Forse non è un caso se tra i suoi “miti delle origini” quello con cui nel 1965 Italo Calvino decise di aprire la prima raccolta delle Cosmicomiche fosse dedicato alla Luna. Né per cronologia interna né per ordine di stesura La distanza della luna poteva vantare qualche diritto di prelazione sugli altri undici titoli del sommario, ma di sicuro assolveva ad alcune funzioni che ne facevano una sorta di manifesto d’intenti: la fantasia sfrenata, l’ispirazione scientifica e il gusto per il paradosso ricorrono in tutte le storie, ma qui pare che l’autore aumenti il dosaggio anche di quell’ingrediente segreto che conferisce una dimensione poetica alla sua scrittura onirica e fiabesca. Apparso per la prima volta in rivista l’anno prima, La distanza della Luna è esemplificativo dell’operazione culturale che Calvino si prefiggeva di perseguire con le Cosmicomiche:
“[…] vorrei servirmi del dato scientifico come d’una carica propulsiva per uscire dalle abitudini dell’immaginazione, e vivere magari il quotidiano nei termini più lontani dalla nostra esperienza” (Calvino, 2014).
D’altro canto, l’immagine della Luna attraversa tutto l’arco della letteratura italiana, dalle allegorie dantesche della Divina Commedia a Ludovico Ariosto, che vi manda Astolfo in sella all’Ippogrifo con lo scopo di recuperare il senno perduto di Orlando nel memorabile XXXIV canto dell’Orlando Furioso; da Giordano Bruno, che nei dialoghi cosmologici proprio la Luna, “astro narrante”, chiama in soccorso per testimoniare la rivoluzione morale comportata dal nuovo paradigma copernicano, a Giacomo Leopardi, nella cui produzione la Luna è una presenza assidua, inestricabilmente connessa al sentimento di malinconia che pervade la sua poetica, di volta in volta riflesso della condizione transitoria di ogni gioia (La sera al dì di festa, 1820), simbolo della rimembranza capace di stemperare nella dimensione del ricordo anche le esperienze più dolorose del passato (Alla luna, 1819) e infine emblema della svolta cosmica del suo pessimismo (Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, 1830).
Illustrazione di Boris Artzybasheff (1958).
Lungi dall’essere lo sterile esercizio di stile a cui molti recensori ridussero Le Cosmicomiche, con simili precursori lo sforzo immaginativo di Calvino appare dunque come il coronamento di un percorso in cui la scienza produce mito in una “poetica dell’allargamento”. Non stupisce che proprio la conquista dello spazio accendesse in Italia un dibattito che lo vide contrapposto ad altri autorevoli esponenti delle nostre lettere, che con toni e argomenti diversi e talvolta in contraddizione tra loro stessi vedevano nella frontiera della ricerca scientifica applicata un rifugio per fantasie escapiste, un motore di disumanizzazione o persino “una violazione dell’ultimo spazio di umanità rimasto” (Proietti, 2011). Per Calvino, invece, “chi ama la luna davvero non si contenta di contemplarla come un’immagine convenzionale, vuole entrare in un rapporto più stretto con lei, vuole vedere di più nella luna, vuole che la luna dica di più” (Calvino, 2014). Guardarla da quaggiù non può bastare.
Protofantascienza lunare
Il richiamo gravitazionale della Luna ha prodotto una marea montante nel nostro immaginario novecentesco e contemporaneo: da una parte attraverso l’eredità di tutto il filone romantico, dalla poesia cimiteriale ai chiari di luna di Caspar David Friedrich, le cui suggestioni in parte riconducibili anche al folklore e alle credenze popolari si sono trasferite nella letteratura gotica; dall’altra con la promessa di avventure che solo un pianeta gemello poteva offrire alla Terra, mitigando il nostro isolamento cosmico e la solitudine siderale che fin dall’antichità accompagna le notti dell’uomo. Volendo tenere fuori da questa panoramica tutta la prolifica tradizione lunare dell’immaginario horror, che da sola meriterebbe un approfondimento dedicato, non possiamo fare a meno di rilevare il duraturo sodalizio tra l’attrazione lunare e l’immaginario fantastico. In particolare, riscontriamo segni del suo influsso fin dalle primissime epifanie anticipatrici del racconto di fantascienza.
Basti citare Luciano di Samosata, che nel II secolo fa della Luna la meta di ben due viaggi immaginari: nel primo, Una storia vera, conduce i suoi protagonisti all’incontro con l’antica stirpe extraterrestre dei Seleniti; nel secondo, Icaromenippo, uno dei dialoghi che ispirarono le Operette morali dello stesso Leopardi, descrive l’impresa del filosofo cinico Menippo di Gadara, che giunse sulla Luna prima di ascendere in cielo tra gli dei.
