Si dice che non ci sia democrazia al mondo che non conosca un ambito coperto dal segreto, una serie di fatti che abbiano minacciato l’esistenza stessa del funzionamento istituzionale del Parlamento e della sovranità pubblica. Viviamo tempi complicati, nei quali ci chiediamo che fine abbia fatto l’elettore razionale e la democrazia come regno dell’agire comunicativo proprio dell’opinione pubblica. È così che ci chiediamo, come mai populismo, narcisismo e marketing politico dominano oggi il dibattito politico tra uomini e donne che parlano come se avessero dimenticato il passato? Di questo primo ventennio del nuovo millennio, alcuni costruiscono confronti col Ventennio del Novecento e altri si meravigliano nel vedere come la democrazia più moderna arranchi in termini di legittimazione, proprio ora che sembrava trionfare, priva com’è di alternative possibili. Le motivazioni di questa confusione sono senz’altro molte e variegate (in primis il calo della partecipazione politica, l’esplosione di partiti populisti e la riduzione della durata dei governi), ma in realtà, ciò che abbiamo in questo momento si verifica anche perché trascuriamo volentieri i fatti di cui ci parla Luca Innocenti ne La democrazia del piombo – delitti politici 1976-1982.
Abbiamo dimenticato di essere gli eredi di una democrazia prima fragile e poi agonizzante, afferma l’autore, (informatico e storico per passione giunto alla sua terza fatica), sconfitta del tutto, negli anni che seguono quelli presi in esame dal libro.
Certamente il piombo politico (quello delle armi delle Brigate Rosse e del terrorismo nero) ha nell’Italia degli anni Settanta un peso abnorme, sia per numero di attentati che di morti misteriosamente avvenute per impiccagione, pistole o per “scomparsa” di militanti convinti e di processati per certi versi analogo al violento clima politico del Regno Unito dell’IRA, alla sanguinosa questione spagnola dell’ETA e alle analoghe collocazioni internazionali delle stragi anni Settanta. Laddove, come nella Germania federale, il fenomeno sembra essere molto meno centrale.
Piombo. Ovvero, il metallo della malata democrazia italiana è un tema non inedito eppure ancora importante dal quale l’autore trae un ulteriore punto di vista di grande attualità. Egli ritiene con ottime ragioni che il piombo che grava sul petto della democrazia italiana sia composto anche dall’estensione dell’uso della violenza a bassa intensità. Quella che si realizza negli scontri di piazza, nei pestaggi a giovani ragazzi impegnati politicamente, nelle parole di professori di filosofia di un liceo classico romano che vogliono “abbattere la democrazia”, nelle minacce di morte sibilate a labbra serrate, o magari nei declassamenti strategici per colonnelli informati, a seguito di incontri pubblici ed espliciti in un locale romano, dopo una stretta di mano con il materassaio Licio Gelli.
Una ricostruzione meticolosa
Il libro rende conto di tutti questi documenti, testimonianze, confessioni e note dei servizi segreti quando afferma che oltre che di banchieri, giornalisti e magistrati, questa storia ha a che fare con una gioventù che da nord a sud sperimenta come l’attività politica possa essere “totalizzante”. L’autore sa che la stessa vicenda del terrorismo non può essere compresa senza fare riferimento a un contesto storico più generale e che l’asse non è solo quello Est/Ovest della guerra fredda Usa/Urss, ma anche quello Nord/Sud della guerra arabo-israeliana e dell’egemonia nell’area mediterranea.
La ricostruzione di Innocenti poggia su una mole immensa di materiale accumulato negli archivi delle varie Commissioni d’Inchiesta e non solo. Documenti ai quali l’autore dedica un’attenzione che è fatta di una ricerca appassionata, in solitudine, condivisa con i responsabili di una casa editrice giovane e coraggiosa che poi si trasforma in un racconto pacato, asciutto e in alcuni momenti incentrato sull’obiettivo in modo così totalizzante da non concedere nulla al lettore sprovvisto di strumenti o poco avvezzo a questi momenti della storia italiana.
Negli anni Settanta l’Italia è parte di un processo di crisi e ristrutturazione di dimensioni globali e provare a raccontarli significa mettere in luce problemi nazionali radicati e irrisolti. Problemi che hanno messo radici nel dopoguerra, perché la nostra è una democrazia fragile sin dalla sua nascita. Anzi, una specie di anomalia in quella doppiezza che fa pensare come possibile l’esistenza di uno Stato democratico e contemporaneamente l’esistenza di servizi segreti deviati a cui bisogna ricorrere per necessità – lascia intendere Innocenti – in quanto il fine ultimo “non è il rispetto per la legge, ma la sicurezza dello Stato”. Entrati nel decennio con una prospettiva di rapido e profondo cambiamento, quasi rivoluzionario, si finisce con una disgregazione sociale e una crisi politico-istituzionale che per certi aspetti non si è più ricomposta. “Un’apocalisse talmente grave – dice Innocenti – che la si vorrebbe anche dimenticare”. E noi, demos e opinione pubblica non ce lo siamo fatti dire due volte!
