo fare? L’estinzione ci costringe allora a trovare risposta a queste domande, e a farlo in fretta. I nostri figli erediteranno un mondo che abbiamo alterato in ogni angolo, abiteranno un tempo ormai battezzato come Antropocene, e ogni specie che si estingue è un punto di non ritorno di cui saremo responsabili nei loro confronti”.

Cruciale è quindi il passaggio dalla terza alla quarta sezione del volume, dove a partire dalla coscienza del nostro essere ecocidi, procediamo all’elaborazione del lutto e infine maturiamo l’idea della resurrezione. Cosa intendiamo con ecocidio? Il termine, a cui Sandal dedica una breve trattazione, collega audacemente e correttamente la ricerca scientifica in corso con gli aspetti più politici e normativi.
Il crimine ambientale sempre più spesso è considerato gravemente dai tribunali, e non solo in quanto causa di danno ad altri individui, ma anche a fronte della considerazione di un ambiente come bene comune. In India l’alta corte ha riconosciuto sia ai fiumi Gange e Yamuna sia ai ghiacci dell’Himalaya lo statuto di legal person (cfr Núñez, 2017); in Nuova Zelanda, analogamente, un fiume sacro per la cultura maori ha ottenuto anch’esso lo status di persona giuridica, così da potersi difendere in tribunale (cfr. corriere.it, 2017), e in Olanda, una storica sentenza ha costretto il governo a ridurre le emissioni di gas a effetto serra (cfr. Romano, 2019). Tutto ciò impone una nuova e diversa considerazione degli aspetti giurisprudenziali sottesi dagli studi ambientali.

È necessario costruire una sorta di nuovo patto, che identifichi e affronti quelle dinamiche che i nostri bias comportamentali ci rendono complesso riconoscere, primo fra tutti il global warming. Sandal lascia in sospeso questo tema, ma non è casuale che sia di fatto l’introduzione dell’ultima parte del saggio, la più etica. Anche in questa sezione il volume si presenta strutturalmente ricorsivo e, nella parte finale del testo, affronta il tema che è posto già dal sottotitolo, Specie estinte e come riportarle in vita. Soggetto che si è rivelato essere uno dei nodi centrali del volume: la possibilità della resurrezione, e meglio, della de-estinzione, e il suo eventuale senso. Per Sandal queste ricerche non sono altro che dei fantasmi, delle illusioni, delle maschere che andiamo a indossare pur di nascondere a noi stessi il ruolo che svolgiamo in quanto sta avvenendo.

Il “sentimento” della catastrofe
Quando siamo emotivamente sospinti verso un particolare essere vivente, l’ultimo di una stirpe,  o addirittura siamo empatici nei confronti una intera specie che sappiamo prossima all’estinzione, in quel momento noi percepiamo sia l’immensa perdita che stiamo subendo da un punto di vista evolutivo (ogni specie che scompare è una perdita di materiale genetico unico e, quasi certamente, irripetibile), sia la nostra impotenza, la constatazione di come non siamo in grado di compiere nessuna azione ad ampio spettro per fermare la catastrofe in corso. La contrapposizione natura – cultura, spesso usata come chiave per indurci a fermare la distruzione dell’ecosistema non ha in realtà alcun senso, poiché la cultura è prima di tutto un prodotto naturale, un prodotto dell’evoluzione, ed è il meccanismo che abbiamo utilizzato sin dalla preistoria per assurgere a specie dominate. Questa affermazione è ciò che impedisce di fatto qualsiasi tentativo antispecista:

“Vivendo sulla cuspide tra la distruzione delle specie e la balenante possibilità di generarne di nuove, siamo costretti a guardare in faccia qual è la nostra relazione con i viventi”.

L’estinzione è intorno a noi, e noi non siamo in grado di fare nulla di decisivo per fermarla. Siamo vittime ancora una volta di un doppio meccanismo, da un lato di una forma subdola di razzismo specista – ancora una volta di stampo antropocentrico e dall’altro di quella che viene definita nostalgia imperialista, una sorta di retroazione che rimpiange il tempo che fu, la natura scomparsa e irraggiungibile, quella sorta di età dell’oro da cui siamo definitivamente (e infinitamente) distanti.

Estinzione, retromania e futuri perduti
Questo sentimento è affine alla retromania di cui ci parla il critico musicale Simon Reynolds, un meccanismo per cui piuttosto di investire risorse mentali e tempo nella produzione di un’arte rivolta al futuro, continuiamo a rimpiangere immagini mitologiche di ciò che avrebbe dovuto essere il passato. Così, analogamente, il filosofo Zygmunt Bauman definisce il concetto di retrotopia, un meccanismo di invenzione mitologica, di costruzione di immaginario, dove si fabbrica un passato ideale, in realtà mai esistito, proposto come età dell’oro rispetto a un presente degradato, una nostalgia che ha come primo scopo, per dirla con Mark Fischer, quello di impedire la visione (e l’immaginazione) del futuro.

Concludiamo riprendendo un tema accennato all’inizio di queste pagine, ovvero il valore della letteratura scientifica, e l’appartenenza a questo ambito del saggio di Sandal. Senza difficoltà possiamo riconoscere ogni giorno la brama di certezze e verità che gli uomini inseguono, oggi più che mai. La tecnologia imperante, invece che risolvere questioni, ne ha prodotte altre per noi smisurate, con un retroterra morale da cui non possiamo esimerci. Il tema dell’estinzione è senza dubbio tra questi. Chi oggi vive la fine delle certezze date dalla scienza e la sempre maggior de-umanizzazione della tecnologia imperante, a volte trova nella letteratura scientifica uno strumento con cui affrontare questo spaesamento, un modo per erigere un muro di fronte alla perdita di quello che, come anche Massimo Sandal ricorda, dovrebbe essere il Sense of Wonder che appartiene a ogni ricerca e a ogni riflessione scientifica.
Riconoscere l’umanità intrinseca nella nostra ricerca, ed eliminare ogni altro fine se non il riconoscimento empatico verso altri esseri viventi non ci salverà dall’estinzione, ma certamente ci permetterebbe di affrontare con giustizia e riconoscenza il tema del nostro stare in questo mondo.

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