L’opera Keple’r Traum di Studio Azzurro (1990) dal Somnium di Keplero.
Viaggi meravigliosi alla scoperta delle popolazioni della Luna torneranno anche in Cyrano di Bergerac, in particolare nel romanzo postumo L’altro mondo o Gli stati e gli imperi della luna (1657). Nel 1634 era uscito in latino, anch’esso postumo datando la sua stesura al 1609, un trattato di astronomia lunare in forma di racconto a firma di Giovanni Keplero: il Somnium, promotore della teoria eliocentrica copernicana, è considerato da esperti illustri, tra gli altri Carl Sagan, Isaac Asimov e Kim Stanley Robinson, come la prima opera di fantascienza della storia. E dove poteva dirigersi la fantasia ottocentesca dei tre padri moderni del genere? In L’incomparabile avventura di un certo Hans Pfaall (1835) il protagonista di Edgar Allan Poe costruisce un pallone aerostatico per liberarsi dei suoi creditori e ripara sulla luna dopo un’ascensione durata diciannove giorni. Cinque anni più tardi, un abitante della Luna atterra a Rotterdam a bordo del pallone promettendo il ritorno di Hans Pfaall e la divulgazione delle sue scoperte se le accuse nei suoi confronti verranno fatte decadere. I tre protagonisti di Jules Verne riusciranno invece a far ricredere i detrattori delle loro teorie, costruendo un cannone in grado di sparare una capsula in orbita lunare, ma dovranno superarsi per evitare che la missione narrata in Dalla Terra alla Luna (1865), e nel suo seguito Intorno alla Luna (1870), si trasformi in una trappola mortale.
Modulo lunare: un’illustrazione di Erik Lassig del 1954.
Entrambi i modelli sono ben presenti nei Primi uomini sulla Luna di H. G. Wells (1901): la scoperta della cavorite permette allo squattrinato Mr. Bedford e al dottor Cavor di raggiungere la Luna ed esplorarne la superficie, dove entrano in contatto con un ecosistema alieno e una società extraterrestre che prospera nel sottosuolo. Come sempre in Wells, la trama avventurosa offre il pretesto per riflessioni di natura più profonda, presentando una gerarchia sociale sorretta da una rigida specializzazione in classi e la minaccia percepita dai seleniti di fronte alla constatazione della bellicosità della specie umana.
Negli stessi anni un’opera “alla maniera di Verne” esce anche in seno alla nostra letteratura: a scriverla è Antonio de’ Bersa, dalmata di lingua italiana che visse a lungo a Trieste e fu direttore dell’Osservatore Triestino. Nel 1884 de’ Bersa diede alle stampe la prima versione di quello che dopo profondi rimaneggiamenti sarebbe diventato Ad Astra: Fantasia dell’avvenire (1898): nel trentanovesimo secolo la Terra attraversa un periodo di pace e prosperità, ma la sovrappopolazione ne mette a repentaglio la sopravvivenza, quando la protagonista rinviene in un antico documento un’invenzione che ne può cambiare le sorti. Forte della sua scoperta traghetterà l’umanità verso la salvezza a bordo del cosiddetto oscillante. La destinazione? La Luna, ovviamente.
Oltre a produrre una lunghissima schiera di imitatori, le opere di Verne e Wells saranno d’ispirazione anche al regista francese Georges Méliès per quello che è universalmente riconosciuto come il primo film di fantascienza della storia: tutti oggi associamo Le Voyage dans la lune (1902) alla scena dello schianto della navicella spaziale nell’occhio della Luna, ripreso e omaggiato innumerevoli volte (basti qui citare il pluripremiato videoclip di Tonight, Tonight degli Smashing Pumpkins, diretto da Jonathan Dayton e Valerie Faris). Più realistico, quasi documentaristico nelle scene del decollo per cui si ritrovò a inventare il conto alla rovescia come espediente drammatico, il taglio scelto per il suo Frau im Mond (1929) da Fritz Lang, che due anni dopo Metropolis adatta ancora una volta un romanzo della moglie Thea von Harbou.
Il Voyage dans la lune (1902) di Georges Méliès.
La pellicola, che offre una efficace rappresentazione dei principi della scienza missilistica, si avvale tra l’altro della consulenza del pioniere dell’astronautica Hermann Oberth e del divulgatore scientifico Willy Ley, e segna uno spartiacque nell’esplorazione dell’immaginario lunare: se Il popolo della Luna, fix-up di racconti di Edgar Rice Burroughs precedentemente pubblicati in rivista, nel 1926 mette ancora in scena un mondo perduto nel sottosuolo del satellite, sullo sfondo di incredibili rovine di civiltà scomparse, tra fanciulle alate, creature mostruose ed eserciti barbarici perennemente in guerra tra loro, negli anni successivi i planetary romance a sfondo lunare si diraderanno, lasciando spazio a descrizioni meno fantasiose e progressivamente sempre più solide della conquista della Luna.