La trasformazione interrotta
È così che il paese “sperato” negli anni del boom e della diffusione dei consumi, diventa sempre più il “paese mancato”, (definizione illuminante di Guido Crainz; cfr. 2005), confermata da Innocenti laddove vede al volgere dei Settanta (esattamente nell’arco temporale 1976-1982) lo zenit della strategia piduista che celebra il funerale della Repubblica, attorno a un cadavere dentro una R4 rossa. Questa è in sostanza la tesi del libro, anche se qui si ricostruiscono con la puntigliosità dell’archivista i fatti della storia politica, puntando il dito sulla ferita inferta ad alcuni elementi caratteristici dell’Italia sul piano istituzionale e politico, raccontandone lo scenario economico dello scandalo petroli, ma lasciando forse ad altra pubblicazione l’avventura sociale della istituzione delle Regioni, dell’invenzione dei modelli didattici flessibili nella scuola dell’obbligo che si impegna sul versante dell’integrazione, o dell’importantissima legge 180, spunti di cui cogliere i punti di svolta e di contraddizione con quanto sta accadendo in questo arco temporale che va appunto dal 1976 al 1982.
Epoca definita dal nostro “seconda strategia della tensione” e nel quale è compreso quel 1977, anno disgraziato di per sé. Anno del movimento, quello del ’77 appunto, con quella rabbia senza sbocchi della generazione dei non garantiti, o degli emarginati. Quel ’77 che prelude alla fine della militanza per molti, un anno prima del delitto Moro di cui l’autore non vede solo una motivazione relativa al mantenimento della pace Usa/Urss, ma cause tutte italiane i cui misteri implicheranno le principali tematiche della democrazia che stiamo vivendo oggi.
Undici protagonisti e un’unica trama
Il libro consta di undici capitoli dedicati ad alcuni personaggi fondamentali come il magistrato Occorsio che scova Licio Gelli e il legame fra P2, neofascismo armato, infiltrazione mafiosa e quella massonica e che s’impegna a favore della legge Scelba (quella che introdusse il reato di apologia del fascismo). Qui vediamo già come la democrazia fosse ricattata dall’assordante frequenza degli attentati in una Roma che vede la nascita della criminalità contaminata dalla malavita non più solo italiana ma anche francese, tunisina e sudamericana.
Nell’apparato bibliografico si fa riferimento a una giustizia non fatta, a uno stato invisibile, alle trame atlantiche, alla controstoria piduista che si rintracciano in quel sesto capitolo interamente dedicato alla Sicilia. Terra nella quale la morte dei democristiani Michele Reina e Piersanti Mattarella che – ricordiamolo – intacca gli interessi di imprenditori e proprietari nelle sue azioni ispettive degli appalti, si unisce ai depistaggi, ai silenzi e agli omissis da parte del sindaco democristiano di Palermo Vito Ciancimino corrotto e appoggiato dalla mafia corleonese. La Dc siciliana, scrive Innocenti, “descrive come può una democrazia contenere i suoi valori, ma allo stesso tempo lavorare per negarli” e ci assicura come il capitolo del “doppio stato” resti una questione dolorosamente aperta. Con il caso Occorsio e poi con il caso Moro Innocenti vede tutte gli elementi che costituiscono la fragilità della nostra democrazia: la vittoria a ogni elezione di governi sempre dello stesso partito, la violenza generalizzata, i tentativi della P2 di interferire, e un sistema politico troppo lento.
Lento al punto da non vedere che Moro stava creando le condizioni di una “democrazia compiuta” e che lasciarlo morire cinicamente, per una ragione di Stato, era il segnale del fatto che “la prima Repubblica inizia a morire qui”.
Per usare la cronologia impiegata da Eric Hobsbawm (cfr. 2014), il delitto Moro segna il passaggio dall’età dell’oro all’età della frana chiusa con grandissime disillusioni collettive e troppe ferite individuali. Nell’attuale democrazia, quindi, ci limitiamo a raccogliere ciò che era stato seminato, e in questa flessibilità ideologica nata sulle ceneri trovate sul fondo del barile ci si assicura che, in ogni settore, la ricerca del profitto a tutti i costi prosegua indisturbata.
- Guido Crainz, Il paese mancato: dal miracolo economico agli anni Ottanta, Donzelli, Roma, 2005.
- Eric Hobsbawm, Il secolo breve – 1914/1991, Rizzoli, Milano, 2014.