Un placido lago dove gli intrecci sinuosi e ispirati di tastiere, chitarra elettrica e tromba, sorretti da una batteria flessuosa e morbida, espandono il paesaggio avvolgendo l’ascoltatore in un pacato turbinio di note. Tide, l’eloquente apertura del recente album della trombettista campana Lucia Ianniello, KEEP LEFT and go straight South pubblicato da Filibusta Records, mostra fin da subito le coordinate della nuova estetica musicale da lei raggiunta assieme ai suoi compagni di viaggio con questo ultimo lavoro. Un affresco sonoro maturo, dove jazz, rock, improvvisazione, suggestioni etniche e scampoli di rap campano viaggiano compenetrati in una dimensione speculativa e allo stesso tempo energica, terrena.
Giunta al terzo album a suo nome, dopo Maintenant e Live at Acuto jazz, rispettivamente del 2015 e 2017, la Ianniello è accompagnata anche questa volta dal pianista, compositore e didatta Paolo Tombolesi, dal chitarrista Roberto Cervi e dal batterista Alessandro Forte, quest’ultimo presente in soli quattro brani. Sia Cervi che Tombolesi facevano parte anche del quintetto che ha pubblicato My One and Only Planet nel 2021, che schierava Mario Mazzenga al basso elettrico e Grant Calvin Weston, il batterista dei Prime Time di Ornette Coleman. Una delle novità che immediatamente risaltano rispetto ai precedenti album è l’uso della voce da parte della trombettista, che getta una luce particolare sull’intero lavoro, avvicinandolo in parte a certe esperienze jazz rock anni Settanta/Ottanta: un nome su tutti è quello del gruppo Napoli Centrale del sassofonista James Senese. Ovviamente si tratta solo di un richiamo lontano, nondimeno l’accostamento non è del tutto peregrino. Se il sassofonista napoletano sprizzava furore, potenza e graffio, qui la trombettista mantiene, come si diceva sopra, le acque più calme, posate, e però l’idea del cantato/parlato campano in qualche modo rimandano a quell’esperienza. Dall’altra parte c’è il riferimento costante alle atmosfere davisiane, virate con originalità e acume, portando la musica intorno a un jazz rock che rapisce, talvolta attraversato da linee improvvisative libere, come in South, del quale il chitarrista è coautore insieme alla Ianniello, oppure la configurazione di ambienti misteriosi (Human Race) e incedere incalzanti (la notevole It’s Raining), o ancora la fluida ed eterea Black e l’irresistibile blueseggiante riff di piano a supporto di una efficace discesa di quarte della tromba in Bird Migration. In chiusura dell’album il funky rappato dalla stessa trombettista chiude il cerchio omaggiando un’antica divinità italica, Feronia, dea della fertilità e protettrice degli schiavi liberati e, allo stesso tempo, una rivendicazione dell’identità femminile, una sorta di marcia per i diritti delle donne.
Pur marcando differenze sostanziali dai precedenti lavori, sicuramente più inseriti in un alveo jazz, KEEP LEFT and go straight South conferma un certo approccio filosofico che sta a monte della realizzazione artistica e che porta la musica in una dimensione ragionata, sensata: l’ambito concettuale trasforma le note e i brani in una serie di meditazioni che trasmettono spunti di riflessione continua, dando un senso di piena maturità. L’elaborazione teorica attraversa le composizioni e le modella fino a darle un senso compiuto, a dimostrazione del fatto che un’idea forte, alcuni concetti base di fondo, non solo contribuiscono a dare fascino alla musica ma le danno la direzione, il fine ultimo. Se Maintenant verteva sulla particolare figura del pianista e compositore Horace Tapscott, uno tra i pochi ad aver dato più valore alla cooperazione tra musicisti in luogo della propria affermazione musicale, questo lavoro getta uno sguardo impegnato sul sud globale, sfruttato, usato, avversato, ma anche luogo utopico e sentimentale, che dà all’intero album una dimensione politica. In questo c’è certamente una vicinanza con My One and Only Planet, che ragionava sull’emergenza ecologica e pandemica, anche qui innervando la musica di riflessioni intorno a temi sociali e politici in generale. La tromba di Ianniello è lei per prima a suggerire, proporre, profondere concetti all’interno di uno spazio musicale nel quale il piano e le tastiere di Tombolesi costruiscono una cornice colorata e vibrante, con suoni che ricordano il Joe Zawinul del Syndicate, non a caso anch’esso virato verso il mondo del sud, africano e sudamericano. In questo tessuto profondamente consono e ponderato la chitarra di Cervi fornisce elementi disturbanti, lampi rock e penetranti inserti che arricchiscono la musica di imprevedibilità. Tutto l’album si configura come una sorta di luogo di confronto e dibattito, tra i musicisti e tra loro e gli ascoltatori. Difficilmente potrebbe trovarsi elemento migliore quale è l’estrema comunicabilità e profondità di pensiero presenti in questo disco. È la conferma, qualora ce ne fosse ancora bisogno, delle qualità del jazz nostrano, oltreché della ispirata musica della Ianniello e dei suoi musicisti, che aggiungono un ulteriore tessera d’alto livello alla composita e variegata scena italiana.