La sindrome lunare
Tra gli autori che si dedicarono con una certa costanza al nostro satellite, al punto da manifestare i sintomi di una vera e propria ossessione lunare, spiccano i nomi di due giganti della Golden Age come Robert A. Heinlein e Arthur C. Clarke. Soprattutto negli anni Quaranta, Heinlein ci regala numerosi racconti incentrati sulla futura colonizzazione lunare, alternando juveniles a storie dalla vocazione più adulta. Il decennio si apre e si chiude idealmente nel segno della figura di D. D. Harriman, l’imprenditore che nel racconto Requiem (1940) trova il modo per coronare il suo sogno più grande, dopo aver aperto l’epoca dei viaggi spaziali nel prequel L’uomo che vendette la luna (1949) grazie a una serie di spregiudicate operazioni finanziarie. Diretto discendente di Harriman è il protagonista di Kristine K. Rusch nella novella Il recupero dell’Apollo 8 (2007), un tycoon di un mondo alternativo che ha assistito al drammatico fallimento della missione Apollo 8 invece che alla prima circumnavigazione umana della Luna, e che proprio da quel tragico evento trae la forza per inseguire e costruire la sua personale mitologia del futuro.
Il poetico finale di Requiem riecheggia inoltre nell’epilogo di Space Cowboys (2000), girato e interpretato da Clint Eastwood, con il suo vertiginoso piano sequenza sulla superficie lunare mentre in sottofondo risuonano le note di Fly Me to the Moon di Frank Sinatra, settanta secondi di puro e semplice sense of wonder. Del resto, il cinema ha saputo trovare fin dagli anni Cinquanta il modo di valorizzare le intuizioni di Heinlein: dapprima nel 1950, chiamandolo a collaborare alla sceneggiatura di Uomini sulla Luna (Destination Moon), film in Technicolor diretto da Irving Pichel e prodotto da George Pal, in parte ispirato proprio ai suoi racconti, che per la realizzazione si avvalse di consulenze di prim’ordine, tra cui l’artista Chesley Bonestell, artefice di impareggiabili illustrazioni astronomiche, e il divulgatore Willy Ley; nel 1951 il film vinse il premio Oscar per i migliori effetti speciali e Heinlein ne curò la novelization, intitolata Destinazione Luna; e successivamente, nel 1953, con il meno fortunato Project Moonbase di Richard Talmadge, che avrebbe dovuto costituire il pilota di una serie televisiva mai realizzata. Ma le frequentazioni lunari di Heinlein non finiscono qui.
Earth Rise (1957), illustrazione di Chesley Bonestell.
Nel 1966 esce La Luna è una severa maestra, una delle pietre miliari del genere, che nello stesso anno giunge in finale al premio Nebula e si aggiudica l’Hugo. Inizialmente usata come colonia penale, la Luna è diventata col tempo un pilastro fondamentale dell’economia terrestre, grazie alle coltivazioni di grano sviluppate nel sottosuolo. I lunari, organizzati in una società che dà grande risalto alle responsabilità individuali e al ruolo delle donne e tuttavia assoggettati al controllo oppressivo dell’Ente terrestre, con il sostegno di un computer senziente organizzano una rivoluzione che, sul modello della guerra d’indipendenza americana e della rivoluzione russa, costringerà le nazioni della Terra a rinunciare al controllo sulle colonie. Non meno centrale è il ruolo della Luna nell’opera di Clarke, soprattutto negli anni Cinquanta. Preludio allo spazio (1951) uscì l’anno dopo The Man Who Sold the Moon e curiosamente ipotizza lo stesso anno di Heinlein per lo sbarco lunare: il 1978. Come nella novella di Heinlein, inoltre, Clarke racconta con dovizia di dettagli i preparativi per il lancio della Prometheus, anticipando il programma Apollo.
Uomini sulla Luna (Destination Moon), film diretto da Irving Pichel nel 1950 (anche foto sotto).
Impossibile non tracciare un parallelo con Heinlein anche per il successivo romanzo lunare dell’autore inglese: Ombre sulla luna (1955) è una spy-story ambientata nelle basi lunari, dove si giocano gli equilibri futuri del sistema solare, diviso tra il controllo della Terra e la vocazione all’autonomia degli insediamenti esterni, che in qualche modo anticipa la ribellione di The Moon Is A Harsh Mistress e allo stesso tempo tutto un filone di indagini a bassa gravità sulla superficie lunare, da LCSI: Morte sulla Luna di Steven Harper (2009) a Red Moon di Kim Stanley Robinson (2018). Tutto incentrato sull’ostilità dell’ambiente lunare è invece Polvere di Luna (1961), che porta in scena una rischiosa operazione di soccorso di un battello naufragato nel mare di polvere del Sinus Roris. Ma probabilmente è nei racconti che il maestro inglese dell’hard sci-fi offre il meglio di sé sul tema.
