La videocamera registra e all’orizzonte una nave da battaglia si staglia imponente. Non è il soggetto del filmino, ma solo una sagoma massiccia che affiora dalla foschia e scivola lenta e placida. Non ha intenzione di disturbare nessuno, men che meno la bambina che con paletta e secchiello sta giocando sulla spiaggia di Waikiki e che è la vera protagonista di quel momento. Il filmino, di quelli che un tempo si vedevano con l’uso del proiettore, ma che qualche mano sapiente ha riversato su videocassetta, è amatoriale: un video di famiglia, intimo, nulla di eccezionale, né di grande rilevanza, tanto meno per la Storia con la S maiuscola.
Quella bambina è Lois Lowry, scrittrice statunitense classe 1937, vincitrice di due medaglie Newbey, premio assegnato annualmente dall’Association for Library Service to Children al migliore autore americano per ragazzi, e quel colosso sullo sfondo è l’Arizona, la nave da guerra che il mattino dei 7 dicembre 1941 affondò sotto il bombardamento degli aerei giapponesi nell’attacco di Pearl Harbor, portando con sé millecentosettantasette uomini. L’attacco, come si sa, ebbe conseguenze su scala planetaria segnando l’entrata ufficiale degli Stati Uniti nel secondo conflitto mondiale e, in seguito, allo sgancio di Little Boy, l’ordigno nucleare che distrusse Hiroshima. Quello che c’era prima, quello che è accaduto durante i due attacchi e quello che avvenne dopo è Storia e la si può leggere nei volumi di testo scolastici, si può vedere nei documentari e in film, non solo quelli di genere guerra; tuttavia Lois Lowry si è sentita in dovere di riportare, in questo libro delicato e poetico, il suo senso di appartenenza a questi eventi debordanti.
“Sono ancora perseguitata da ciò. Dal fatto che io avevo giocato e scherzato sulla sabbia quel giorno, mentre sullo sfondo – all’orizzonte – i giovani uomini già condannati avevano attraversato lentamente il panorama della mia vita, così come della loro”.
Lowry si affida alla poesia (è il suo primo libro in versi) per raccontare le storie dei giovani caduti americani: di James Mayers, di Frank Cabiness e dei ragazzi della banda. Non lo fa con retorica, ma con struggente finezza, raccontando le loro vite in pochi versi, raccontando le loro famiglie in sillabe ben calcolate, raccontando il loro destino con l’aiuto di enjambement, rime baciate e rime alternate. Dal suo viaggio al memoriale dell’Arizona avrebbe potuto portarsi via altre storie e altre vite, ma nel clangore caotico e feroce della guerra, una vita vale come un’altra, nel bene e nel male.
Tutti sono importanti, ma la Storia dimostra che Nazioni intere hanno sempre pensato che nessuno fosse indispensabile. Non resta che raccontare allora la storia, quella con la s minuscola (ma poi, chi è che sceglie), di qualcuno per raccontare quella di altri millecentosettantasette uomini. Millecentosettantasette uomini meno una manciata. Una fortunata manciata che trova spazio in pagine che scorrono con drammatica eleganza. Per gli altri si spera che ci sia sempre qualcuno pronto a trovare spazio anche solo nella memoria personale e familiare.
“Io e mio nipote ci facemmo da parte e rimanemmo lì a contemplare il mare, quasi sopraffatti dal modo in cui la storia si era realizzata”.
Nel volume edito da 21lettere, che ne inaugura la nuova collana Ragazzi, non c’è però il nazionalismo e il sentimentalismo americano, il quale, a tratti, può essere ridondante con la sua magniloquenza, ma anzi trova spazio un altro tipo di orizzonte, quello giapponese. Un haiku.
“Lampo, turbine
Quindi calma spettrale
E pioggia”.
