I due curatori di questa inconsueta raccolta britannica di composizioni autunnali ma per niente uggiose non sono esattamente degli sconosciuti. Bob Stanley, classe 1964, è una figura poliedrica, essendo musicista (membro del gruppo pop-dance Saint Etienne), dj, giornalista, autore e produttore di film (nonché curatore di diverse fortunate rassegne di cinema d’essai al Barbican Centre di Londra). Pete Wiggs, classe 1966, non è da meno: anche lui musicista dei Saint Etienne, vanta una lunga serie di collaborazioni come autore di musiche, conduttore radiofonico e dj. I due hanno collezionato diciotto brani in rappresentanza di quello che definiscono l’autumnal sound of Britain, quello prodotto a cavallo tra i due decenni, i Sessanta e i Settanta (i brani inclusi nel cd o doppio ellepì sono registrati in un arco temporale che va dal 1969 al 1976): un arco temporale in cui gli inglesi, con un misto di melanconia (recitano le note di copertina della raccolta) si preparavamo a un futuro senza più i Beatles e con la sterlina in caduta libera. Un futuro annunciato da un sound “esotico” composto da flauti, clavicembali, cori wordless, grandi orchestrazioni e incursioni di mellotron che caratterizzavano composizioni che, proprio per la loro eccentricità, vincevano la paura dell’inatteso con un’inaspettata verve melodica e sostanziose spruzzate di jazz, oppure di folk, come nel brano Evening Shade (1971) di Alan Parker & Alan Hawkshaw, più noti per la loro attività nella library music.
Coerentemente con questo stile, il pezzo introduttivo della raccolta non poteva che essere Love Song With Flute dal primo omonimo album dei Caravan uscito su Verve Forecast nel 1969: una composizione che forse riassume meglio di altre il mood dei tempi con quell’incedere brasileiro, le scie psichedeliche lasciate dall’organo Hammond (non accoppiato al Leslie) di Dave Sinclair e le spirali jazz del flauto traverso di Jimmy Hastings. Ma non mancano vere e proprie chicche come Moon Bird, traccia firmata dal compositore Roger Webb e tratta dall’album di library music Vocal Patterns della De Wolfe uscito nel 1971 o, ancora, il singolo Windfall del duo degli Offspring formato da Mike Brayn e John Howard pubblicato su RCA nel 1972: anche qui ci sono un flauto che strizza l’occhio al jazz, un piano dissonante e una linea melodica così accattivante da fare entrare di diritto questa canzone nell’empireo dei capolavori sconosciuti e senza tempo. La raccolta racchiude altri gioiellini firmati da gruppi abbastanza noti e altri sconosciuti. Tra i primi: Camel, Van Der Graaf Generator (con la struggente Refugees dal loro secondo disco, The Least We Can Do Is Wave to Each Other, 1972), Daevid Allen, Bill Fay, John Cale e i sublimi Matching Mole con l’amorosa O Caroline dall’album esordio del 1972 (Matching Mole). Tra i secondi, Aardvark, The Way We Live, The Orange Bicycle, The Parlour Band; Prelude e altri spariti nella nebbia del tempo. Tra questi, su tutti, gli Scotch Mist con Pamela, addirittura una B Side di un 45 giri che risultò un fiasco. Ballad di raggelante bellezza. Insomma c’è proprio da divertirsi a sfogliare questo album di “figurine”, in gran parte dimenticate o sepolte negli archivi di collezionisti e oscure case discografiche, che raccontano una storia del British Rock alternativa ma altrettanto avvincente di quella dei grandi nomi, Pink Floyd, Black Sabbath, Emerson Lake & Palmer, David Bowie e via dicendo, che proprio in quegli anni fiorivano e dettavano legge non solo nella terra d’Albione. Completano l’antologia le fotografie di un’Inghilterra che non esiste più, scattate da Peter Mitchell, fotografo documentarista noto per essersi specializzato nel documentare da oltre quarant’anni l’area di Leeds e i suoi dintorni. Sul suo sito strangelyfamiliar.co.uk si possono contemplare alcune delle sue fotografie scattate negli anni Settanta (allora faceva come lavoro il guidatore di camion) che ritraggono vecchi negozi, fabbriche e famiglie di operai davanti alle loro piccole casette in mattoni rossi.
La “strana e famigliare” foto di copertina di The English Weather ne è uno splendido esempio. Tra l’altro The English Weather è anche il nome di un negozietto di vinili che il buon Bob Stanley usava frequentare negli anni Ottanta e dove cominciò a farsi una cultura sui gruppi più underground ed esotici degli anni Settanta come i Mellow Candle, i Fairfield Parlour o gli Spring. A fargli da cicerone l’addetto del negozio, un certo Steve Burgess, editore del giornale specializzato noto ai cultori del genere Dark Star. Ultima nota: a proposito dei Saint Etienne, che apparentemente avrebbero poco o nulla a che vedere con la scena raccontata da The English Weather, va detto che è appena uscita la loro ultima fatica discografica per la Heavenly Recordings. Si chiama Home Counties ed è un inno in chiave pop alla Cool Britannia degli anni Novanta che, come si sa, si rifaceva a sua volta agli spensierati e ipercreativi Sixties. Insomma, a Bob Stanley e Pete Wiggs piace molto giocare con generi e periodi. L’importante però che tutto sia rigorosamente fabbricato dalle loro parti.