In Vento solare assistiamo a una regata interplanetaria tra la Terra e la Luna a bordo di capsule spinte dall’irraggiamento solare (scritto nel 1963, è una delle prime opere a presentare l’uso futuro di una vela solare). Ma già nel fatidico 1951 era uscito La Sentinella, secondo per notorietà tra i racconti di Clarke solo a I nove miliardi di nomi di Dio, ma più fecondo avendo fornito lo spunto di partenza per la più maestosa epopea spaziale mai concepita per il grande schermo: l’ineguagliato 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick. Nel 1996 degli esploratori giungono per la prima volta nel Mare Crisium (nel film la location è in realtà il più suggestivo cratere Tycho) e rinvengono un incomprensibile manufatto alieno piramidale (che nel film assumerà invece le inconfondibili fattezze del monolito nero).
Il capolavoro di Stanley Kubrik, 2001: Odissea nello spazio (1968).
L’oggetto, in realtà un congegno protetto da uno scudo impenetrabile, non è altro che un sigillo, un radiofaro lasciato milioni di anni prima da una avanzatissima civiltà interstellare: quando l’umanità lo infrange con una detonazione nucleare, il segnale che la piramide sta trasmettendo verso l’ignoto s’interrompe. È la prova che la civiltà terrestre ha finalmente raggiunto con il volo spaziale e l’energia atomica un livello di tecnologia tale da candidarla a un eventuale contatto. E adesso non può fare altro che aspettare il ritorno dei misteriosi, antichissimi emissari alieni. Tema parzialmente modificato da Kubrick, per il quale è il monolito stesso, nelle sue varie, successive manifestazioni, a guidare il cammino evolutivo dell’uomo, ma che comunque mantiene il set lunare, facendone uno scavo archeologico dallo smisurato impatto perturbante…
Il perturbante lunare
… un po’ come se, al termine di un’eclissi, un nuovo pianeta apparso dal nulla cominciasse a vampirizzare la Luna, provocando al contempo immani cataclismi sulla superficie terrestre. È la premessa da cui muove Novilunio, romanzo corale di Fritz Leiber del 1964, vincitore del premio Hugo e magnifico esempio di recursive sf, che come scrive Giuseppe Lippi nell’illuminante postfazione alla sua ultima edizione può essere in fondo letto come una “commedia cosmica” intrisa di humour nero. Leiber amalgama abilmente una miriade di temi e suggestioni eterogenee e, come un alchimista postmoderno, sintetizza la formula poetica dei “miti di oggi” in un’opera dai molteplici livelli di lettura, collocandoli in una riflessione ad ampio spettro sulla cultura che li ha prodotti. La perdita della Luna lascerà l’umanità “sola sotto il cielo stellato, impossibilitata a specchiarsi in null’altro che l’abisso della notte”, come scrive ancora Lippi: il ruolo giocato dalla Luna nella definizione dell’immagine stessa che abbiamo di noi diventerà evidente solo davanti al buio denso d’incognite del cielo della notte.
2001: Odissea nello spazio.
Un punto zero da cui prende le mosse anche Neal Stephenson, che proprio all’inizio di Seveneves (2015, ancora inedito in Italia) mette in scena l’inspiegabile distruzione della Luna, con conseguenze devastanti per l’ecosistema terrestre che rischiano di pregiudicare la sopravvivenza stessa della civiltà umana.
Esito non dissimile da quello che accade in Cowboy Bebop (1998), anime cybernoir dal ritmo jazz di Shin’ichirō Watanabe, quando l’accidentale esplosione di un gate (un portale usato per il salto nell’iperspazio) determina un cataclisma lunare e uno sciame di detriti che devasta la superficie terrestre, spingendo l’umanità a un esodo verso gli avamposti di frontiera del sistema solare.
I confini dell’immaginazione sono tanto vasti da abbracciare anche universi speculari in cui la luna non solo non viene distrutta, ma addirittura si sdoppia: sull’immaginaria città di Bellona, colpita da un evento catastrofico non meglio specificato, Samuel R. Delany immagina in Dhalgren (1975) che splendano inspiegabilmente due lune (e d’altro canto vale la pena ricordare che anche Katin Crawford, uno dei memorabili protagonisti della rivoluzionaria space opera Nova, ha origini lunari); ciò che grosso modo accade anche ai protagonisti di Haruki Murakami – non tutti a dire il vero – che dalla presenza in cielo di una seconda luna, verde e più piccola della canonica a noi tutti familiare, si accorgono di trovarsi in un universo parallelo al nostro (1Q84, 2009-2010).