A seguito del padre, Lois Lowry si trasferisce in un Giappone fiaccato nello spirito e lacerato nella carne e lì incontra e vede cosa ha fatto la guerra. Altre storie: storie diverse, storie raccolte da un bacino di altre duecentomila, storie disintegrate, evaporate, riportate in negativo su strade e scalini, storie di malformazioni, tumori e morti solo posticipate. Ci sono le storie di Takeo, delle ragazze del tram, del triciclo rosso, amico intimo di un bambino e ora a riposo in un museo. E poi c’è la storia di quella ragazzina su una bici che in un paese che si rimette orgogliosamente in piedi incrocia lo sguardo di un ragazzino che gioca in cortile, occhi diversi e uguali, destinati poi a incontrarsi nuovamente quarant’anni dopo.
“Incredibilmente, si ricordava che una ragazzina su una bici verde si era fermata una volta a guardare lui e i suoi compagni nel cortile della scuola a Shibuya. «Io», confessai «Tu», riconobbe lui, ridendo”.
Louis Lowry è una scrittrice, almeno in questo libro, di Storia e rientra in quel folto gruppo che annovera gli artisti più disparati: dal realismo di Émile Zola, al romanzo di Walter Scott, dai criminali della Magliana di Giancarlo De Cataldo ai pilastri di Ken Follet. Sono scrittori affamati di realtà, che partono dai fatti, ma che credono sia possibile raccontarli con la libertà, la profondità, l’intensità della poesia (cfr. De Marchi, 2017). Una scrittrice che ha scelto di usare uno stile narrativo difficile, ma efficace, il quale potrebbe essere a primo acchito refrattario all’interesse dei giovani lettori, tuttavia non può che essere riconosciuto vincente dopo le prime pagine. Sebbene la traduzione ogni tanto scricchioli (“Un figlio unico di Birmingham / Billy impaziente, brillante, non vedeva l’ora / di fare la sua parte per lo zio Sam”), bisogna segnalare il lavoro encomiabile che il traduttore ha compiuto per adattare una forma letteraria che, già in lingua originale, comporta un grande sforzo sonoro e linguistico. Un vero e proprio lavoro intellettuale che rafforza la teoria del traduttore come autore.
Si consiglia fortemente la lettura di questo testo, veloce e scorrevole, nelle classi scolastiche per comprendere la Storia e le sue storie, facce della stessa medaglia. All’Orizzonte potrebbe avere la capacità di annidarsi nella mente e nel cuore dei giovani lettori più facilmente dei trafiletti studiati a memoria, dove la parola stampata non riesce a legarsi all’empatia e all’emotività che la fiction (anche quando è realistica e reale) riesce a trasmettere.
Grazie a una narrazione e a un coinvolgimento empatico si può raccontare e spiegare la Storia in maniera esaustiva e affascinante, la quale, sommata alla visione generale e/o scientifica, riesce a fornire un quadro preciso ed esplicativo delle complessità umane e del loro evolversi. Attraverso infiniti media, dal cinema al fumetto, la Storia passa, può passare e dovrebbe passare tramite la narrazione di singole e appassionanti storie: un cappotto rosso in una pellicola in bianco e nero, un triciclo in un verso di una poesia.
Libri, racconti, testi scolastici, film e musei sono mappe e carte nautiche, alcune un po’ fantasiose con mostri serpenteschi disegnati ai margini, altre più accurate e precise; insegnanti, studiosi e curatori sono bussole che indicano la rotta ed evitano flutti pericolosi. Bisogna insegnare ai più giovani a essere marinai coraggiosi, impavidi di fronte alla paura di annoiarsi e sordi a sirene negazioniste. Il viaggio non avrà mai fine, le coscienze muteranno, le idee anche, vi sarà qualche ammutinamento, qualche piratesco arrembaggio, qualche periodo di bonaccia, ma la Storia continuerà comunque a scorrere imperterrita. Sarà compito di chi la Storia già la conosce mostrare loro l’orizzonte, dove il sole sorge e il futuro si fa incerto. Raccontare è il modo migliore che si ha per aiutarli: d’altronde si sa che per far diventare capitano un mozzo serve una buona storia (cfr. Vittorini, 2021).
- Vichi De Marchi, Letteratura per l’infanzia, illustrazione, editoria: per una pedagogia della lettura (6-18 anni), corso di perfezionamento, Padova, 2017.
- Simone Vittorini, Storia facendo: narrazioni transmediali e storytelling museale per una pedagogia della Storia, Padova, 2017.