2001: Odissea nello spazio.
Tornando al filone delle sparizioni lunari, come non citare Spazio 1999? Gerry e Sylvia Anderson riprendono l’idea della base lunare della SHADO presentata in UFO (1970-71), di cui Spazio 1999 (1975-1977) avrebbe dovuto essere un seguito, e la sviluppano sempre per la britannica ITC, stavolta coadiuvata dalla Rai. Moon Base Alpha è un’installazione scientifica permanente situata nel cratere Plato. Martin Landau interpreta John Koenig, che subito dopo averne assunto il comando, alle prese con i preparativi di una spedizione esplorativa su un pianeta da poco scoperto, si ritrova a fare i conti con una catena di inspiegabili incidenti che coinvolgono il deposito di scorie nucleari, l’equipaggio della base e infine i membri stessi della spedizione, quando all’improvviso una violentissima esplosione nel deposito spinge la Luna fuori dalla sua orbita, segnando l’inizio un’incredibile odissea che porterà gli uomini e le donne della base a incontrare altre civiltà e forme di vita, di volta in volta ostili o pacifiche, in una sequenza di avventure che hanno condizionato l’immaginario degli anni Settanta e Ottanta. Al di là dell’inattendibilità scientifica delle premesse e delle inesattezze che ne costellano la trama, la godibilità delle storie, il fascino dell’ambientazione e la riuscita degli effetti speciali ne determinarono infatti un duraturo successo, soprattutto qui in Italia, dove Spazio 1999 divenne un vero e proprio oggetto di culto.
Scenario lunare per una serie cult: Spazio 1999.
Tra gli omaggi tributati alla serie britannica, spicca senz’altro Nathan Never, il fumetto Bonelli che qui da noi fin dai primi anni Novanta si affianca a “Urania” come sinonimo di fantascienza. Nel suo mondo la Base Lunare Alfa ha fatto da sfondo al quarto numero della miniserie Generazioni, a cura di Antonio Serra, per la sceneggiatura di Adriano Barone e i disegni di Sergio Giardo, ma fin dalle origini il nostro satellite è sede di avamposti della civiltà umana del futuro: dalla prigione di Luna City evade Ned Mace, il folle assassino che segna indelebilmente la vita di Nathan, e nelle caverne sotterranee della Luna ripara la Fratellanza Ombra, una delle prime vaste minacce affrontate dall’Agente Speciale Alfa.
Missioni (impossibili) lunari
Tappa obbligata per l’avanzata dei pionieri dello spazio verso i confini del sistema solare, la Luna domina uno dei capitoli di 2001 Nights, l’epica manga di Yukinobu Hoshino (1984-1986). Prima di abbandonare il mondo della nona arte, sempre per Sergio Bonelli Editore è uscito nel 2013 in un volume autoconclusivo della collana “Le Storie” Il lato oscuro della Luna, efficace mix di inner e outer space. Scritto da Alessandro Bilotta e illustrato da Matteo Mosca, la storia omaggia nel titolo il leggendario ottavo album in studio dei Pink Floyd e condivide molte affinità con il già citato Recupero dell’Apollo 8: Lloyd Clark è uno dei tre membri dell’equipaggio della Selene 7, la capsula inviata a circumnavigare la Luna nell’ambito della missione Mercury-Atlas 10. In realtà, nel nostro universo le missioni Mercury-Atlas si sono fermate alla nona, ma nell’ucronia del fumetto la decima è in corso proprio mentre il 22 novembre 1963 viene assassinato il presidente Kennedy. Rimasto inspiegabilmente solo nella navicella in rotta verso la Luna, Lloyd precipita in una spirale di follia, rivivendo le tappe fondamentali della sua infanzia nei difficili anni a cavallo della Seconda Guerra Mondiale: l’amore-odio verso la madre, l’affetto per il padre reduce di guerra, lo stretto legame con il fratello maggiore e i loro giochi spaziali nel giardino dietro casa. Il finale cita ancora una volta Heinlein, mentre il velo della malinconia si dirada in uno scioglimento a dir poco psichedelico.
1968 … “2001” lunar surface, illustrazione di Robert McCall.
A proposito di mondi paralleli, la missione dell’Apollo 11 è il fulcro narrativo della girandola di storie che s’intrecciano nel mondo sospeso tra 1968 e 2050 raccontato da Elena Di Fazio nel romanzo premio Odissea Ucronia (2017). L’esito imprevedibile della spedizione lunare originerà conseguenze devastanti sulla struttura stessa del continuum spazio-temporale. Di una missione fallita, stavolta nella realtà storica dei fatti, parla anche Apollo 13 (1995), avvincente pellicola di Ron Howard ispirata alla spedizione guidata dal comandante Jim Lovell (interpretato da Tom Hanks), che rischiò di costare la vita all’intero equipaggio, e degli sforzi della NASA per riportare a terra i tre astronauti. Quello di Howard è rimasto per oltre vent’anni il film sulla Luna che abbiamo perso, in qualche modo metafora del forte ridimensionamento subito dal programma spaziale dopo la conquista di questo traguardo storico. Magari la storia di Neil Armstrong raccontata da Damien Chazelle in First Man – Il primo uomo (2018), interpretato da Ryan Gosling, sarà propizia a un’inversione di rotta, diventando il manifesto di un ritorno di fiamma con la nostra sorella cosmica.
Un omaggio sincero è anche quello che Robert J. Sawyer tributa al meno “visibile” dei tre membri dell’Apollo 11: Mikeys è come i colleghi della NASA del futuro chiamano gli astronauti di supporto alla missione che porterà il primo uomo su Marte. Come Michael Collins, il loro destino è quello di restare indietro, mentre i loro compagni “compiono” la missione e scrivono la storia. Ma lo spazio ha in serbo una sorpresa straordinaria per i protagonisti di questo racconto.
Arsenale lunare
Ucronia e commedia nera convergono in Iron Sky (2012), graffiante pellicola del finlandese Timo Vuorensola, che ipotizza che una missione della NASA scopra sulla faccia nascosta una base segreta costruita da nazisti, sopravvissuti fino ai nostri giorni grazie all’estrazione di elio-3 dalle rocce lunari. Le riserve di questo combustibile essenziale per la realizzazione di reattori a fusione nucleare sono la ragione per cui le Lunar Industries costruiscono le loro installazioni, affidandole a operatori costretti a confrontarsi con la solitudine delle lande lunari per lunghi periodi: in Moon (2009), opera rivelazione di Duncan Jones (figlio di prime nozze di David Bowie), Sam Rockwell porta a galla i veri “lati oscuri” dell’impresa spaziale.
Moon (2009) di Duncan Jones (anche nella foto sotto).
Che la Luna celasse sinistri segreti, dopotutto, è un’intuizione che dobbiamo a Howard P. Lovecraft: i mercanti di rubini dai turbanti a punta, le grandi bocche e i piedi troppo piccoli che approdano nel porto di Dylath-Leen sulle loro galee nere celano sinistri traffici. L’ignaro Randolph Carter (Alla ricerca dello sconosciuto Kadath, 1941) cadrà vittima delle loro macchinazioni, ritrovandosi imbarcato su una delle navi dirette oltre le Colonne di Basalto dell’Occidente, da cui intraprende un volo interplanetario:
“Per fortuna la galea non andava lontano come Carter aveva temuto, perché ora il timoniere aveva aggiustato la sua rotta e puntava direttamente alla luna. […] La nave si diresse verso l’orlo e fu presto chiaro che la sua destinazione era la faccia nascosta e misteriosa che dalla terra non vediamo mai, e che nessun essere umano ha contemplato tranne, forse, il sognatore Srineth-Ko. Più la nave si avvicinava e più Carter trovava inquietante l’aspetto di quel mondo, disseminato di rovine paurose per forma e dimensioni. I templi morti sulle montagne non suggerivano il culto di dei caritatevoli o gentili, e nella simmetria delle colonne spezzate si nascondeva un significato oscuro e tenebroso che non invitava la comprensione. Carter si rifiutò di immaginare le proporzioni o la struttura degli antichi adoratori” (Lovecraft, 2017).
Nel racconto Le Maschere (1950), Leiber immagina che USA e URSS stiano facendo sforzi frenetici per trasformare le basi lunari in fortezze destinate ad assalirsi reciprocamente e lanciare le loro testate nucleari su una Terra già sfigurata e irriconoscibile (“Ho paura della luna […] non puoi guardarla senza pensare alle bombe guidate”). Il piano sembra essersi avverato in La fortezza sulla Luna (1996) di Allen Steele, che già pochi anni prima aveva concepito nell’ambito del suo ciclo del Near Space una credibile ambientazione lunare, portando in scena le tensioni sindacali tra le compagnie impegnate nello sfruttamento delle risorse del satellite e i lavoratori, i cosiddetti “Moondog” (Discesa sulla Luna, 1991).
Al contrario, per Dick la base lunare è l’ultima ridotta dell’umanità: è qui che si è rifugiata l’amministrazione americana dopo la guerra nucleare scoppiata con i russi, lasciandosi dietro tra le rovine terrestri un esercito stanco e sfiduciato, coinvolto in un’insulsa guerra di posizione con ciò che rimane dell’Armata Rossa, e costretto ad assistere all’ascesa di un nuovo nemico, auto-evolutosi dalle stesse macchine progettate per prevalere sull’antico avversario. L’ambientazione è condivisa da due racconti degli anni Cinquanta: Modello Due (1953) e Il mondo di Jon (1954).
L’uovo di grifone di Michael Swanwick (1991), incluso da Piergiorgio Nicolazzini nell’enciclopedica raccolta Cyberpunk, ha luogo anch’esso sulla Luna, in una cosmopolita società di frontiera, che assiste impotente ai tentativi di autodistruzione delle superpotenze terrestri: privati della prospettiva del ritorno, quello che si presenta come un incubo potrebbe però innescare tra gli espatriati la miccia di una rivoluzione.
Gli uomini che camminarono sulla Luna
“Gli astronauti, appena fuori dell’atmosfera, piombano […] nel buio, approdano in un mondo morto, senza aria e senza vita, sbarcano con enorme difficoltà, si aggirano dentro un orizzonte che non oltrepassa due chilometri, su un suolo di pomice, tra picchi desolati. […] L’affermazione che il viaggio degli astronauti somiglia a quello di Colombo implica […] che l’umanità pian piano abbandoni la Terra, culla della vita, e si disperda nello spazio, in mondi inimmaginabili e con mezzi inimmaginabili e insomma cessi di esistere nei modi che sinora l’hanno caratterizzata. Tutto questo, almeno fino a quando non ci saremo fatti una mentalità interplanetaria, […] è abbastanza sinistro”.
Così scriveva Alberto Moravia alla vigilia dell’impresa dell’Apollo 11, nel reportage della sua visita al Goddard Space Center (Moravia, 1969), intuendo la portata rivoluzionaria di quel sogno, le conseguenze di un progetto tanto complesso e avveniristico da portare un uomo a toccare un altro corpo celeste. E non a caso parlava di post-storia: qualcosa sarebbe finito, con quello sbarco. Qualcosa di nuovo e di diverso avrebbe avuto inizio. Il fatto che all’epoca non se ne riuscissero a cogliere ancora le implicazioni era la causa di quel percepire sinistro da parte dell’intellettuale, una vera e propria ostilità alla prospettiva dirompente rappresentata dalla frontiera spaziale.
Le profezie di Moravia sono state in larga misura disattese. Alla fine, la post-storia è stata forse un’illusione, ma ci piace credere che l’esito da lui temuto sia stato solo rimandato. Oltre ai casi, spesso estremi, fin qui rappresentati, la fantascienza del Novecento ha saputo regalarci anche un certo numero di scenari in cui la colonizzazione lunare diventa serbatoio di conoscenza, rampa verso una nuova concezione della civiltà e colonna portante di nuove società.
Illustrazione di Chesley Bonestell per il progetto Apollo Moon Landing (1962).
Innumerevoli sono i casi in cui le colonie lunari ospitano laboratori di ricerca: pur essendo poco più che elementi di sfondo, capita in pietre miliari del genere come Neanche gli dei di Isaac Asimov (1972) e Incontro con Rama di Clarke (1973); ma anche in Progetto Coscienza di Frank Herbert (1966), primo capitolo del ciclo di Pandora, che sarebbe proseguito con altri tre romanzi scritti in collaborazione con Bill Ransom, motivazioni di sicurezza spingono a condurre la ricerca sull’intelligenza artificiale nelle colonie lunari; uno spunto che Rudy Rucker riprende tra il 1982 e il 2000 nella sua tetralogia dei Bopper, che sono appunto entità artificiali super-umane confinate sulla Luna per contenere i rischi per l’umanità (Software, Wetware e Freeware i titoli dei romanzi di interesse per questa trattazione).
Il primo passo nello sviluppo di un’impresa lunare che giunga all’estrazione di elio-3 per sostenere l’energivora società terrestre, nel sogno concepito dal multimiliardario Julian Orley è una stazione spaziale che funga da ancoraggio per l’ascensore spaziale (altra idea resa popolare da Clarke), capolinea per i voli che fanno la spola con la Luna, dove un resort di lusso si appresta a ospitare i suoi illustri ospiti nel thriller fantascientifico Limit di Frank Schätzing (2009).
Illustrazione di Chesley Bonestell per Man and the Moon (1961).
Ma tre titoli su tutti svettano nel cono di luce di Heinlein e, caso piuttosto curioso, sono tutti riconducibili ad autori che hanno scritto pagine fondamentali nell’evoluzione del cyberpunk, sfatando quindi con i fatti il pregiudizio che vorrebbe rappresentare il movimento degli anni Ottanta come una reazione al sense of wonder dell’ultima frontiera. Prendiamo per esempio le società circumlunari di Bruce Sterling (La matrice spezzata, 1986), che all’ombra della rivalità ideologica tra Plasmatori e Meccanisti mettono in scena sofisticate cospirazioni, tirando la volata alle altre due opere di questo ideale trittico con cui ci apprestiamo a concludere la nostra scorribanda lunare: sia in Zero assoluto di Greg Bear (1991) che nella trilogia Luna di Ian McDonald (2015-2019), nel segno di un capitalismo neofeudale scandito da sabotaggi, spionaggio industriale e tecnologie avveniristiche, la guerra di nervi tra i clan familiari emersi dalla corsa alla Luna prelude a esiti incerti per lo sviluppo delle società di domani.
E chiudiamo come abbiamo iniziato:
“Non riesco ancora a ricordare gli anni di addestramento, e la mia mente mi sottrae i ricordi dei voli spaziali effettuati. Ma sono sicuro che, un tempo, sono stato un astronauta” (Ballard, 2005).
L’uomo che camminò sulla luna, uscito nel 1985 su Interzone, è un racconto dal tono crepuscolare, scritto da James G. Ballard nel suo ultimo periodo fantascientifico prima della conversione mainstream. L’anonimo narratore è un giornalista in bolletta che per le strade di Ipanema s’imbatte per caso in un vagabondo straniero convinto di essere stato sulla Luna.
“I turisti e i poliziotti di passaggio, le donne di mezza età sedute a un tavolo vicino, esistevano a malapena, per lui. Non erano che ombre sullo schermo della sua mente, attraverso le quali poteva scorgere gli orizzonti di un vuoto quasi planetario” (Ballard, 2005).
L’incontro gli insegnerà che i sogni possono essere contagiosi. Ma tra le righe di Ballard ci sembra di cogliere un messaggio quanto mai attuale, ed è singolare che a lanciarlo sia l’artefice della rivoluzione dell’inner space: dall’attimo esatto in cui il primo uomo vi ha messo piede, la Luna appartiene a ognuno di noi.
Forse questa lunga attesa servirà anche a farcelo capire meglio quando finalmente vi faremo ritorno.
- Autori vari, Cyberpunk (a cura di Piergiorgio Nicolazzini), Editrice Nord, Milano, 1994.
- Dante Alighieri, La Divina Commedia. Paradiso (a cura di Natalino Sapegno), La Nuova Italia, Firenze, 2004.
- Isaac Asimov, Neanche gli dei, Mondadori, Milano, 1994.
- James G. Ballard, Tutti i racconti 1969-1992, Fanucci, Roma, 2005.
- Greg Bear, Zero assoluto, Editrice Nord, Milano, 2001.
- Alessandro Bilotta e Matteo Mosca, Il Lato Oscuro della Luna, Sergio Bonelli Editore, Milano, 2013.
- Giordano Bruno, De la causa, principio et uno, Createspace Independent Pub, Scotts Valley, 2017.
- Giordano Bruno, De l’infinito, universo e mondi, Independently Published, 2019.
- Giordano Bruno, La cena de le ceneri, Independently Published, 2018.
- Edgar Rice Burroughs, Il popolo della Luna, Nord, Milano, 1997.
- Italo Calvino, Le Cosmicomiche, Mondadori, Milano, 2014.
- Arthur C. Clarke, Incontro con Rama, Urania Mondadori, Milano, 2012.
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- Arthur C. Clarke, Polvere di Luna, Urania Mondadori, Milano, 2014.
- Arthur C. Clarke, Preludio allo spazio, L’Unità, Roma, 1993.
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- Samuel R. Delany, Dhalgren, Fanucci, Roma, 2005.
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- Antonio de’ Bersa, Ad Astra. Fantasia dell’avvenire, Zona 42, Modena, 2017.
- Philip K. Dick, Le presenze invisibili. Volume secondo, Mondadori, Milano, 1995.
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- Elena Di Fazio, Ucronia, Delos Digital, Milano, 2017.
- Giacomo Leopardi, I Canti, Einaudi, Torino, 2016.
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- Robert A. Heinlein, L’uomo che vendette la Luna e Requiem, in Robot n. 7, a cura di Vittorio Curtoni, Armenia, Milano, 1976.
- Frank Herbert e Bill Ransom, Pandora e altri mondi, Urania Mondadori, Milano, 2014.
- Yukinobu Hoshino, 2001 Nights. Volume 1, Flashbook, Bologna, 2016.
- Fritz Leiber, Il libro dello spazio, Urania Mondadori, Milano, 2015.
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